CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2018, n. 23670
Tributi – Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Conferimento ramo d’azienda – Immobili nel compendio aziendale – Rendita catastale
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. Con due distinti ricorsi di uguale contenuto (iscritti al medesimo n. 11502/11 rg.) la Società E.T. per la Distribuzione di Energia Elettrica spa (in quanto tale, ed anche in veste di incorporante la Società E.T. per la Distribuzione dell’EEH spa) chiede, sulla base di tredici motivi, la cassazione della sentenza n. 49/01/10 del 25 ottobre 2010, con la quale la commissione tributaria di II grado di Trento, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di liquidazione ad essa notificati per maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale 2005.
Con un terzo autonomo ricorso (parimenti iscritto al medesimo n.rg) anche E.D. spa chiede, sulla base di otto motivi, la cassazione della medesima sentenza.
Il tutto con riguardo ad un’operazione negoziale intercorsa tra le parti (a seguito della liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica: Dir. 96/92/CE; d.lgs.79/99; L. Provincia Autonoma di Trento n. 3/2000), e così articolata:
– 27 giugno 2005, costituzione da parte di E.D. spa (in esecuzione di contratto preliminare del 21 dicembre 2004) di una nuova società (‘newco’), denominata Società E.T. per la Distribuzione di Energia Elettrica srl (S.D.), con contestuale conferimento ad essa del ramo di azienda costituito dall’attività di vendita, distribuzione e misurazione dell’energia elettrica nella Provincia di Trento;
– stessa data, cessione da parte di E.D. spa a SET Holding spa della quota rappresentante l’intero capitale sociale della neocostituita S.D.
– 4 luglio 2005, trasformazione di S.D. srl in S.D. spa;
– 21 settembre 2006, fusione tra la incorporante S.D. spa e la incorporata SET Holding spa.
A detta della commissione tributaria di II grado, correttamente l’amministrazione finanziaria – all’esito di verifica intrapresa il 5 giugno 2008 dalla Guardia di Finanza presso S.D. spa – aveva riqualificato l’operazione in questione, ex art. 20 d.P.R. 131/86, in termini di cessione di ramo aziendale da E.D. spa a SET Holding spa (poi S.D. spa); con conseguente suo assoggettamento (ex art.2, parte prima, Tariffa all.), ad imposta di registro in misura proporzionale, nonché ad imposta ipotecaria e catastale sul valore degli immobili ricompresi nel compendio aziendale ceduto.
Tale riqualificazione negoziale, inoltre, era stata dall’ufficio legittimamente contestata – nell’osservanza delle norme regolatrici l’istruttoria tributaria – mediante distinte notificazioni del medesimo avviso di liquidazione tanto a S.D. spa (nella suddetta duplice qualità), quanto alla cedente E.D. spa nella sua veste di co-obbligato solidale.
Resiste con distinti controricorsi l’agenzia delle entrate.
S.D. ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
2.1 Ricorsi di S.D. spa.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 14, co. 1° l. 890/82 e 76, co. 3 – 52, co. 3 d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale respinto l’eccezione di illegittimità dell’avviso di liquidazione per inesistenza della relativa notifica, nonostante che quest’ultima fosse stata eseguita dall’ufficio tramite il servizio postale, ex art. 14 l.890/82 cit., senza avvalersi di “messi speciali autorizzati” come previsto, per l’imposta di registro ed ipocatastale, all’articolo 52, co.3 cit..
