CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 febbraio 2019, n. 3129
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Perdita dell’appalto – Intento ritorsivo
Fatti di causa
Il Tribunale di Milano con sentenza n.1153/2015 dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo il 19/12/2013 dalla S. s.p.a. nei confronti di A. A., ne ordinava la reintegra in un posto di lavoro equivalente rispetto alle mansioni ed al livello riconosciuto con sentenza n.2513/2012 del medesimo Tribunale ai sensi dell’art.18 c.4 st. lav., e condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria nei limiti di dodici mensilità.
Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale, che condannava il lavoratore alla restituzione delle somme percepite a titolo di competenze di fine rapporto e di T.F.R.
Il giudice del gravame nel proprio iter argomentativo, deduceva in via di premessa che con la citata sentenza n.2513 del 3/7/2012 il Tribunale di Milano aveva accertato il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel III livello c.c.n.I. Vigilanza Privata in qualità di capoturno a far tempo dal 1/1/2008; precisava che, ciò nondimeno, l’ultima assegnazione del lavoratore presso la sede di Banca Intesa di Limbiate (così come le precedenti), era da ritenersi illegittima, perché non rispettosa della riconosciuta professionalità del lavoratore.
Nell’ottica descritta, doveva ritenersi manifestamente insussistente il fatto posto a giustificazione del licenziamento intimato all’A. per la perdita dell’appalto, non potendo un fatto illecito essere posto a fondamento, in un vincolo di causalità, con il recesso per giustificato motivo oggettivo. Condivideva poi, la statuizione della sentenza impugnata secondo cui la condotta datoriale non poteva ritenersi giustificata dal fatto che i compiti di capoturno delle pattuglie notturne fossero state conferite al collega F. V., assunto in epoca ben posteriore al ricorrente ed inquadrato nell’inferiore quarto livello c.c.n.I. di settore.
Sotto altro versante, la Corte distrettuale escludeva che al recesso potesse ritenersi sotteso un intento ritorsivo, accreditato dal lavoratore, non essendo prospettabile che la parte datoriale già nel novembre 2012, dopo aver tentato invano di trasferire il dipendente ad altra sede, avesse già cognizione del fatto che nel dicembre 2013 avrebbe perso l’appalto presso la Banca Intesa di Limbiate.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la S. s.p.a. sulla base di quattro motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso A. Alaia che spiega ricorso incidentale al quale oppone difese la società ex art. 371 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c. ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si sostiene l’erroneità delle argomentazioni addotte dalla Corte di merito a sostegno del decisum, laddove ha ritenuto che legittimamente “il primo giudice dopo aver respinto la domanda principale proposta con il ricorso introduttivo, ha esaminato la domanda subordinata, riproposta con le conclusioni precisate e facente parte dell’oggetto della causa ai fini dell’applicazione dell’art. 112 c.p.c.”.
Non condivisibili erano da ritenersi gli approdi ai quali era pervenuto il giudice del gravame, giacché la domanda di accertamento della illegittimità dei licenziamento non era stata oggetto del petitum formulato in sede di opposizione dal lavoratore, il quale si era limitato a chiedere la conferma dell’ordinanza emessa dal giudice della fase sommaria, con la quale il licenziamento era stato dichiarato nullo perché ispirato ad intento ritorsivo.
2. Il motivo presenta profili di inammissibilità.
E’ bene rammentare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Non è indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n.4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (vedi Cass.S.U. 24/7/2013 n. 17931, nonché Cass. 28/9/2015 n. 19124 secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione in cui sia denunciata puramente e semplicemente la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ai sensi dell’art. 112 c.p.c., senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore sulla legge processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, essendosi il ricorrente limitato ad argomentare solo sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato).
Nello specifico, l’articolato motivo palesa un’evidente carenza laddove, pur invocando la violazione della regola processuale prescritta, omette di indicare gli effetti da tale vulnus scaturiti.
3. Sotto altro versante, neanche può sottacersi che il motivo presenti comunque un difetto di specificità ex art.366 n.6 c.p.c., di cui il principio di autosufficienza è corollario, perché non viene riportato il tenore degli atti processuali sui quali si fonda la articolata censura.
Il riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e diretta del fatto processuale, non comporta certo il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal codice di rito per la proposizione e lo svolgimento di qualsiasi ricorso per cassazione, ivi compreso quello con cui si denuncino errores in procedendo quale quello di cui si discute, in cui, indubbiamente, si intende far valere un vizio del processo che si sostanzia nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale prescritta dal legislatore.
