CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2018, n. 17257
Previdenza – Rideterminazione della pensione – Cittadina italiana rimpatriata dall’Albania – Minimale contributivo da utilizzare ai fini del calcolo della pensione
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Trento con la sentenza n. 135/2012, in riforma della sentenza impugnata dall’Inps, respingeva le domande proposte da T. M., cittadina italiana rimpatriata dall’Albania nel 1992, volte ad ottenere la rideterminazione della pensione sulla base del lavoro effettivamente svolto dal 1968 al 1992 durante la sua permanenza in Albania e non, come invece preteso dall’Inps, alla stregua di un minimo assistenziale identico per tutti gli aventi diritto.
A fondamento della decisione la Corte sosteneva che l’art. 1, comma 1164 della legge n. 296/2006 ed il successivo decreto ministeriale 31 luglio 2007 – i quali riconoscevano ai cittadini italiani rimpatriati dall’Albania la facoltà di ottenere la ricostruzione nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti delle posizioni assicurative relative ai periodi di lavoro subordinato ed autonomo effettivamente svolti in quel paese nel periodo 1955-1997 – dovessero essere interpretati nel senso fatto proprio dall’istituto previdenziale (circolare del 22/2/2008) secondo cui ai fini dell’individuazione del minimale contributivo, necessario per operare la ricostruzione della posizione assicurativa, dovesse applicarsi il limite minimo di cui al decreto legge 463/1983 e successive modifiche e non dovesse tenersi conto invece del minimale contributivo di cui all’articolo 1 della legge n. 389/1989 e, quindi, delle retribuzioni concordate in base alla contrattazione collettiva per le diverse categorie di appartenenza; ciò in quanto la norma doveva essere interpretata in base alla ratio legis che era quella di concedere ai concittadini italiani rimpatriati in Italia, per ragioni di solidarietà nazionale, l’erogazione di un trattamento pensionistico avente natura assistenziale e non previdenziale; trattamento che applicando le regole ordinarie non sarebbe spettato, essendo pacifico che i contributi versati da tali lavoratori in Albania fossero rimasti nella disponibilità di quella nazione e garantissero ai medesimi lavoratori un’autonoma pensione; mentre il richiamo alla nozione di minimale contributivo da utilizzare ai fini del calcolo della pensione non era pertinente trovando origine tale istituto in una situazione giuridica del tutto diversa ed in cui non solo era intervenuta la contrattazione collettiva, ma soprattutto vi era stata un’effettiva contribuzione; il che poteva spiegare sia il silenzio della legge finanziaria del 2007 che non aveva richiamato la nozione di minimale contributivo, come ricavabile dalla legge del 1989, sia la circostanza che la legge garantiva un trattamento non differenziato tra le diverse categorie di lavoratori dipendenti, voluto appunto dal legislatore in considerazione della natura prettamente assistenziale dell’intervento operato in favore dei cittadini italiani rimpatriati sì, ma che tuttavia non avrebbero avuto diritto ad un trattamento pensionistico in Italia, dove non avevano lavorato ne avevano versato contributi. Infine tale interpretazione,
secondo la Corte territoriale, appariva maggiormente in linea con il rigore a cui doveva essere informato l’ordinamento pensionistico.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T. M. con tre motivi di impugnazione ai quali ha resistito l’Inps con controricorso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. – Col primo motivo il ricorso deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, comma 1164 della legge 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) e del decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 31 luglio 2007 atteso che a differenza di quanto affermato dalla sentenza impugnata la normativa indicata dalla legge e dal decreto di attuazione affermavano chiaramente che il parametro della ricostruzione della contribuzione e della pensione dovessero essere i periodi di lavoro effettivamente svolti in Albania, e quindi l’attività lavorativa svolta rapportata al minimale di contribuzione vigente in Italia nei periodi interessati dalla ricostruzione, da individuarsi, pertanto, in base alla legge 389/89 in vigore all’epoca in cui venne emanata la normativa di cui si discute.