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 3, co. 1 e 2 L.890/82, e 76, co. 2, d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale respinto l’eccezione di nullità dell’avviso di liquidazione in quanto notificato in assenza (oltre che del n. di registro cronologico e del sigillo dell’ufficio) di relata. Né tale nullità poteva dirsi sanata, ex art. 156 cod.proc.civ., dalla presentazione del ricorso in opposizione; posto che la sanatoria riguardava unicamente gli atti di natura processuale e che, in ogni caso, tale presentazione era avvenuta (11 novembre 2008) successivamente al maturare della decadenza dell’ufficio dal potere impositivo (14 luglio 2008: termine triennale dalla registrazione dell’atto di cessione della quota di partecipazione).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 12, co. 7, legge 212/00; 3, co. 1, 21 septies d.lgs. 241/90; 52, co.3 d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale respinto l’eccezione di nullità dell’avviso di liquidazione, nonostante che quest’ultimo non fosse stato notificato (11 luglio 2008) nel rispetto di 60 giorni dalla notificazione del processo verbale di constatazione (7 luglio 2008), con conseguente violazione del contraddittorio preventivo. Né tale nullità era esclusa dalla motivazione (meramente apparente) di tale mancato rispetto (imminente decadenza dell’ufficio dal potere impositivo), non costituendo, quest’ultima, un’ipotesi legittimante di “particolare” ed “imprevedibile” urgenza.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 52-63 dpr 633/72; 33 d.P.R. 600/73 e 51 d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in oggetto, nonostante che quest’ultimo si basasse sull’esito di una verifica fiscale con accesso priva della prescritta autorizzazione da parte del capo dell’ufficio; atto di rilevanza esterna, e necessario anche nel caso di accesso da parte della Guardia di Finanza. Né tale mancanza poteva trovare rimedio nell’autorizzazione effettivamente rilasciata il 6 giugno 2008, dal momento che l’accesso era iniziato il giorno precedente; che tale autorizzazione riguardava unicamente il giorno di sua emissione; che in essa si faceva riferimento, quale scopo dell’accesso, unicamente alle imposte dirette ed all’Iva, senza possibilità di estensione all’imposta di registro ed ipocatastale 2005.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 52-63 dpr 633/72; 33 d.P.R. 600/73 e 51 d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che l’autorizzazione mancante all’accesso potesse validamente intervenire, con effetto sanante, anche in data successiva all’inizio delle operazioni di verifica.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 52-63 dpr 633/72; 33 d.P.R. 600/73 e 51 d.P.R. 131/86; 12, co. 1, legge 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto la validità dell’avviso di liquidazione, nonostante che la mancanza di autorizzazione all’accesso determinasse l’illegittimità derivata del medesimo e, comunque, l’inutilizzabilità degli elementi probatori illegittimamente acquisiti e posti a suo fondamento.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 52-63 dpr 633/72; 33 d.P.R. 600/73 e 51 d.P.R. 131/86. Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto ininfluente la mancanza di autorizzazione all’accesso per il giorno 5 giugno 2008 in quanto, in tale data, i verbalizzanti si erano limitati a richiedere alla società le scritture contabili ed altra varia documentazione; poi esaminata solo in data successiva, allorquando l’autorizzazione era intervenuta. Contrariamente a tale assunto, si verteva di documentazione probatoria illegittimamente acquisita e, come tale, non utilizzabile a sostegno dell’avviso di liquidazione.
Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 52-63 dpr 633/72; 33 d.P.R. 600/73 e 51 d.P.R. 131/86; 12, co.1, legge 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione, nonostante che le operazioni di verifica fossero state motivate con lo scopo di accertamento di imposte (HDD ed Iva) diverse da quelle poi contestate; e ciò in assenza di autorizzazione all’estensione della verifica a queste ultime.
Con il nono motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 20 d.P.R. 131/86, nella qualificazione in termini di cessione di ramo aziendale del complesso negoziale rappresentato dal conferimento di azienda e successiva cessione delle quote di partecipazione nella conferitaria. Erroneamente la commissione tributaria regionale aveva omesso di considerare che l’art.20 cit.: – non era norma antielusiva (al pari dell’articolo 37 bis d.P.R. 600/73) ma di mera qualificazione; – concerneva l’atto presentato alla registrazione, risultando per contro irrilevante ogni elemento extratestuale, quale il comportamento complessivo delle parti ovvero il collegamento con altri negozi; – nel richiamare la prevalenza “dell’intrinseca natura” e degli “effetti giuridici” dell’atto sul suo ‘titolo” o “forma apparente”, escludeva la rilevanza degli effetti finali e complessivi di natura “economica”; – colpiva, nell’intendimento del legislatore, la capacità contributiva emergente dall’atto, non anche quella asseritamente emergente da una diversa qualificazione negoziale complessiva, così come individuata dall’interprete.
