CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2019, n. 6087
Tributi – Accertamento – Importazioni – Diritti speciali – Omesso pagamento – Riscossione
Fatti di causa
G. M. Snc impugnava tre atti di accertamento e liquidazione emessi dal Comune di Livigno per l’omesso pagamento dei diritti speciali di cui all’art. 2, secondo comma, della l. n. 762 del 1973, richiesti per l’avvenuta importazione attraverso il valico con la Svizzera di Ponte del Gallo di merci di origine comunitaria.
Deduceva, in particolare, l’illegittimità dell’imposizione fondata sull’interpretazione della locuzione “estero” contenuta nella norma, intesa, dal Comune di Livigno, come inclusiva di tutti i prodotti non provenienti dal lato del territorio nazionale.
L’impugnazione, rigettata dalla Commissione tributaria provinciale di Sondrio, era accolta dal giudice d’appello.
Il Comune di Livigno ricorre per cassazione con tre motivi, poi illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste la contribuente con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 100 c.p.c.
Assume il Comune la carenza di interesse del contribuente attesa la neutralità del diritto speciale, che viene traslato, con un incremento di prezzo, sul consumatore finale.
1.1. Il motivo – al di là dei profili di inammissibilità in ordine alla ritualità della censura – è infondato: ai fini della sussistenza dell’interesse ad agire è ininfluente il dedotto carattere neutrale dell’imposizione e la traslazione dell’imposta sul consumatore.
Del resto, gli atti impugnati hanno ad oggetto una specifica pretesa impositiva verso il contribuente – mirata al recupero del tributo e alla comminatoria delle conseguenti sanzioni, che, in ogni caso, non sono automaticamente riversabili sul destinatario finale – come tale necessariamente incidente sulla sua sfera patrimoniale.
2. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2, primo e secondo comma, l. n. 762 del 1973, 23, 25, 95 e 299 Trattato CEE, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo.
2.1. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 28 (ex art. 23) e 30 (ex art. 25) TUE.
2.2. Il ricorrente lamenta, in particolare, che l’imposizione riguardava tutti i prodotti pervenuti attraverso il valico con la Svizzera a prescindere dall’origine, esclusa, dunque, ogni illegittimità o discriminazione. Rileva, inoltre, che, attesa la natura di zona extradoganale, l’imposizione per il diritto speciale non può essere equiparata ad un dazio o ad una tassa di effetto equivalente, costituendo, invece, il corrispettivo di un servizio.
3. I motivi vanno esaminati unitariamente perché logicamente connessi.
4. La doglianza è inammissibile quanto al dedotto vizio di motivazione, che non può riguardare il ragionamento giuridico e l’interpretazione delle norme ma solamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti (v. Sez. U, n. 28054 del 25/11/2008), censura, peraltro, in alcun modo articolata nel motivo.
5. Le denunciate violazioni, di legge, invece, sono infondate, dovendosi, peraltro, integrare la motivazione del giudice d’appello.
5.1. Il Comune di Livigno gode storicamente di uno speciale regime giuridico fiscale, giustificato dalla sua peculiare posizione geografica e di altitudine, ai limiti del territorio italiano ed in prossimità di quello svizzero.
Già l’art. 1, comma 3, l. n. 516 del 1910 (in continuità alla convenzione tra Comune e Governo austriaco del 1857 e, prima ancora, a quella del 1825) aveva, infatti, riconosciuto al Comune lo status di zona extradoganale, successivamente regolamentato con il d.m. 9 ottobre 1934, che veniva nuovamente ribadito dalla legge n. 1424 del 1940 e, poi, dal d.P.R. n. 43 del 1973. L’art. 7 d.P.R. n. 633 del 1972 disponeva, a sua volta, l’inapplicabilità della disciplina Iva.
5.2. Con la l. n. 762 del 1 novembre 1973 il legislatore nazionale ha istituito un diritto speciale a favore di Livigno, ossia un’imposta comunale sui consumi di determinati prodotti che fruivano già di agevolazioni doganali e fiscali.