2. – Col secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1 della legge 389/1989 atteso che in base alla norma il concetto di minimale (legale) può valere solo qualora l’applicazione della contrattazione collettiva al minimo porti ad un valore inferiore al 9,50 del trattamento minimo di pensione. D’altra parte se si fosse voluto applicare il minimale complementare residuo stabilito dalla legge non sarebbe stato necessario indicare da parte del legislatore alcuna connessione con la tipologia e con i periodi di reale prestazione all’estero; posto che il criterio preteso produce comunque una pensione uguale per tutti che il ricorrente avrebbe percepito comunque.
3. – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’articolo 12 delle preleggi il quale stabilisce che nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. La Corte aveva invece affermato che sul punto in discussione ci fosse “un silenzio non casuale” del legislatore che non aveva richiamato l’articolo 1, comma 1 della legge 389/89 trascurando così di considerare proprio il criterio di interpretazione prioritario posto che la legge 296/2006 aggancia la ricostruzione pensionistica in questione alla reale pregressa posizione lavorativa del lavoratore, mentre il successivo decreto ministeriale menziona espressamente il minimale di contribuzione. D’altra parte la ricorrente che era cittadina italiana avrebbe avuto comunque diritto ad un trattamento similare a quello che le è stato attribuito avendo comunque per il medesimo ammontare ottenuto l’assegno sociale o la pensione minima. Andava considerato altresì l’articolo 38 della Costituzione che garantisce l’adeguatezza della prestazione previdenziale nettamente differenziandosi dal minimo vitale (diritto al mantenimento all’assistenza sociale) come garantito dal comma 1 del medesimo articolo.
4. – I tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la connessione delle relative censure, sono fondati nei limiti delle seguenti considerazioni.
Occorre considerare quanto previsto dall’art. 1, comma 1164 della legge 296/2006 il quale stabilisce: “A decorrere dall’anno 2008, i cittadini italiani rimpatriati dall’Albania possono ottenere a domanda, da II’IN PS, la ricostruzione, nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, delle posizioni assicurative relative a periodi di lavoro dipendente ed autonomo effettivamente svolti nel predetto Paese dal 1° gennaio 1955 al 31 dicembre 1997. Con decreto, di natura non regolamentare, del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le modalità di attuazione del presente comma. Il Ministro dell’economia e delle Finanze provvede al monitoraggio degli oneri derivanti dall’attuazione del presente comma, anche ai fini dell’applicazione dell’articolo 11, comma 3, lettera i- quater), e dell’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio”.
Il successivo decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 31 Luglio 2007 all’art. 1, 1° comma individua i cittadini destinatari del trattamento ed al 2° comma prevede che i medesimi “devono, a corredo della domanda di ricostruzione della posizione assicurativa da presentare all’INPS, produrre idonea documentazione, di data certa, comprovante i periodi di lavoro dipendente ed autonomo effettivamente svolti in Albania dal 1° gennaio 1955 al 31 dicembre 1997”.
Nell’art. 2 il D.M. prevede: “1. La ricostruzione della posizione assicurativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dà titolo al riconoscimento, ai fini del calcolo della pensione, di una anzianità contributiva corrispondente al effettivamente lavorato in Albania di valore pari alla retribuzione mensile sul minimale di contribuzione vigente in Italia nei periodi interessati dalla ricostruzione per i rispettivi settori.
2. La ricostruzione, i cui effetti decorrono dalla erogazione della prestazione pensionistica, è riconosciuta entro i limiti dell’anzianità contributiva massima valutabile. Analoga decorrenza vale anche ai fini della ricongiunzione o della totalizzazione.
3. L’importo dei contributi versati a titolo di riscatto di all’estero direttamente soggetti di cui all’art. 1 per i periodi per i quali viene effettuata la ricostruzione è rimborsato a domanda degli interessati, dedotta la quota parte relativa ai periodi già’ goduti della corrispondente pensione.”
