CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2021, n. 5549
Annullamento della intimazione di pagamento – Credito INPS per contributi e somme aggiuntive – Difetto di giurisdizione da parte della Commissione tributaria – Decorso del termine prescrizionale – Riconoscimento di debito, quale atto interruttivo della prescrizione – Specifica intenzione ricognitiva – Consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse – Comportamento tacito obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 302 del 2017, ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta da Equitalia Sud s.p.a. avverso la sentenza di primo grado ed, in riforma della stessa, ha eliso la pronuncia di primo grado di annullamento della intimazione di pagamento oggetto del giudizio, confermando tuttavia l’insussistenza del credito – preteso dall’INPS nei riguardi di C.O.P., società cooperativa a responsabilità limitata – portato dalla cartella cui l’intimazione si riferiva, relativamente a contributi e somme aggiuntive per gli anni compresi tra il 1983 ed il 1988.
2. Ad avviso della Corte territoriale, premesso che il giudizio era proseguito dinanzi al giudice ordinario dopo la declaratoria di difetto di giurisdizione da parte della Commissione tributaria originariamente adita e che il primo giudice aveva accertato il decorso del termine prescrizionale essendo stato notificato il primo atto interruttivo – identificato nella intimazione di pagamento – solo in data 20 aprile 2012, andava condiviso il rilievo sollevato dall’appellante relativo alla erroneità della pronuncia di annullamento dell’intimazione di pagamento, ma doveva essere disatteso il motivo d’appello con il quale Equitalia Sud s.p.a. aveva eccepito il difetto d’interesse a proporre l’opposizione in ragione del fatto che la C.C.. a.r.l. aveva chiesto la rateizzazione del debito in data 10 ottobre 2014, non potendosi ravvisare in ciò alcuna volontà abdicativa dell’azione intrapresa e cioè alcun riconoscimento del debito, ed ha confermato nel merito l’accertamento di avvenuto decorso del termine di prescrizione del debito contributivo preteso.
3. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione Agenzia delle Entrate Riscossione già Equitalia Servizi Riscossione, succeduta ad Equitalia Sud s.p.a., sulla base di tre motivi successivamente illustrati con memoria.
Resiste con controricorso C. O.P. s.c.a.r.l. L’ INPS non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione al principio di libera valutazione delle prove quanto alla attribuzione di valore probatorio diverso da quello che avrebbe dovuto assegnarsi alla richiesta di rateazione presentata dalla C. – s.c.a.r.l., alla quale era stata negato il valore probatorio di atto ricognitivo con effetti interruttivi della prescrizione, pure essendo essa stata accolta dall’Agente per la riscossione. In sostanza, sostiene il ricorrente, la sentenza impugnata non avrebbe dovuto ricercare nella domanda di rateizzazione una volontà negoziale, attesa la natura di mera dichiarazione dell’atto di riconoscimento del debito, regolato dall’art. 2944 c.c., insito nella richiesta di rateizzazione.
5. Con il secondo motivo si denuncia l’omessa pronuncia su di una eccezione di parte non rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 360, primo comma n.4 c.p.c., in ragione del fatto che la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata sulla eccezione di carenza di interesse ad agire sollevata dall’appellante con il secondo motivo d’appello. La sentenza, lamenta la ricorrente, si era limitata ad affrontare la sola tematica della valenza probatoria da attribuirsi alla richiesta di rateizzazione.
6. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la mancata applicazione dell’art. 17 d.lgs. n. 46 del 1999 e degli artt. 19 e 20 d.lgs. n. 46 del 1999, in ragione del fatto che il termine prescrizionale doveva ritenersi decennale e non quinquennale.
Ad avviso della ricorrente, in particolare, pur in presenza dell’orientamento assunto da SS.UU. n. 23397 del 2016, la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare che l’art. 49 d.P.R. n. 602 del 1973 aveva attribuito al ruolo reso esecutivo e sottoscritto dal titolare dell’Ufficio la natura di titolo esecutivo. Inoltre, la ricorrente richiama a sostegno della propria tesi il contenuto degli artt. 19 e 20 d.lgs. n. 46 del 1999 dai quali si evincerebbe la scelta del legislatore di aver previsto il termine di prescrizione decennale per la riscossione dei crediti iscritti a ruolo e o affidati dagli enti creditori all’Agente della riscossione.
6. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto incentrati entrambi sulla interpretazione che la sentenza impugnata ha dato della circostanza della presentazione della domanda di regolarizzazione della posizione contributiva pretesa e dell’accoglimento della stessa, sono inammissibili.
7. Questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che il riconoscimento di debito, quale atto interruttivo della prescrizione, pur non avendo natura negoziale, ne’ carattere recettizio e costituendo un atto giuridico in senso stretto, non solo deve provenire da un soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, ma richiede altresì in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo a tal fine la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse o che lo stesso riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore, dunque può (Cass. 24555/2010) anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore.
Peraltro, l’indagine diretta a stabilire se una dichiarazione costituisca riconoscimento, ai sensi dell’articolo 2944 cod. civ., rientra nei poteri del giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in cassazione se sorretto da corretta motivazione.
8. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato atto che non risultava neanche prodotta la domanda di rateizzazione dalla quale si sarebbe dovuto trarre la prova del consapevole riconoscimento del debito contributivo per cui non poteva procedersi alla interpretazione sollecitata dalla parte e che dal documento attestante l’accoglimento della domanda non poteva presumersi che il debitore avesse inteso riconoscere il debito, oltre che ottenere la rateizzazione del medesimo. Si tratta di motivazione che, per essere espressione dei poteri di apprezzamento della realtà fattuale acquisita al processo, non può neanche in via meramente ipotetica porsi quale violazione dei canoni di valutazione delle prove di cui all’art. 116 c.p.c. evocato dal ricorrente, e, peraltro, tale motivazione non viene censurata neanche nei ristretti limiti ammessi dal vizio indicato nell’art. 360, primo comma n. 5, c.p.c.
9. Il terzo motivo è infondato poiché sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017).
10. Soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D. Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
11. In linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che in tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009).
12. Allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);
13. In base alle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
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