Con il decimo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 20 d.P.R. 131/86.
Per avere la commissione tributaria regionale omesso di considerare che: – sul piano degli effetti strettamente “giuridici” (gli unici rilevanti, a scapito di quelli puramente “economici”), una cosa era cedere l’azienda a fronte di corrispettivo, e tutt’altra cedere la partecipazione societaria; – il mero risparmio d’imposta (rispondente ad opzione di convenienza economica nell’esercizio di insindacabili scelte imprenditoriali) non poteva ritenersi di per sé illegittimo, salvo che fosse perseguito mediante un uso distorto degli strumenti giuridici (abuso del diritto: sent.CGUE, Halifax ed altre in termini), cosa che nella specie non si era verificata.
Con l’undicesimo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. – motivazione insufficiente su un fatto controverso e decisivo del giudizio. Per non avere la commissione tributaria regionale adeguatamente motivato su quanto dalla società dedotto, ex art.20 d.P.R. 131/86, in ordine al fatto che: – l’acquisizione di una partecipazione sociale non implicasse, sul piano giuridico, l’acquisizione dell’azienda della società partecipata; – nel patrimonio dell’acquirente S. Holding spa fosse entrata, non un’azienda, ma la partecipazione societaria, intesa quale bene di “secondo grado”; – la proprietà della partecipazione non conferisse diritti sui beni della società, ma solo posizioni giuridiche sul funzionamento e l’organizzazione interna di quest’ultima, con esclusione di assunzione di rischio di impresa in capo al socio di capitale.
Con il dodicesimo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. – motivazione insufficiente su un fatto controverso e decisivo del giudizio. Per non avere la commissione tributaria regionale fornito reale spiegazione del perché il conferimento di azienda seguito dalla cessione della partecipazione nella società conferitaria implicasse necessariamente un uso distorto degli strumenti giuridici, così da giustificare una ripresa antielusiva a tassazione; e ciò, nonostante che la possibilità di tale modalità di acquisizione aziendale fosse prevista dalla stessa legge tributaria (art.176, co.3, d.P.R. 917/1986).
Con il tredicesimo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 4 cod.proc.civ. – l’illegittimità della sentenza per violazione dell’articolo 53, co. 1, d.lgs. 546/92 . Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di appello concernente l’erronea liquidazione delle imposte e degli interessi da parte dell’ufficio, nonostante che la società appellante avesse specificamente censurato la sentenza di primo grado, assumendo che: – l’onere di provare il quantum dovuto gravasse, per regola generale ex articolo 2697 cod.civ., sull’amministrazione finanziaria; – nel caso in questione, quest’ultima avesse assunto quale base imponibile il valore lordo contabile degli immobili indicati in perizia (euro 15.828.000,00), invece che il valore netto (euro 7.324.000,00); – l’esatto ammontare dell’imposta potesse essere verificato anche dal giudice nell’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi demandatigli dalla legge.
2.2 Ricorso di E.D. spa.
Con il primo motivo di ricorso E. lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 4 cod.proc.civ. – nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. Per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato alcunché sul motivo di appello concernente l’illegittimità dell’avviso di liquidazione perché basato su un processo verbale di constatazione non sottoscritto da E., e rimasto a questo estraneo (violazione del contraddittorio preventivo).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. – insufficiente motivazione sulla medesima questione di cui al motivo di ricorso che precede (ove ritenuta assistita da pronuncia di rigetto implicito). Per avere la commissione tributaria regionale motivato con riguardo ad un aspetto (mancanza di autorizzazione all’accesso e di estensione della verifica alle imposte in oggetto) differente da quello dedotto (violazione dell’articolo 12 legge 212/00 per mancata partecipazione alle operazioni di verifica).
Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 12 legge 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in questione, nonostante che esso fosse stato emanato – per le indicate ragioni di mancata partecipazione e comunicazione del processo verbale di constatazione – in violazione del contraddittorio preventivo.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 4 cod.proc.civ. – nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. Per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato alcunché sul motivo di appello concernente l’illegittimità dell’avviso di liquidazione perché basato su un processo verbale di constatazione (relativo ad altra società) ad esso non allegato (carenza di motivazione dell’avviso e violazione dell’art. 7 legge 212/00).
Con il quinto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 5 cod.proc.civ. – insufficiente motivazione sulla medesima questione di cui al motivo di ricorso che precede (ove ritenuta assistita da pronuncia di rigetto implicito). Per avere la commissione tributaria regionale motivato con riguardo ad un aspetto (mancanza di autorizzazione all’accesso e di estensione della verifica alle imposte in oggetto) differente da quello dedotto (violazione dell’articolo 7 legge 212/00 per mancata allegazione del processo verbale all’avviso di liquidazione).
Con il sesto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art.7, co. 1, legge 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in questione, nonostante che esso fosse carente di motivazione perché privo della allegazione del processo verbale di constatazione redatto nei confronti di società diversa.
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione dell’articolo 12, co.7, legge 212/00. Per avere la commissione tributaria regionale affermato la legittimità dell’avviso di liquidazione, nonostante che esso non fosse stato notificato nel rispetto di 60 giorni dalla chiusura del processo verbale di constatazione. Né la violazione del contraddittorio preventivo così derivatane (affermata pacificamente dalla giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità) poteva ritenersi esclusa per effetto del richiamo all’urgenza derivante dalla imminente decadenza dell’ufficio dal potere impositivo, non costituendo, quest’ultima, ragione giustificativa della compressione dei diritti del contribuente.
Con l’ottavo motivo di ricorso E. lamenta – ex art. 360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 20 d.P.R. 131/86; 176, co.3, T.U.I.R.; 10 legge 212/00; 37 bis d.P.R. 600/73; 41 Cost. e 1322 cod.civ.. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione in forza di un’erronea applicazione del potere di riqualificazione negoziale ex art. 20 cit., atteso che quest’ultima norma: – concerneva un’imposta d’atto, inteso quest’ultimo non quale complesso negoziale, ma quale “documento presentato alla registrazione; – se interpretata in funzione antielusiva, si poneva in contrasto sistemico sia con la regola di piena legittimità, ai fini delle imposte dirette, del trasferimento aziendale mediante conferimento societario (incoerenza interna all’ordinamento), sia con le indicazioni provenienti dal diritto comunitario (art.7 Dir.69/335/CEE), volte a favorire fiscalmente le operazioni in questione (tanto che, in ottica di applicazione antielusiva, sussistevano i presupposti per rimettere alla CGUE la questione interpretativa dell’articolo 20 in esame); – non precludeva il risparmio d’imposta allorquando quest’ultimo derivasse da scelte imprenditoriali discrezionali e fisiologiche, non già distorte e di aggiramento di norme fiscali; – aveva trovato, nei precedenti di legittimità richiamati dal giudice di appello, applicazione in una casistica non conferente al caso di specie, connotato da effetti “giuridici” effettivamente voluti e prodotti dalle parti.
3.1 Sono fondati, con effetto assorbente di ogni altra censura, il terzo motivo di S.D. ed il settimo motivo di E. D.; suscettibili di trattazione unitaria per identità di questione.
In base all’art.12 legge 212/00 (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali), “Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati aII’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo (…)” (co. 1); si stabilisce inoltre che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza (…)” (co. 7).
L’inderogabilità della prescrizione di contraddittorio preventivo, nelle ipotesi di accesso e verifica fiscale presso i locali di operatività del contribuente, è stata più volte ribadita dall’indirizzo interpretativo di legittimità, il quale ne ha anche individuato (SSUU 24823/15) la correlazione finalistica con la “peculiarità stessa di tali verifiche, in quanto caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli”. In modo tale che la previsione legislativa di contraddittorio preventivo si pone quale “controbilanciamento” mirante allo scopo “di correggere, adeguare e chiarire (…) gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”; e ciò nell’interesse non soltanto del contribuente, ma anche della stessa amministrazione finanziaria allo svolgimento dell’attività accertativa secondo modalità di massima consapevolezza, completezza e – pertanto – efficienza.