L’art. 2, in particolare, dispone:
«Nel territorio extra doganale del comune di Livigno è istituito un diritto speciale sui seguenti generi ivi introdotti in esenzione dal dazio, dalle imposte erariali di consumo, dalle imposte di fabbricazione e dalle corrispondenti sovrimposte di confine: benzina, petrolio, gasolio e residui, lubrificanti.
Nello stesso territorio è altresì istituito un diritto speciale sui tabacchi lavorati e sui seguenti generi introdotti dall’estero: liquori ed acquaviti, articoli sportivi, profumi e prodotti di bellezza, apparecchi fotografici, apparecchi radio e televisivi, pelliccerie, pelletterie ed articoli di abbigliamento».
L’ammontare dell’imposizione è fissato con d.m. (art. 3), mentre l’applicazione del tributo (accertamento e riscossione) è gestito dal Comune, che ha adottato, a tal fine, un Regolamento con apposita delibera comunale.
5.3. Nella vicenda in esame, il Consiglio comunale di Livigno, con delibera del 20 novembre 2007, ha stabilito che la locuzione “estero” contenuta nel secondo comma dell’art. 2 l. n. 762 del 1973 andava intesa come riferita «a tutti i prodotti non provenienti dal territorio doganale nazionale», derivandone la tassazione anche di prodotti pacificamente di origine comunitaria.
5.4. Giova sottolineare, invero, che la specificità del Comune di Livigno è stata recepita anche dal diritto unionale: Livigno, pur facendo parte dell’Italia e dell’Unione Europea, non è compreso nel territorio doganale della UE e nei suoi confronti non si applicano i dazi d’importazione e di esportazione, né le misure di politica commerciale e agricola comune, né la direttiva Iva (v. art. 3, comma 1, 8a linea, Reg. n. 2193/92/CE, poi trasfuso nell’art. 4 Reg. n. 952/2013/UE; art. 3, comma 2, Direttiva n. 77/388/CEE, poi trasfuso nell’art. 6 Direttiva n. 2006/112/CE).
5.5. La connotazione di zona fuori dal territorio doganale unionale ovvero l’inapplicabilità della disciplina Iva, peraltro, non comporta anche la sottrazione, tout court, del territorio all’applicazione dei Trattati Unionali.
L’art. 52 TUE, infatti, prevede l’applicazione dei Trattati alla Repubblica Italiana e rinvia all’art. 355 TFUE (in cui sono stati trasfusi il § 2, primo comma, e i §§ da 3 a 6 dell’art. 299 del Trattato CE) quanto al “campo di applicazione territoriale”, disposizione, quest’ultima, che con riguardo all’Italia non contiene nessuna limitazione od eccettuazione.
Non è rilevante che il primo paragrafo dell’art. 299 TCE (che identificava l’ambito di applicazione del diritto comunitario «con quello in cui ciascuno Stato può esercitare la propria sovranità») non sia stato riprodotto nel TFUE e nel TUE poiché questi affermano, in termini univoci ed espliciti, la propria applicazione a tutti gli Stati dell’Unione, salve solo le specifiche deroghe di cui al 355 (oltre a quanto previsto dall’art. 349, che regola in termini di applicazione finalizzata la disciplina del Trattato avuto riguardo alle particolari condizioni socioeconomiche di alcuni territori oltremare).
In altri termini, il Comune di Livigno è, come l’intero territorio italiano, soggetto alla piena efficacia dei trattati unionali, esclusa solamente l’applicazione della disciplina doganale e della direttiva Iva.
5.6. Sulla questione, del resto, si rinviene specifico precedente nella sentenza della Corte di Giustizia 7 dicembre 1995, in C-45/94, Cámara de Comercio, Industria y Navegación di Ceuta, territorio sottoposto all’identico status di Livigno.
La Corte, in relazione all’istituzione da parte della città di Ceuta di un’imposta (arbitrio) sulle importazioni di merce cui corrispondeva una sostanziale esenzione di quelle prodotte in loco, ha ritenuto pienamente applicabili i principi del Trattato CE e, in concreto, non legittima la misura ivi adottata per contrasto con i principi di libera circolazione delle merci.