5. – L’articolato normativo sopra indicato prevede quindi, a favore dei cittadini italiani trattenuti in Albania, la ricostruzione delle posizioni assicurative relative a periodi di lavoro dipendente ed autonomo effettivamente svolti nel predetto Paese dal 1° gennaio 1955 al 31 dicembre 1997. La ricostruzione avviene all’interno del sistema assicurativo generale obbligatorio attraverso la costituzione di una vera e propria posizione assicurativa che fa riferimento a periodi di lavoro effettivamente svolti in Albania. Il valore della contribuzione deve essere determinato in relazione al minimale di retribuzione vigente nel rispettivo settore per il periodo considerato. L’importo dei contributi versati dagli interessati a titolo di riscatto del lavoro all’estero, per i periodi per i quali viene effettuata la ricostruzione, è rimborsato.
6. – In base ai plurimi elementi letterali contenuti nelle norme – le quali fanno riferimento ai periodi di effettivo lavoro ed ai relativi settori – va escluso che si possa sostenere la tesi di un mero intervento assistenziale che prescinda dalla normativa valevole in materia contributiva per il lavoro effettivamente svolto ovvero di un intervento assistenziale uguale per tutti. La legge infatti parla di AGO (e diversamente avrebbe parlato di gestione assistenziale); e di posizione assicurativa ed anzianità contributiva (che mancano nei trattamenti di natura assistenziale); fa riferimento ai periodi di lavoro dipendenti o autonomi effettivamente svolti in Albania; prevede il rimborso dei contributi versati per il riscatto dei periodi di lavoro all’estero; lega il valore dei contributi al concetto di “minimale contributivo”, dovendosi perciò tener conto che secondo la relativa normativa esso va calcolato non solo in relazione a quanto dovuto al lavoratore, ma anche per un importo che non può mai essere inferiore ad un minimale stabilito dalla legge.
Si tratta tutti di elementi testuali univoci nel senso della natura previdenziale della prestazione e che invece non rivestirebbero alcun significato nell’ottica di un intervento assistenziale uguale per tutti.
Inoltre, il riferimento contenuto nella normativa “al settore” non può essere inteso soltanto in relazione alla delimitazione tra lavoro dipendente ed autonomo, come pretende la difesa dell’INPS; ma va riferito anche alle diverse tipologie di attività lavorativa anche dipendente ed alle qualifiche rivestite dai lavoratori interessati; come si ricava, peraltro, anche dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U. sentenza n. 11199 del 29/07/2002) la quale a proposito del minimale contributivo previsto dall’art. 1 D.L. 9 ottobre 1989 n. 338 (convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389) – vigente al momento dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006 – lega la relativa base di calcolo alla retribuzione “che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”)”.
Del resto tanto pure risulta dalla circolare 22.2.2008 n. 21, emessa dall’INPS in argomento, che richiamando i livelli di reddito valevoli nei diversi settori del lavoro autonomo (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri) esclude di conseguenza la validità della tesi della prestazione assistenziale eguale per tutti. Nella stessa circolare inoltre si riconosce esplicitamente la rilevanza della qualifica di appartenenza del lavoratore dipendente affermandosi che essa “dovrà essere individuata confrontando le indicazioni contenute nel documento prodotto dagli interessati con quella maggiormente corrispondente in Italia secondo il principio di maggior favore per l’interessato/a”.
7. – Quello che in sostanza, secondo il Collegio, la legge ha voluto assicurare ai cittadini italiani rimpatriati dall’Albania con la normativa sopra riportata è una “posizione assicurativa”, corrispondente ai periodi di lavoro dipendente o autonomo effettivamente svolti in Albania, e di valore pari a quella cui essi avrebbero avuto diritto se avessero lavorato in Italia; ciò al fine del raggiungimento dell’ “anzianità contributiva” richiesta per il V”erogazione di una prestazione pensionistica” di natura previdenziale nell’ambito dell’AGO; mentre non rileva per la legge se i medesimi cittadini italiani abbiano o meno conseguito una pensione straniera per effetto della stessa attività svolta in Albania.
8. – Ciò posto, va pure escluso che ai fini in questione si possa applicare sempre e soltanto un’unica normativa in materia di minimale contributivo (quella vigente al momento dell’entrata in vigore della legge 296/2006 ; o quella più favorevole per i lavoratori; o quella costituente il c.d. minimo dei minimi uguale per tutti individuato dall’INPS ai sensi dell’art. 1 del d.l. 463/1983) posto che la legge fa riferimento invece al “minimale di contribuzione vigente in Italia nei periodi interessati”.