La giurisprudenza di legittimità ha anche più volte affrontato i consequenziali problemi:
a. degli effetti dell’inosservanza del contraddittorio; vale a dire, della emanazione dell’avviso di accertamento prima del decorso dei 60 giorni (dal rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni) entro i quali il contribuente che ha subito l’accesso è ammesso a comunicare all’ufficio impositore osservazioni e richieste;
b. della individuabilità e rilevanza delle cause che, in quanto integranti il requisito di legge della “particolare e motivata urgenza”, possono sollevare l’amministrazione dall’obbligo di tale osservanza, facendo così salvo l’avviso di accertamento ancorché notificato ante tempus.
Orbene, per quanto concerne il primo aspetto (conseguenza del mancato rispetto del termine) l’orientamento interpretativo è ormai consolidato nel senso, non della mera irregolarità procedi menta le, bensì della radicale illegittimità sostanziale dell’avviso, atteso che “detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva” (SSUU 18184/13). Ha osservato Cass. 8749/18 (così Cass. 20475/16 ed altre) che l’illegittimità dell’avviso, in tal caso, discende dalla irrimediabile compromissione della situazione giuridica del contribuente, “venendo in rilievo interessi di natura sostanziale che non possono evidentemente essere recuperati “ex post” rimanendo preclusa ogni loro soddisfazione con l’emanazione del provvedimento finale”. La preminenza degli interessi protetti con il contraddittorio in oggetto esclude, dunque, che la sua violazione possa successivamente trovare sanatoria di sorta; pur a fronte del diritto del contribuente, sempre garantito, di far valere le proprie ragioni in sede tanto di autotutela quanto di ricorso giurisdizionale. In tal senso deve interpretarsi la norma di riferimento la quale, pur non prevedendo espressamente alcuna sanzione di nullità in caso di mancato rispetto del termine, stabilisce comunque inequivoca preclusione all’ulteriore impulso dell’attività impositiva posto che, prima del decorso del termine, “l’avviso di accertamento non può essere emanato
Per quanto concerne il secondo aspetto (casi esimenti di particolare e motivata urgenza), è dato riscontrare un indirizzo parimenti consolidato, in base al quale la ‘particolare’ situazione legittimante la mancata osservanza del termine deve concernere elementi di fatto non soltanto cogenti ed insuperabili, ma anche estranei alla sfera di azione, organizzazione e responsabilità dell’amministrazione finanziaria che procede alla verifica; pena, altrimenti, lo svuotamento sostanziale dell’obbligo di contraddittorio sancito in via generale (in correlazione con l’espletamento di verifiche ed ispezioni mediante accesso) dallo statuto del contribuente. In particolare, si è escluso che ragione esimente possa individuarsi nella imminente maturazione del termine di decadenza dalla potestà accertativa, trattandosi appunto di evento tipicamente riconducibile alla gestione dei tempi attraverso i quali si articola e sviluppa l’attività propria dell’amministrazione. Ha osservato Cass. 8749/18 cit. che “è illegittimo l’avviso di accertamento notificato prima dei 60 giorni anche se l’ufficio ha il timore che il contribuente risulti irreperibile fino allo scadere del termine di decadenza del potere accertativo”, giacché “le ragioni di urgenza per giustificare la deroga al contraddittorio possono dipendere solo da cause non imputabili all’Ente”. Ancor più in termini con la presente fattispecie, Cass. nn. 5149/16 e 17202/17 hanno chiarito che le ragioni di mancata osservanza del contraddittorio preventivo “non possono in alcun modo essere individuate nell’imminente scadenza del termine decadenziale dell’azione accertativa”. Non si disconosce, in effetti, che anche l’imminente scadenza del termine decadenziale possa essere talvolta ‘recuperata’ quale ragione giustificativa della mancata osservanza del termine di 60 giorni; ma ciò, in accordo con il principio appena evidenziato, solo allorquando l’amministrazione dimostri (e motivi) che la protrazione dei tempi dell’accertamento, ed il loro giungere alla suddetta imminente scadenza, è dipesa da fattori – appunto – non imputabili, perché indipendenti dalla sua azione e potestà; così da imporsi la notificazione ante tempus dell’avviso di accertamento allo scopo di non veder vanificato, per l’influenza di elementi esterni al controllo dell’amministrazione o addirittura ascrivibili allo stesso contribuente, l’adempimento dell’obbligo tributario (Cass. nn. 1869/2014, 3142/2014, 9424/2014).
