CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2021, n. 5551
Contributi dovuti per i lavoratori dello spettacolo – Omissione – Opposizione a cartella esattoriale – Applicabilità del termine quinquennale di prescrizione
Fatti di causa
1. Con sentenza del 4.2.14, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del 2010 del tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione a cartella esattoriale, per Euro 185.760 ed euro 1.788, relativa a contributi dovuti per alcuni lavoratori dello spettacolo dal 1988 al 1995.
2. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che l’originario debito verso l’Enpals (cui ex articolo 21 DL 201/11 conv. in L. 214/11 era poi succeduto INPS) era stato novato all’esito di provvedimento n. 8 del 1998 dell’Inps, che aveva rideterminato il credito, all’esito di istanza di condono e, per altro verso, di ricorso amministrativo parzialmente accolto, con conseguente applicabilità del termine quinquennale di prescrizione previsto dall’articolo 3 comma 9 della legge 335 del 95. La corte ha quindi ritenuto prescritto il credito per decorso del detto termine.
3. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per due motivi, cui resiste la società con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo si deduce violazione degli articoli 3 co. 9 e 10 legge 335/95 e 3 d.l. 295/96, per avere la sentenza impugnata trascurato che con verbale ispettivo notificato il 24.11.95 era stata contestata l’omissione contributiva per 230 lavoratori dello spettacolo e che solo per parte dei lavoratori era stato accolto il ricorso amministrativo della società, mentre il condono dalla stessa presentato si riferiva ad altri crediti diversi.
5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione delle medesime norme su dette nonché dell’articolo 1230 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che la precedente procedura di recupero (documentata con verbale ispettivo notificato il 24.11.95) era precedente alla I. 335/95, sicché il termine – ai sensi delle disposizioni della medesima legge – era rimasto decennale, e per avere trascurato la sentenza impugnata l’inconfigurabilità della novazione per il carattere pubblicistico del credito e perché l’INPS aveva solo modificato quantitativamente l’originario credito senza estinguerlo.
6. I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono fondati.
7. L’art. 3 co. 9 e 10 della legge n. 335 del 1995 prevede che il termine di prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria, a decorrere dal 1 gennaio 1996, è ridotto a cinque anni (salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti) e che detto termine si applica anche alle contribuzioni relative a periodo precedenti la data di entrata in vigore della legge, “fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente”, nel quale caso continua ad operare il vecchio termine decennale (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 6173 del 07/03/2008, Rv. 602255 – 01).
8. Nella specie, è pacifico che il credito del quale si discute era stato accertato, insieme ad altri, dal verbale ispettivo INPS del 24.11.95.
9. Questa Corte (da ultimo, Cass. Sez. L, ordinanza n. 3634 del 13/02/2020), ha già chiarito che con l’inciso «procedure iniziate» (che non ha riguardo ad atti interruttivi della prescrizione, ma a vicende che, per espressa volontà di legge, conservano l’applicazione del vecchio termine prescrizionale decennale per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della detta legge n. 335 del 1995, v. Cass. S.U. n. 6173 del 07/03/2008, cit.) il legislatore ha inteso anche quelle che, pur non richiedendo l’instaurazione del contraddittorio con il debitore, si concretano comunque in una serie di atti finalizzati inequivocabilmente al conseguimento della pretesa creditoria (cfr. Cass. n. 11529/2013, Cass. n. 46/2009, Cass. n. 1468/2004, Cass. n. 12822/2002). Deve trattarsi di atti univocamente finalizzati al recupero dell’evasione contributiva, proprio in virtù dell’intento del legislatore di realizzare un «effetto annuncio» idoneo ad evitare la prescrizione dei vecchi crediti (come precisato da Cass. 06/07/2015, n. 13831). Sulla scorta di tali principi, è stato ritenuto atto idoneo anche la redazione di verbali di accertamento meramente interni (Cass. n. 11529 del 2013, cit.), sicché certamente tale era l’accertamento ispettivo su richiamato.
