CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 febbraio 2019, n. 3146

Licenziamento collettivo – Svolgimento di mansioni non indispensabili nella fase di crisi economica – Violazione dei criteri di scelta

Fatti di causa

1. Con sentenza del 26.5.16 il Tribunale di Roma, accogliendo l’opposizione proposta da M.A. avverso l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria del rito di cui alla L. n. 92 del 2012, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al predetto dalla S. s.r.l., nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, ed ha applicato la tutela di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300 del 1970, come modificato dalla citata legge del 2012.

2. Il Tribunale ha dato atto di come al M. fossero stati assegnati zero punti sul rilievo che il predetto svolgesse, nel reparto manutenzioni interessato dagli esuberi, mansioni ritenute non indispensabili nella fase di crisi economica e di come, in epoca anteriore al licenziamento del predetto, la società avesse stipulato un contratto di lavoro, sebbene di durata annuale, col sig. F.G., per lo svolgimento delle stesse mansioni già assegnate al M.; ha ritenuto come tale condotta comprovasse la necessità delle mansioni di manutentore ai fini della prosecuzione dell’attività lavorativa e come ciò avrebbe dovuto comportare l’attribuzione al M. di dodici punti, connessi alla unicità delle mansioni medesime (il predetto era l’unico manutentore, non essendo stato dimostrato che il F. avesse lavorato come dipendente “in nero” per la società); secondo il Tribunale, l’illegittimità del licenziamento derivava dalla violazione dei criteri di scelta al momento della loro effettiva applicazione.

3. La Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento del reclamo proposto dalla S. s.r.l., ha respinto la domanda del M. di impugnativa del licenziamento intimato il 5.5.2014, ritenendo non sussistente la dedotta violazione dei criteri di scelta.

4. La Corte di merito ha osservato come, secondo le stesse allegazioni del M., egli non era l’unico addetto alla manutenzione in quanto a tali mansioni era adibito anche il F., il cui rapporto era stato regolarizzato solo in coincidenza col licenziamento di cui si discute; come, in ragione della non unicità nello svolgimento delle mansioni di manutentore, al M. non potessero spettare dodici punti, ma al più sei punti, previsti, nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, L. n. 223 del 1991, per i lavoratori “ritenuti indispensabili per consentire la prosecuzione dell’attività lavorativa”; che sommando questi sei punti agli otto punti già riconosciuti al M., lo stesso non avrebbe raggiunto un punteggio superiore a diciassette, necessario per non essere incluso tra i dipendenti da licenziare.

5. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il sig. M., affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la società.

Ragioni della decisione

1. Col primo motivo la difesa del lavoratore ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 4 e 5 L. n. 223 del 1991.

2. Ha sostenuto come la Corte di merito avesse posto a base della decisione un fatto sempre negato dalla società datoriale (e ritenuto non provato dai vari giudici), vale a dire che il F., prima della formale assunzione in data 29.4.14, fosse dipendente non regolarizzato della S. s.r.l.. Ha affermato come l’assunzione del F., in epoca anteriore al licenziamento del M. e nelle stesse mansioni a questi già assegnate, comportasse la mera sostituzione del dipendente e quindi il venir meno del nesso causale tra il progettato ridimensionamento e il singolo provvedimento di recesso, restando irrilevante la qualifica del F. quale lavoratore subordinato o collaboratore.

3. Ha ribadito la violazione dei criteri di scelta per la mancata assegnazione al M., quale unico manutentore, dei dodici punti da indicare nella compilazione della griglia necessaria al fine di individuare i lavoratori da licenziare e nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, L. n. 223 del 1991.

4. Col secondo motivo di ricorso è censurata la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, L. n. 223 del 1991, e per omessa valutazione di un fatto decisivo, per non avere la Corte di merito tenuto conto del diritto di precedenza nell’assunzione per i lavoratori in mobilità, quale era appunto il sig. M., previsto dalla citata disposizione, già invocata sia nel ricorso in opposizione e sia nella memoria di costituzione in sede di reclamo.

5. Il primo motivo non può trovare accoglimento posto che il lavoratore ha denunciato la violazione degli artt. 4 e 5, L. n. 223 del 1991, e specificamente l’erronea applicazione dei criteri di scelta (per la mancata attribuzione a se stesso di dodici punti legati alla unicità delle mansioni di manutentore svolte), senza tuttavia trascrivere e neppure indicare la collocazione processuale dei documenti della procedura di licenziamento collettivo su cui le censure si fondano; in particolare, gli accordi sindacali nella parte destinata ad individuare e applicare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

6. Nel caso di specie, peraltro, la sentenza d’appello, che riporta integralmente la sentenza di primo grado, ha precisato come l’assegnazione di sei punti fosse prevista per i lavoratori le cui mansioni erano ritenute indispensabili a consentire la prosecuzione dell’attività economica mentre i dodici punti erano assegnati ai lavoratori con mansioni di “Carrellista con patente, Conduttore Pannellatrice, Responsabile tecnico, Addetto Cassonetto, Conduttore macchina profilatrice – punzonatrice, perché unici nelle loro mansioni”; tra queste ultime, per come riportate nella sentenza impugnata, non risulta compresa la mansione di manutentore, svolta dal M., il che rende ancor più evidente il rilievo del mancato rispetto degli oneri di cui agli artt. 366, comma 1 n. 6 e 369, comma 2 n. 4 c.p.c..

7. Come più volte affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 29093 del 2018; n. 12362 del 2006; n. 11886 del 2006).

8. In tema di ricorso per cassazione, il soddisfacimento del requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., postula che nel detto ricorso sia specificatamente indicato l’atto su cui esso si fonda, precisandosi al riguardo che incombe sul ricorrente l’onere di indicare nel ricorso non solo il contenuto di tale atto, trascrivendolo o riassumendolo, ma anche in quale sede processuale lo stesso risulta prodotto (Cass. n. 16254 del 2012; n. 15628 del 2009).

9. Il secondo motivo di ricorso risulta inammissibile perché inconferente rispetto alle conclusioni del sig. M., come riportate nella sentenza d’appello, volte unicamente alla declaratoria di nullità o illegittimità del licenziamento. Difatti, la dedotta violazione dell’art. 8 L. 223/91, che, richiamando l’art. 15 L. 264/49, riconosce ai lavoratori licenziati da un’azienda per riduzione di personale il diritto di precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro sei mesi, non può in alcun modo influire sulla pretesa nullità o illegittimità del recesso.

10. Il motivo in esame è peraltro inammissibile nella parte in cui è formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in quanto non si conforma al modello legale del nuovo vizio motivazionale, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 2014.

11. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.

12. La regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

13. Si dà atto della non sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, atteso che, in materia di ricorso per cassazione, il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, come nel caso di specie, non è tenuto, ove sia rigettata l’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal citato art. 13, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. n. 18523 del 2014; Ord. n. 9538 del 2017; Ord. n. 7368 del 2017).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.