3.2 La violazione del contraddittorio preventivo (istituto la cui legittimità è stata vagliata anche dalla Corte Costituzionale, sebbene nella prospettiva dell’art. 37-bis, comma 4, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: sent. 132/2015) costituisce insuperabile causa invalidante gli avvisi dedotti in giudizio.
Avvisi che, per quanto formalmente recanti la mera riliquidazione dell’imposta di registro ed ipocatastale in misura proporzionale, sono pacificamente segnati da un contenuto sostanziale di natura accertativa e rettificativa; insito proprio nell’emersione di un intento elusivo, e nella conseguente attribuzione all’articolazione negoziale in oggetto di una qualificazione giuridica difforme da quella dichiarata dalle parti (ritenuta, quest’ultima, non rispondente alla “intrinseca natura” ed agli “effetti giuridici” degli atti presentati alla registrazione, ex art. 20 d.P.R. 131/86).
Ciò posto, costituiscono circostanze fattuali del tutto pacifiche che tali avvisi: a. hanno avuto ad oggetto atti negoziali posti da tempo a conoscenza dell’amministrazione finanziaria, perché regolarmente presentati alla registrazione nei termini di legge; b. sono stati emessi a seguito e per effetto di verifica operata dalla Guardia di Finanza presso i locali di S.D. spa; verifica inizialmente mirata all’accertamento di imposte dirette ed Iva, ma successivamente orientata (art.53 bis d.P.R. 131/86) all’individuazione delle maggiori imposte di registro ed ipocatastali sull’operazione dedotta in giudizio, a tal fine riqualificata come cessione di ramo aziendale; c. sono stati notificati appena cinque giorni dopo la notificazione a S.D. del verbale di chiusura delle operazioni di verifica, con conseguente pressoché totale elisione del termine di 60 giorni posto a garanzia del contraddittorio preventivo di cui si è detto; d. non sono stati assistiti dalla motivata indicazione di alcun fatto concreto idoneo (secondo i su riportati principi) a giustificarne l’emissione prima del tempo, essendosi l’amministrazione limitata ad indicare, come causa di particolare urgenza, quella di evitare la decadenza triennale dall’imposizione ex art.76, co.2, d.P.R. 131/86.
Su tali presupposti è effettivamente ravvisabile, nella sentenza impugnata, la dedotta violazione e falsa applicazione di legge.
Il giudice regionale ha ritenuto infondato il motivo di opposizione proposto relativamente alla violazione dell’articolo 12, co.7, legge 212/00, sostenendo – da un lato – che la mancata osservanza del termine di 60 giorni non sarebbe sanzionata a titolo di nullità; e – dall’altro – che l’approssimarsi della decadenza costituiva comunque valida ragione giustificatrice della sua mancata osservanza, trattandosi di evento non imputabile all’amministrazione finanziaria.
Già si è detto, però, delle ragioni interpretative (par. 3.1) in base alle quali entrambi questi rilievi devono essere disattesi.
3.3 L’accertata illegittimità degli avvisi di liquidazione in esame ne comporta l’annullamento erga omnes; dunque, con effetto anche nei riguardi del co-obbligato solidale E.D.spa, che tale violazione normativa ha a sua volta eccepito nel settimo motivo di ricorso.
Va tuttavia considerato che la relativa doglianza deve trovare accoglimento, in linea di diritto, in termini non del tutto collimanti con la tesi esposta dalla parte ricorrente.