Ciò vuol dire non solo che i vizi del processo non rilevabili d’ufficio possono esser conosciuti dalla Corte di cassazione solo se, e nei limiti in cui, la parte interessata ne abbia fatto oggetto di specifico motivo di ricorso, ma anche che la proposizione di quel motivo resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte.
Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (vedi in motivazione, Cass. S.U. 22/5/2012 n. 8077).
Nello specifico, s’impone l’evidenza del difetto di specificità del motivo non avendo la ricorrente riportato il tenore degli atti processuali (segnatamente, la memoria difensiva del lavoratore nella fase di opposizione nonché il ricorso introduttivo del giudizio) sui quali la censura si fondava; onde la pronuncia resiste alla censura all’esame.
4. Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare con priorità il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
Con il terzo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. ex art. 360 comma primo n. 4 c.p.c.
La ricorrente si duole che la Corte distrettuale non abbia condiviso la prospettazione della possibilità di adibire il lavoratore a mansioni di guardia giurata, quanto meno dal febbraio 2013, all’epoca di entrata in vigore del nuovo c.c.n.I. di settore, avendo reso una motivazione che faceva riferimento al contratto collettivo previgente. Deduce, che, diversamente da quanto accertato dal giudice di prima istanza, l’istruttoria svolta aveva “dimostrato che il sig. A., nella funzione di capoturno delle pattuglie notturne, era responsabile del coordinamento di un numero inferiore a 30 pattuglie”, diversamente dalle prescrizioni del rinnovato contratto collettivo vigente dal febbraio 2013.
5. La censura è inammissibile.
Questa Corte ha infatti affermato il principio, che va qui ribadito, secondo cui affinché sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del “decisum” (vedi Cass. 18/9/2009 n. 20112). Questa enunciazione riassuntiva corrisponde a consolidato dictum espresso dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibiIità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie” (vedi in motivazione Cass. cit. n. 20112/2009, Cass. 16/5/1992 n. 5888).
Tali linee ermeneutiche relative alla disposizione invocata a sostegno della critica, vanno coordinate con la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, che ha ulteriormente ridotto i limiti di sindacabilità della motivazione in sede di legittimità.
Non sono infatti più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (cfr. Cass. 12/10/2017 n.23940); situazione, questa, non ravvisabile nella fattispecie qui scrutinata, in cui i giudici del gravame hanno reso una motivazione non rispondente ai requisiti della assoluta omissione suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità, avendo dato adeguatamente conto delle ragioni poste a base del decisum con riferimento allo svolgimento da parte dell’A., esclusivamente di mansioni di guardia giurata e di piantonamento, E detta statuizione appare attinta, anche sotto il profilo della non corretta esegesi del quadro istruttorio delineato nel corso del giudizio di primo grado, con approccio che, per quanto sinora detto, non appare ammissibile nella presente sede.
6. Con la quarta censura è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 comma primo n.5 c.p.c.. Ci si duole che il giudice del gravame abbia tralasciato di considerare il fatto storico della mancata assegnazione dell’A. nel corso della propria carriera lavorativa, al coordinamento di un numero superiore a 30 guardie particolari giurate in servizio nel turno.
Anche siffatto motivo presenta le medesime criticità rilevate in relazione a quello che precede, tendendo a rivalutare una circostanza concernente il diritto al riconoscimento della qualifica corrispondente al terzo livello c.c.n.I. di settore con riferimento alle deposizioni testimoniali raccolte (delle quali peraltro, non è stato riportato il tenore), che è stata oggetto di scrutinio in sede di merito e non è suscettibile di ulteriore valutazione in questa sede di legittimità.
7. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 18 c. 4 L. 300/1970, dell’art. 41 Cost. e dell’art. 3 L. 604/1966 in relazione all’art.360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si critica la statuizione della Corte territoriale con cui è stato affermato che il fatto materiale posto a base del licenziamento – costituito dalla perdita dell’appalto cui l’A. era stato da ultimo assegnato – dovesse considerarsi insussistente perché l’assegnazione del lavoratore al presidio Banca Intesa di Limbiate era illegittima e, per il suo carattere antigiuridico, non poteva essere considerata quale giustificato motivo oggettivo di recesso.
La ricorrente deduce, invece, che, alla stregua dei dettami di cui al comma quarto della richiamata disposizione statutaria, non poteva reputarsi insussistente il fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, né poteva negarsi che la statuizione avesse arrecato un vulnus al principio di libertà di iniziativa economica privata.