6. Ciò premesso, nella fattispecie in giudizio l’interpretazione propugnata dal Comune di Livigno sull’art. 2 l. n. 762 del 1973 comporta che prodotti aventi origine in Stati membri dell’Unione sono sottoposti ad imposizione quando l’ingresso nel territorio comunale è avvenuto attraverso la Svizzera.
6.1. In altri termini, alla luce dell’interpretazione dell’ente comunale, è così imposto unilateralmente un onere pecuniario sulle merci, che non corrisponde al corrispettivo di alcun servizio per l’importazione, per il solo fatto che esse attraversano una frontiera, sicché l’imposizione si traduce, a tutti gli effetti, in una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale, in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci (v. Corte di Giustizia, sentenza 2 ottobre 2014, in C-254/13, Orgacom BVBA, § 23-24; v. anche per la particolare ipotesi del cd. dazio di mare, le sentenze 16 luglio 1992, in C-163/90, Legros e a, e 19 febbraio 1998, in C-212/96, Paul Chevassus-Marche, e alle rigorose condizioni richieste per la compatibilità con il diritto dell’unione, valutate come sussistenti solo nell’ultima ipotesi).
È irrilevante, sul punto, che manchi un ufficio di dogana ovvero che sia lo stesso Comune a provvedere alla riscossione, rilevando solamente il dato sostanziale dell’imposizione per il solo fatto dell’attraversamento del confine «indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua struttura» (CG, Orgacom BVBA cit.).
Né assume rilievo, ai fini della individuazione del servizio, che le somme ricosse siano destinate alle spese per la comunità in generale, atteso che, da un lato, tale tipologia di spese non può essere imputata a specifiche categorie ma deve essere sostenuta dalla collettività nel suo complesso, e, dall’altro, manca una specifica individuazione del servizio assicurato, in concreto, all’i (riportatore.
Del resto «le tasse di effetto equivalente sono vietate a prescindere da qualsiasi considerazione circa lo scopo per il quale sono state istituite, come pure circa la destinazione dei proventi che ne derivano» (Corte di Giustizia, sentenza 21 giugno 2007, in C-173/05, Commissione delle Comunità europee c/Repubblica italiana, § 42; Corte di Giustizia, sentenza 19 ottobre 2017, in C- 65/16, Istanbul Lojistik Ltd).
6.2. La peculiarità della vicenda, invero, sta solo nel fatto che i beni prima erano entrati in Svizzera e poi, da lì, erano transitati in Livigno.
6.3. L’art. 28 TUEF (ex 23 TCE) peraltro dispone:
«1. L’Unione comprende un’unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi.
2. Le disposizioni dell’articolo 30 e del capo 3 del presente titolo si applicano ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri».
L’art. 30 TUEF (ex 25 TCE) a sua volta dispone:
«I dazi doganali all’importazione o all’esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale».
Assume rilievo, dunque, che i prodotti siano originari degli Stati membri, mentre è ininfluente che il transito dallo Stato membro a □vigno sia avvenuto attraversando (anche) il territorio svizzero.
6.4. La tesi dell’Amministrazione comunale, secondo la quale il diritto speciale sarebbe ancorato al fatto oggettivo della “provenienza” quale passaggio del confine con la Svizzera, si pone, pertanto, in palese contrasto con la disciplina unionale.
Secondo l’approccio propugnato tutti i prodotti – non importa se di paesi terzi, Stati membri dell’Unione o di origine nazionale – nel transitare il confine con la Svizzera sono soggetti al diritto speciale, mentre non sono soggetti ad alcun onere se pervenuti attraverso il territorio nazionale.
A prescindere che non risulta in alcun modo che il tributo speciale sia stato applicato anche a beni nazionali transitati attraverso la Svizzera ed è, per contro, incontroverso che le bollette attestavano l’origine comunitaria della merce (nella specie, liquori e profumi), ciò che assume rilievo è l’origine unionale del prodotto, che preclude l’applicazione di oneri aggiuntivi a vantaggio della corrispondente merce nazionale, pervenuta per via interna.