9. – Pertanto se non si può prescindere dalla previsione normativa che lega il valore dei contributi al criterio del minimale contributivo vigente nei periodi di lavoro interessati alla ricostruzione contributiva; nemmeno si può ignorare il dato secondo cui la stessa normativa dettata in materia è mutata nel corso del tempo; sicché non si può applicare un unico criterio normativo di riferimento, dovendo bensì trovare applicazione i diversi criteri vigenti nel periodo di svolgimento dell’attività lavorativa in relazione alla quale occorre operare la ricostruzione della posizione contributiva; fermo restando, in base a quanto detto sopra, che va dato rilievo all’attività lavorativa effettivamente svolta nei settori e con le qualifiche di riferimento, se ed in quanto assumano rilievo ai fini dell’applicazione della stessa normativa vigente nel tempo.
10. – Ciò consente di applicare senz’altro, per quanto qui interessa, l’articolo 1, 1 comma della legge n. 389/1989 prima richiamato il quale prevede che ” La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Inoltre va considerato che la stessa legge 389/1989 all’art. 1, 2° comma prevede un valore minimo di retribuzione giornaliera, denominato minimale di retribuzione imponibile, che deve essere rispettato ai fini del versamento della contribuzione previdenziale e assistenziale. Tale limite minimo, già previsto dall’art. 7 del d.l. 12.9.1983 n. 463 nella percentuale del 7,50 %, a decorrere dal 1° gennaio 1989 non può essere inferiore al 9,50% dell’importo del trattamento minimo mensile di pensione a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1 gennaio di ogni anno.
11. – È vero però che, secondo quanto detto sopra, in base alla legge, il minimale da considerare è quello vigente in Italia nei periodi interessati dalla ricostruzione nei rispettivi settori; onde nel caso in esame, rilevato che la ricorrente ha svolto attività lavorativa in Albania dall’agosto 1968 fino al 1992, l’applicazione del criterio contenuto nell’articolo 1 della legge n. 389/1989 non potrebbe in ogni caso riguardare i periodi precedenti alla sua entrata in vigore; per i quali vanno invece applicati i minimali legali volta per volta in vigore ratione temporis.
12. – Infine nella fattispecie in esame non ha pregio l’eccezione – sollevata dall’INPS – di carenza di interesse ovvero di difetto di autosufficienza del ricorso per mancanza del deposito dei contratti collettivi vigenti in Italia nei periodi lavorati in Albania onde dimostrare ai sensi dell’art. 100 c.p.c. che dalla loro applicazione il ricorrente traesse un vantaggio economico in grado di incidere, secondo la prospettazione offerta, sul trattamento spettante ai sensi dell’articolo 1 comma 1164 della legge numero 296/2006.
In realtà non è mai stato in discussione nel corso del giudizio di merito che il ricorrente – sulla scorta della propria prospettazione e qualora la stessa fosse stata accolta- avesse maturato il diritto ad un trattamento di importo superiore a quello liquidatogli dall’Inps. Tant’è che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda condannando l’Inps a rideterminare la pensione sulla base del lavoro effettivamente svolto in Albania, e non come preteso dall’ente previdenziale alla stregua di un minimo assistenziale identico per tutti gli aventi diritto. Mentre in appello l’INPS ha contestato soltanto l’interpretazione giuridica della normativa e non già che il ricorrente non potesse trarre vantaggio dalla pronuncia resa.
13. – Per le ragioni esposte il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione; la sentenza deve essere quindi cassata e la causa rinviata per un nuovo esame al giudice indicato in dispositivo il quale nella decisione della causa si atterrà ai principi di diritto sopra formulati con riferimento alla natura previdenziale della posizione contributiva riconosciuta dalla legge ed alla individuazione della normativa relativa al minimale contributivo secondo la disciplina vigente nel tempo.
Il giudice di rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c.
In considerazione dell’esito del giudizio non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Venezia.
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