CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 dicembre 2019, n. 31396
Licenziamento per giusta causa – Natura colposa del comportamento addebitato – Recidiva – Artt. 69 e 70 del CCNL Industria Alimentare
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 738 depositata il 26.3.2018, la Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione del Tribunale di Foggia, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato per giusta causa il 13.9.2016 dalla società F.T. s.p.a. a G. C., dipendente addetto al confezionamento dei cartoni di pasta.
2. La Corte territoriale, ritenuti di natura colposa il comportamento addebitato di negligenza nel controllo del confezionamento di 144 cartoni di pasta in data 30.7.2016 e totalmente ingiustificato il rifiuto di prestazione di lavoro straordinario in data 31.7.2016 (prestazione dovuta incontestabilmente in quanto rientrante nel limite annuo previsto per legge), ha accertato la ricorrenza della previsione dettata dagli artt. 69 e 70 del CCNL Industria Alimentare che, in presenza dell’accertata recidiva in due sospensioni disciplinari nei 12 mesi antecedenti, prevede il potere del datore di lavoro di intimare il licenziamento per giusta causa.
3. Per la cassazione della sentenza G.C. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito la società con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso il lavoratore deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato la domanda, avanzata dal lavoratore-reclamato, di inammissibilità del reclamo – proposto dalla società – per carenza di interesse ad agire (come eccepito nella memoria di costituzione in sede di reclamo), considerato che la società, nella fase di opposizione avanti al Tribunale, aveva chiesto, in via subordinata, l’applicazione del regime indennitario previsto dall’art. 18, comma 5 della legge n. 300 del 1970 e il giudice aveva accolto tale domanda.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 69 e 70 CCNL Industria Alimentare e 2106 e 2119 cod.civ. nonche vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che l’errore nella confezione dei cartoni di pasta, durante il turno notturno (22,00 – 6.00), era dovuto all’uso di un macchinario andato a regime solamente alle ore 4,00 ed avendo sottovalutato la prassi aziendale, non contestata dal datore di lavoro, di annotare su foglio aziendale affisso in bacheca l’assenza di disponibilità alla prestazione del lavoro straordinario, con conseguente insussistenza di una gravità delle condotte addebitate, così come in concreto svolte, tale da giustificare la giusta causa di licenziamento, non essendo, inoltre, vincolante la previsione di cui all’art. 70 del CCNL.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 8, della legge n. 300 del 1970 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) non potendo, la Corte distrettuale, tenere conto delle condotte disciplinari verificatesi nel biennio precedente i comportamenti addebitati.
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 70 del CCNL di settore (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto formato il giudicato interno sulla statuizione del Tribunale di Foggia di riconducibilità della fattispecie concreta all’art. 70 del CCNL. Il ricorrente chiede, inoltre, la compensazione delle spese per ineccepibile comportamento processuale, non avendo mai impugnato alcun provvedimento giudiziale, né in sede di opposizione né in sede di reclamo.
5. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinamento processuale vigente riconosce l’esistenza di un interesse del convenuto a far dichiarare l’infondatezza di una domanda ritualmente proposta nei suoi confronti. Il venir meno dell’interesse ad agire ed a contraddire presuppone una pronuncia del giudice tale da determinare la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti sicché l’accoglimento della domanda subordinata avanzata dalla parte non determina la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti.
Nel caso di specie, dunque, l’accoglimento della domanda subordinata proposta dalla società non precludeva l’interesse a vedere totalmente respinta la pretesa avanzata dal lavoratore.
6. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Con particolare riguardo al secondo ed al quarto motivo, la censura, ove invoca la violazione di clausole contrattuali (artt. 69 e 70 CCNL), è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle disposizioni del CCNL di settore, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
In ordine alla invocata violazione del principio di proporzionalità tra infrazione disciplinare e sanzione, questa Corte ha affermato che, in tema di licenziamento per giusta causa, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. n. 2013 del 2012 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. n. 13574 del 2011; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 4060 del 2011).
In particolare, la giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo onde lo stesso può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (cfr. Cass. n. 4060 del 2011 cit.).
Come questa Corte ha più volte affermato e va qui ribadito, “in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice del merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex art. 5, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché /’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto” (v. Cass. n. 444 del 2003, Cass. n. 3994 del 2005, Cass. n. 11430 del 2006, Cass. n. 16864 del 2006, Cass. n. 25743 del 2007, Cass. n. 6848 del 2010, Cass. n. 13574 del 2011).
Al riguardo, peraltro, l’elencazione dei casi contenuta nel codice disciplinare di cui al CCNL ha valore soltanto esemplificativo, costituendo le relative indicazioni meri parametri di giudizio (cfr. Cass. n. 2906 del 2005, Cass. n. 27464 del 2006).
Nella fattispecie, la Corte di merito, al pari del Tribunale, ha rinvenuto un profilo di (mera) colpa nel comportamento del C. che ha determinato l’errato confezionamento dei pacchi di pasta, avendo – il lavoratore – omesso di verificare, per distrazione, “la conformità fra il cartone e l’astucciatrice”; ha sussunto tale infrazione nella previsione di cui all’art. 69, n. 4, del CCNL di settore; ha, poi, ritenuto totalmente ingiustificato il rifiuto opposto dal C. alla prestazione di lavoro straordinario (“rientrante incontestabilmente nel limite annuo previsto dalla legge”); ha, sussunto tale infrazione nella previsione di cui all’art. 69, n. 1 del CCNL.
La Corte territoriale ha, poi, correttamente aggiunto, che vi erano due infrazioni disciplinari da valutare ai fini della recidiva, comprese nel biennio precedente (nella specie, condotte tenute il 10.9.2015 e il 13.7.2016 rispettivamente sanzionate con provvedimenti disciplinari del 29.10.2015 e del 4.8.2016).
Infine, la Corte territoriale ha concluso che “Dunque, alla prima infrazione con recidiva (già legittimante il licenziamento a norma della contrattazione collettiva [ossia l’art. 70 CCNL]) se ne aggiunge un’altra, nient’affatto di poco conto, perché denota insofferenza verso gli obblighi contrattuali e il potere/dovere del datore di lavoro di provvedere all’organizzazione del lavoro e dell’attività produttiva”.
Tale motivazione, incentrata su tutti gli elementi oggettivi e soggettivi emersi, risulta conforme ai principi sopra richiamati, nonché congrua e priva di vizi logici e resiste alle censure del ricorrente che, in realtà, richiede una (inammissibile) diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale.
In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013, Cass. n. 8008 del 2014). Secondo il novellato testo dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. (come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053 del 2014), tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla”.
Come già evidenziato, nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
7. In conclusione, il ricorso va respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi nonché in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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