La Corte di merito non avrebbe potuto estendere la propria valutazione circa la congruità della scelta aziendale di mantenere il collega del ricorrente nella postazione già rivestita di capoturno delle pattuglie notturne, invece di collocarvi l’A. per ottemperare alla pronuncia che aveva riconosciuto il suo diritto ad essere inquadrato nel terzo livello ccnl Vigilanza Privata.
8. Il motivo è fondato nei sensi di seguito esposti.
Occorre premettere che sul datore di lavoro incombe l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonché l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte (ex plurimis, vedi Cass. 13/6/2016 n. 12101, Cass. 20/10/2017 n. 24882 ed, in motivazione Cass. 2/5/2018 n. 10435). Oggetto di vaglio in sede giudiziale è, dunque, la sussistenza dell’elemento costitutivo del licenziamento, che causalmente determini un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo aziendale attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.
Orbene, la fattispecie qui scrutinata, concerne la peculiare ipotesi di adibizione del lavoratore a mansioni – incoerenti con l’inquadramento spettante – di guardia giurata, in base a contratto di appalto, successivamente risolto.
Con riferimento alla fattispecie delibata, non può trascurarsi di richiamare i dettami di cui all’art. 2103 c.c. nella versione di testo vigente ratione temporis, secondo cui l’illegittimo esercizio dello jus variandi determina la nullità di ogni patto contrario rispetto al divieto inderogabile di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori, con previsione che si differenzia rispetto alla novella introdotta dal d. Igs. n. 81 del 2015, che consente mutamenti in peius sia al potere unilaterale dell’imprenditore, anche abilitato dalla contrattazione collettiva, sia ad accordi individuali in sede protetta.
L’assegnazione a mansioni diverse da quelle di assunzione o non di categoria superiore, costituisce, dunque, atto giuridico nullo ai sensi dell’art. 2103, capoverso, cod. civ., escludendo che il lavoratore possa essere ritenuto parte del personale adibito a tale servizio (vedi in motivazione Cass. 23/2/2016 n. 3485). Nella citata pronuncia – concernente fattispecie di trasferimento di ramo d’azienda – è stato infatti ritenuto che l’oggettiva contrarietà del provvedimento di trasferimento comportante dequalificazione professionale ai dettami di cui all’art. 2103 c.c., non consentisse l’ascrivibilità dei lavoratori coinvolti all’ambito del personale adibito al ramo ceduto, con la conseguenza della inefficacia del trasferimento e della prosecuzione dei rapporti di lavoro con la società cedente.
Analogamente, nello specifico, dalla nullità della adibizione del dipendente a! posto di lavoro da ultimo assegnato, discende che la relativa soppressione va riguardata quale fatto che non può essere connesso causalmente al licenziamento del dipendente, dovendo ritenersi come fatti costitutivi del recesso tutti gli elementi indicati nella fattispecie normativa (vedi, in motivazione, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo concernente la sopravvenuta inidoneità fisica di lavoratore assegnato a mansioni diverse o inferiori rispetto a quelle di assunzione, Cass. 30/11/2015 n. 24377, con cui si è ribadito che l’assegnazione di un lavoratore, anche col suo consenso, a mansioni inferiori a quelle di assunzione, costituisce atto giuridico nullo ai sensi dell’art. 2103 capoverso, con le conseguenziali ricadute in tema di tutela approntata dal novellato art. 18 l. 300/70 in ipotesi di difetto di giustificazione del licenziamento, in relazione alla fattispecie in quella sede scrutinata).
In tal senso esente da critiche è la statuizione con la quale il giudice del gravame ha ritenuto che non poteva un fatto illecito essere posto a fondamento, secondo un vincolo di causalità, del recesso intimato per giustificato motivo oggettivo, la risoluzione del contratto di appalto per la vigilanza dell’istituto di credito cui da ultimo era stato adibito il dipendente, non configurandosi etiologicamente connessa con la intervenuta soppressione del posto di lavoro.
Nell’ottica descritta, ogni ulteriore censura sollevata dalla ricorrente con riferimento alla prospettata violazione dell’art.41 Cost. va ritenuta priva di pregio.
9. Ferme le sinora esposte considerazioni, non può tuttavia, sottacersi che secondo i principi affermati da questa Corte (vedi Cass. 2/5/2018 n. 10435) una volta accertata l’ingiustificatezza del licenziamento per carenza di uno dei presupposti, il giudice di merito, ai fini dell’individuazione del regime sanzionatone da applicare, deve verificare se sia manifesta ossia evidente l’insussistenza anche di uno solo degli elementi costitutivi del licenziamento, cioè della ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa che causalmente determini un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, ovvero della impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse.
