CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 agosto 2018, n. 20457
Rapporto di lavoro – Contratto a termine – Nullità – Risoluzione del rapporto per mutuo consenso – Prova della effettività della causale
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza resa pubblica in data 13/5/2013, confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta da B. M. nei confronti di Trenitalia s.p.a. volta a conseguire la declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto stipulato inter partes con decorrenza 1/8/2006, e la condanna della società al ripristino del rapporto di lavoro ed al risarcimento del danno.
La Corte distrettuale perveniva a tali conclusioni, innanzitutto rilevando la insussistenza di elementi indicativi della intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso; in via ulteriore argomentando che, (al di là della genericità della causale apposta al contratto), dalla documentazione versata in atti non era desumibile la prova della effettività della causale stessa, ispirata alla esigenza “di consentire una regolare turnazione delle ferie e la necessaria fruizione di riposi arretrati, garantendo il mantenimento di un numero di sportelli rispondenti ai parametri di qualità previsti, pur in presenza di punte di traffico ricadenti nel periodo indicato”, presso la biglietteria della stazione di Firenze S. Maria Novella. Invero, dai dati documentali acquisiti, era emerso che gli otto lavoratori assunti a tempo determinato nel corso dei cinque mesi di durata del rapporto (ivi comprese le proroghe) avevano lavorato per 800 giorni circa, laddove i 74 dipendenti a tempo indeterminato impiegati presso la biglietteria della stazione di Firenze, avevano fruito in tutto di 563 giorni di ferie. Da tale raffronto emergeva che le prestazioni del personale assunto a termine fosse andata ben al di là della sostituzione di personale in ferie, sopperendo evidentemente, anche ad esigenze aziendali di diversa natura, “connesse alle carenze organiche denunciate più volte dalle 00.SS.”.
Avverso tale decisione la s.p.a. Trenitalia interpone ricorso per cassazione sostenuto da cinque motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con i primi due motivi, sotto il profilo di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (primo motivo) e violazione e falsa applicazione dell’art.1372 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. (secondo motivo) la ricorrente censura la decisione impugnata per non aver correttamente applicato i principi giurisprudenziali affermati con riferimento alla fattispecie in esame.
La Corte distrettuale avrebbe valorizzato esclusivamente l’elemento della inerzia del lavoratore, escludendo che potesse fondare ex se, la tesi di parte datoriale per la quale esso integrava espressione della volontà delle parti di risoluzione del rapporto, tralasciando di considerare una serie di ulteriori indici rilevanti a tal fine, quali la breve durata del rapporto inter partes (pari a cinque mesi); l’accettazione del T.F.R., la stipula di ulteriori contratti di lavoro, la mancata offerta della prestazione lavorativa.
2. I motivi, da trattarsi congiuntamente siccome connessi, sono infondati;
Deve rilevarsi come questa Corte abbia più volte affermato il principio alla cui stregua “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (vedi, ex plurimis, Cass. 31-3-15 n. 6549, Cass. 13-8-14 n. 17940, Cass. 10-11-2008 n. 26935).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre, sulla scorta di SS.UU. n. 21691 del 2016, che nel caso di contratti a tempo determinato, la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372, co. 1, c.c., sulla base del comportamento inerte del lavoratore e di altri elementi significativi concorrenti, è giudizio che attiene al merito della controversia; ne deriva che l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire inferenze rientra nei compiti affidati al giudice del fatto, senza che il convincimento da questi espresso in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale e non con riferimento singolare a ciascuno di essi, possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità (vedi Cass. 12/12/2017 n. 29781).
Nella specie la Corte d’Appello ha osservato che il decorso del tempo è solo uno dei possibili elementi oggetto della indagine giudiziale, cui devono aggiungersi elementi positivi ed univoci che obiettivamente depongano per l’avvenuto scioglimento del contratto; ha, quindi, rimarcato che le ulteriori diverse allegazioni relative ad altre condotte del lavoratore, concludenti nel senso di una implicita volontà solutoria del rapporto, quale l’accettazione del T.F.R., non potevano ritenersi idonee a legittimare una presunzione fondante un’ipotesi di scioglimento di quello per mutuo consenso.