10. Il termine prescrizionale era dunque, ai sensi delle richiamate disposizioni, sempre decennale; esso non era decorso all’epoca della notifica della cartella esattoriale per cui è causa.
11. In data successiva all’entrata in vigore della legge 335/95, la società debitrice ha presentato condono con riferimento alle posizioni di alcuni lavoratori (condono poi pagato e definito) e, con riferimento alla posizioni degli altri lavoratori, ha presentato ricorso amministrativo, accolto parzialmente con riferimento ad alcuni lavoratori; all’esito del condono e della decisione sul ricorso amministrativo, residuavano i debiti contributivi per gli altri lavoratori; l’ente previdenziale ha quindi rideterminato il debito complessivo della società, in relazione al quale è stata emessa la cartella esattoriale per cui è causa.
12. Ricostruiti i fatti come sopra, risulta evidente che condono e ricorso amministrativo non si riferiscono al credito contributivo per i lavoratori di cui alla cartella opposta, ma a posizioni di lavoratori diversi, sicché essi restano irrilevanti.
13. Né può ritenersi, come fatto dalla corte territoriale, che con la rideterminazione del credito complessivo all’esito dell’accoglimento del ricorso amministrativo e della definizione del condono ci sia stata la novazione del credito per cui è causa, e ciò per una pluralità di ragioni.
14. In primo luogo, i debiti contribuitivi della società non sono unitari, riferendosi alla posizione di lavoratori diversi, sicché i debiti relativi alla posizione dei lavoratori non interessati dal condono né dal ricorso amministrativo (ossia i debiti portati dalla cartella per cui è causa) non sono stati oggetto di alcuna rideterminazione, essendo rimasti immutati.
15. In secondo luogo, le obbligazioni contributive sono obbligazioni pubbliche il cui contenuto è determinato dalle norme, essendo sottratta – in considerazione del principio di legalità che regola la materia contributiva previdenziale e l’indisponibilità dei relativi crediti – l’incidenza su di essi da parte degli enti gestori delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza, che non possono porre in essere atti dispositivi del diritto riguardo ai crediti previdenziali (quale ad esempio la novazione), essendo possibili invece atti di autotutela (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 18054 del 02/07/2008 Rv. 604146 -01).
16. In terzo luogo, va rilevato che altro è fondare la pretesa su atti successivi al momento di nascita del credito, altro è dire che ciò implichi una novazione, tanto più che non è mai stata espressa da parte dell’ente previdenziale la volontà di estinguere l’originaria obbligazione ma unicamente quella di portare una modificazione quantitativa al complessivo debito della società (costituito, come detto, dalla sommatoria di posizioni debitorie distinte ed autonome), reiterando la pretesa creditoria con riferimento ai crediti contributivi relativi alle sole posizioni dei lavoratori non interessati dal condono né dal ricorso amministrativo.
17. Questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15980 del 06/07/2010, Rv. 613918 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1218 del 21/01/2008, Rv. 601381 – 01) ha infatti in proposito già precisato che l’atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento, non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità; la novazione oggettiva esige invero l’ “animus novandi”, cioè l’inequivoca, comune, intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’ “aliquid novi”, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. Più di recente, si è anche affermato (Sez. L – , Sentenza n. 27390 del 29/10/2018, Rv. 650992 – 01) che la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, ai sensi dell’art. 1230 c.c., non è ricollegabile alle mere modificazioni accessorie di cui all’art. 1231 c.c. e deve essere connotata non solo dall’ “aliquid novi”, ma anche dall’ “animus novandi” (inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo) e dalla “causa novandi” (intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo); l’accertamento di tali tre elementi (volontà, causa ed oggetto del negozio) compiuto dal giudice di merito è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato.
18. La sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi e deve dunque essere cassata; la causa va rinviata alla medesima corte d’appello in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla medesima corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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