Non va neppure trascurato del resto che, con riferimento alle importazioni dalla Svizzera, si devono applicare le stesse condizioni di esenzione dai dazi e diritti previste per le merci di provenienza comunitaria, in virtù del principio di libero scambio previsto dal Trattato tra la Svizzera e la CEE del 22 luglio 1972, il cui art. 6, parallelamente alle disposizioni del TFUE (e TCE), fa divieto di introduzione di tassa di effetto equivalente a dei dazi doganali all’importazione negli scambi tra la Comunità e la Svizzera.
6.5. Né una tale prospettiva può essere giustificata qualificando – come suggestivamente sembra indicare il ricorrente evocando l’art. 95 del Trattato CE – l’imposizione come tributo interno sulla base di un ipotetico equilibrio tra prodotti pervenuti “per via interna”, limitati quantitativamente al contingente annuo, e prodotti pervenuti attraverso la frontiera svizzera, scevri da un contingente e soggetti all’imposta speciale.
Una imposizione interna (oggi disciplinata dall’art. 110 TFUE), infatti, colpisce sistematicamente categorie di merci secondo criteri obiettivi, applicati indipendentemente dalla provenienza delle merci (ossia, al contempo prodotti importati, esportati e nazionali) mentre nel caso in esame l’imposizione colpisce esclusivamente il prodotto che varca la frontiera, restando i prodotti pervenuti dal territorio nazionale, strutturalmente, in esenzione.
7. Acclarato, dunque, che l’interpretazione fatta propria dal Comune di Livigno concretizza una violazione del diritto unionale, occorre sottolineare che la locuzione “estero” di cui al secondo comma dell’art. 2 della l. n. 762 del 1973 non può neppure essere intesa nella limitata accezione propugnata con l’ordinanza del Consiglio comunale di Livigno del 20 novembre 2007 n. 101.
La norma, infatti, è venuta ad esistenza in un contesto normativo complesso che già vedeva, come realtà effettiva, l’entità sovranazionale costituita dall’Unione europea (allora Comunità Economica Europea), ampiamente sostenuta dall’Italia (che ne era uno degli Stati fondatori), e nella piena vigenza del Trattato CE, che imponeva di articolare le relazioni con gli altri Stati membri non in termini di “rapporti tra Stati esteri” ma secondo dinamiche di collaborazione ed equivalenza in vista di obbiettivi comuni e condivisi.
Mutata era la stessa qualificazione degli scambi internazionali, distinti ormai – e con regole significativamente differenti – tra scambi intracomunitari ed extracomunitari.
È evidente, dunque, che la locuzione “introdotti dall’estero” di cui alla legge n. 762 cit. assumeva necessariamente il valore di importazioni di beni extracomunitari, mentre è escluso che potesse essere intesa come riferita a prodotti di origine comunitaria (non più riconducibili alla tradizionale classificazione), né, tantomeno, che indicasse – con un inopinato “declassamento” (mai prospettato anteriormente alla citata delibera) – il mero ingresso di beni (indistintamente considerati) attraverso la frontiera svizzera.
Ne deriva, pertanto, che il Regolamento del Comune di Livigno per l’applicazione dei diritti speciali nei limiti della modifica operata con l’ordinanza del Consiglio comunale del 20 novembre 2007 n. 101 va disapplicato perché in contrasto con la disciplina nazionale e unionale.
8. In conclusione, va affermato il seguente principio:
«l’assoggettamento al diritto speciale, previsto per il territorio extradoganale di Livigno dall’art. 2, secondo comma, l. n. 762 del 1973, di prodotti di origine unionale, ancorché transitati attraverso la Svizzera, costituisce violazione al principio di libera circolazione delle merci di cui agli artt. 28 e 30 TUEF, dovendosi interpretare la locuzione “introdotti dall’estero”, contenuta nel citato art. 2, come riferita esclusivamente alle importazioni da paesi terzi rispetto agli Stati membri dell’Unione Europea»
9. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese vanno compensate attesa la novità della questione e l’esistenza di difformi orientamenti nella giurisprudenza di merito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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