Ciò perché, diversamente da quanto sostenuto da E. D., il diritto al contraddittorio preventivo ex art.12, co. 1 e 7, cit. non spettava indistintamente, ed in via generale, a tutti i contribuenti coinvolti nell’avviso di liquidazione, quanto soltanto ai contribuenti che fossero stati raggiunti da verifiche ed accessi presso i locali aziendali (e tale E.D. non era).
Ricorre, sul punto, quanto stabilito (in sede di specificazione di quanto affermato da SSUU 19667/14) dalla citata sentenza SSUU 24823/15; la quale – come è noto – ha escluso l’esistenza nell’ordinamento interno di un principio generale volto ad affermare il contraddittorio preventivo o procedimentale con riguardo a tutti indistintamente i tributi, ed indipendentemente dall’esistenza di una specifica previsione di legge in tal senso: “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo del diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’Invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito”. Sicché un simile obbligo generalizzato (riferibile anche alle verifiche senza accesso, o “a tavolino”) può dirsi sussistente unicamente con riguardo ai tributi armonizzati (quali non sono quelli qui dedotti); e sempre che il contribuente enunci le ragioni che egli avrebbe potuto far valere in ipotesi di contraddittorio tempestivamente attivato, nonché l’idoneità delle stesse a concretamente incidere sulla pretesa.
Ciò non toglie che – pur in assenza di lesione diretta del diritto al contraddittorio in capo ad E.D.- l’illegittimità degli avvisi di liquidazione in questione non possa che prodursi anche nei confronti di quest’ultimo.
Va infatti considerato che, ancorché individualmente notificati alle singole parti dell’operazione negoziale riqualificata, tali avvisi concretavano la liquidazione di una maggior imposta conseguente ad un identico presupposto, e ad un’attività di riqualificazione negoziale del tutto unitaria nei suoi fondamenti ed effetti, così da essere conseguentemente imputata, in identica maniera, a tutte indistintamente le parti in causa (controparti contrattuali di cui si assumeva il comune intento elusivo).
Inoltre, la nullità dell’avviso a seguito della violazione del contraddittorio ex art. 12, co.7, cit., attiene ad un vizio intrinseco dell’atto impositivo per difetto di un elemento ritenuto dalla legge essenziale al suo corretto iter formativo (elemento costituito appunto dalla emanazione dell’atto soltanto dopo che il contribuente sia stato posto in grado di formulare osservazioni e richieste); in maniera tale da esplicare un effetto invalidante di natura obiettiva, e non soggettiva o personale.
Dunque, esteso nei confronti di tutti i contribuenti chiamati a rispondere, sulla base dello stesso titolo, di quella stessa pretesa così illegittimamente determinatasi.
Considerazione, quest’ultima, volta a denotare il sostrato non meramente formale, ma sostanziale, della regola del contraddittorio preventivo ex art.12, co.7 cit., in quanto posta a presidio (come si è detto, anche nell’interesse dell’amministrazione) della massima rispondenza e fondatezza del merito dell’imposizione (“correggere, adeguare e chiarire (…) gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”: SSUU 24823/15 cit; obiettivi, questi ultimi, che certo non possono essere obliterati sol perché di tale imposizione – portata da atto autoritativo invalido – sia chiamato a rispondere, per vincolo di solidarietà, un contribuente diverso da quello che ha subito la verifica in loco.
I ricorsi vanno dunque accolti sotto il profilo evidenziato – di natura assorbente – con conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante accoglimento del ricorso introduttivo delle parti contribuenti ed annullamento degli avvisi di liquidazione opposti.
Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità in materia, si ritiene che le spese dell’intero giudizio debbano essere compensate.
P.Q.M.
– accoglie il terzo motivo di ricorso di S.D. spa ed il settimo motivo di ricorso di E.D.spa, assorbiti gli altri;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art.384 cod.proc.civ., accoglie i ricorsi introduttivi delle società contribuenti mediante annullamento degli avvisi di liquidazione opposti;
– compensa le spese dell’intero procedimento.
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