Della scelta concernente l’alternativa fra l’applicazione del regime sanzionatorio più severo (di cui al comma quarto dell’art. 18 L. 300/70 novellato) e quello meno rigoroso (di cui al comma quinto), deve farsi carico, sotto il profilo motivazionale, il giudice del merito.
Nella fattispecie qui delibata, detta valutazione non appare adeguatamente esplicitata, onde, sotto tale profilo, la pronuncia va cassata con rinvio alla Corte di merito designata in dispositivo che provvederà nei sensi descritti, attenendosi al dictum della sentenza da ultimo richiamata.
10. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18 c. 2 e 3 l. 300/1970 come modificato dall’art. 1 c. 42 l. 92/2012 e dell’art. 3 l. 604/1966, degli artt. 1366, 1372, 2727 c.c. in relazione all’art.360 comma primo n. 3 c.p.c.. Si censura la sentenza impugnata per non aver valutato il comportamento complessivamente tenuto dalla società a far tempo dal 2012 in termini di presunzione sulla natura ritorsiva del licenziamento intimato.
11. Il secondo motivo concerne l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra. le parti nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 18 c.2 e 3 l. 300/1970 come modificato dall’art. 1 c. 42 l. 92/2012 e dell’art. 3 l. 604/1966, degli artt. 1366, 1372, 2727 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo nn. 3 e 5 c.p.c.. Si ribadisce che il carattere ritorsivo del recesso, denegato dai giudici del gravame, si era esplicato, nel corso di un periodo di circa due anni, in comportamenti crescenti, ben rimarcati e desumibili da dati documentali acquisiti in giudizio.
12. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.
I rilievi formulati dal ricorrente — che si riferiscono a prospettata violazione di legge (primo motivo) e vizio di motivazione (secondo motivo) – sono volti, nella sostanza, a sindacare un accertamento di fatto condotto dal giudice del merito, che ha portato lo stesso a ritenere “non idoneamente supportata dalle deduzioni istruttorie di primo grado” la tesi sostenuta circa la natura ritorsiva del licenziamento. La Corte ha infatti sostenuto, con argomentazione logico-giuridica ineccepibile, che per “verificare se la risoluzione del rapporto si ponga anche come ritorsiva, si dovrebbe ritenere dimostrato che la reclamante, già nel novembre del 2012 (dopo aver tentato di trasferire il lavoratore a Saluggia e non esservi riuscita per il mancato nullaosta delle organizzazioni sindacali, svolgendo il dipendente il ruolo di sindacalista), fosse a conoscenza del fatto che, un anno e due mesi dopo, nel dicembre 2013, avrebbe perduto l’appalto Banca Intesa a Limbiate”. Ma di tanto, non era stata fornita, come innanzi detto, alcuna prova.
A tale ricostruzione il ricorrente ne contrappone una difforme, non censurando puntualmente quella svolta in sentenza, ma proponendo una diversa valorizzazione degli elementi probatori raccolti, senza neanche specificamente riportare per esteso il testo dei documenti il cui contenuto sarebbe stato erroneamente valutato, ma solo riproducendo parzialmente il tenore di una conversazione intercorsa con il responsabile aziendale, inidonee a rappresentare, ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti di cui si lamenta l’omesso esame.
La quaestio facti rilevante in causa è stata, poi, trattata in conformità ai criteri valutativi di riferimento, pur pervenendo il giudice del gravame a conclusioni opposte a quelle indicate da parte ricorrente, osservandosi al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (vedi ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n: 195, Cass. 16/09/2013 n. 21099).
E l’ipotesi considerata rientra certamente nel paradigma da ultimo delineato, posta la necessaria valutazione dei termini in cui la condotta datoriale si è estrinsecata, alla stregua delle risultanze istruttorie, per valutarne la sussumibilltà nel paradigma normativo di riferimento.
In definitiva, al lume delle suesposte considerazioni, il ricorso incidentale va rigettato.
La pronuncia impugnata, va pertanto cassata con riferimento al secondo motivo del ricorso principale, entro i limiti descritti, e rinviata alla Corte distrettuale indicata in dispositivo che provvederà in conformità alle prescrizioni indicate, deliberando anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, per il versamento da parte ricorrente incidentale, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale nei sensi di cui in motivazione; dichiara inammissibili gli altri. Rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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