La statuizione emessa dalla Corte territoriale, in quanto sorretta da congrua motivazione e coerente con i dieta emessi da questa Corte sulla delibata questione, si sottrae alle critiche formulate dalla società.
3. Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Ci si duole che la Corte abbia ritenuto la genericità della causale apposta al contratto che recava, per contro puntuale indicazione del periodo cui era limitato, delle esigenze sostitutive cui era ispirato (in relazione a periodo di generale fruizione di ferie e riposi da parte dei dipendenti stabilmente assunti), dell’inquadramento e delle mansioni ascritte.
4. Da ultimo, si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (quarto motivo), nonché violazione e falsa applicazione degli artt.115 c.p.c., 2697 c.c. e 1 comma 1 d. Igs. n. 368/2001 in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. (quinto motivo).
Si lamenta che la Corte di merito abbia limitato la propria verifica delle ragioni giustificatrici all’apposizione del termine ed al controllo dei giorni di godimento ferie del personale addetto alla biglietteria della stazione Firenze S.M.N., omettendo di considerare che l’esigenza sostitutiva era riferita anche alla necessaria fruizione dei riposi arretrati, per di più in un periodo di punte di traffico che imponevano di potenziare gli sportelli.
Si deduce che, ove il giudice del gravame avesse considerato anche siffatte esigenze, che rinvenivano conferma nella documentazione versata in atti ed allegata alla memoria di costituzione in giudizio attestante l’effettivo potenziamento degli sportelli dovuto alla intensificazione del traffico, sarebbe giunta a difformi conclusioni.
5. I motivi, da trattarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattesi.
Benché promiscuamente formulati con riferimento non solo al vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. ma anche al vizio di violazione del n. 3 comma primo art. 360 c.p.c., nella sostanza si traducono in una critica della sentenza impugnata laddove ha escluso la dimostrazione della effettività delle ragioni sottese alla apposizione del termine al contratto intercorso fra le parti.
All’evidenza si tratta di censure di merito che attengono alla ricostruzione della vicenda storica quale svolta dalla Corte di Appello ed alla valutazione del materiale probatorio operata dalla medesima, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito, non ammissibile nella presente sede di legittimità.
Come reiteratamente affermato da questa Corte (vedi ex aliis, in motivazione, Cass. 7/2/2017 n. 3223), il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
Inoltre, nessuno dei motivi citati è formulato in modo tale da rispettare compiutamente gli enunciati espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte rispetto al novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., applicabile nella specie; le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SS.UU. 7/4/2014 n. 8054) hanno infatti espresso su tale norma i seguenti principi di diritto:
a) la disposizione deve messere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
Nello specifico la pronuncia impugnata – per quanto riportato nello storico di lite – non risponde ai requisiti della motivazione apparente ovvero della illogicità manifesta che avrebbero giustificato il sindacato in questa sede di legittimità onde, alla stregua dei consolidati e condivisi principi esposti, resiste alle censure all’esame.
Al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 agosto 2019, n. 20785 - Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto della illegittima apposizione al contratto di un termine finale…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 agosto 2019, n. 21152 - Affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle stesse parti di porre definitivamente fine ad ogni…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 febbraio 2019, n. 5761 - In caso di risoluzione per mutuo consenso è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicché la…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 febbraio 2019, n. 4224 - Per la configurabilità della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle stesse parti di porre definitivamente fine ad ogni…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 marzo 2020, n. 6439 - Legittima l'apposizione di un patto di prova al contratto a tempo indeterminato stipulato con un dipendente in precedenza già assunto, ma con contratto a tempo determinato, all'esito del superamento di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23768 - In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dall'art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- La scelta del CCNL da applicare rientra nella scel
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Il creditore con sentenza non definitiva ha diritt
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27163 depositata il 22 settembre…
- Impugnazione del verbale di disposizione emesso ai
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Valido l’accertamento fondato su valori OMI
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17189 depositata il 15 giugno 2023, in…
- Possono essere sequestrate somme anche su c/c inte
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 34551 depositata l…