CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2019, n. 17692
Tributi – Accertamento – Riscossione – Sopravvenienze attive ed interessi attivi non contabilizzati – Ricorso per Cassazione
Rilevato che
– con sentenza in data 24 aprile 2012, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha respinto l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado che parzialmente aveva accolto il ricorso proposto dalla S. S.r.l.. contro il recupero ad imposizione di sopravvenienze attive ed interessi attivi non contabilizzati per l’anno 2003, respingendo, altresì l’appello incidentale proposto dalla società;
– avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso, la società C. s.r.l., già S. S.r.l. e spiega, altresì, ricorso incidentale;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge n. 289 del 2002 in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.;
– il motivo è fondato;
– va rilevato, infatti, che la società ha pacificamente aderito non solo al condono automatico ex art. 9 L. 289/02 ma anche alla definizione di cui all’art. 12 ed è su quest’ultimo che si appuntano le censure;
– per espressa previsione legale, riconducibile a disposto di cui all’art. 14 L. 289/02, i soggetti che si sono avvalsi delle disposizioni di cui all’art. 9, possono procedere alla regolarizzazione delle scritture contabili secondo la procedura di cui all’art. 12 della medesima legge, ed infatti è ivi previsto che “i soggetti di cui al comma 1 che si sono avvalsi delle disposizioni di cui all’articolo 9 possono procedere alla regolarizzazione delle scritture contabili di cui al comma 3 con gli effetti ivi previsti, nonché, nel rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio, alle iscrizioni nell’inventario, nel rendiconto o nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, ovvero in quelli del periodo di imposta in corso a tale data, di attività in precedenza omesse…”;
– tale modalità di condono, tuttavia, di cui risulta essersi avvalsa la società contribuente, non risulta richiamata dall’art. 14 e, pertanto, deve temersi conto del fatto che la società contribuente abbia pacificamente fruito della definizione di debiti erariali già iscritti a ruolo ai sensi dell’art. 12 della L. n. 289 del 2002, pagando il 25% della somma di euro 183.794,00 per imposta IVA relativa all’anno 1996, come stimato dai verbalizzanti nel PVC del 21 luglio 2006;
– la piana previsione legale induce a reputare non congrua la sussunzione normativa operata dalla CTR atteso che, come giustamente osserva l’Agenzia, ci troviamo di fronte “ad altre modalità di adesione al condono” posto il dato di partenza da cui muove la Commissione, talché deve ritenersi che il contribuente avesse contabilizzato tra le passività l’intero debito IVA e, quindi, avendolo poi definito con il minore versamento del 25% avrebbe dovuto azzerare la passività con la iscrizione di una sopravvenienza attiva pari al debito estinto per condono;
– col secondo motivo, l’Agenzia deduce la violazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/92 per contraddittoria e insufficiente motivazione con riguardo agli interessi non contabilizzati, per aver ritenuto “prassi consolidata” la concessione di prestiti ai dipendenti senza la riscossione di interessi mentre l’Ufficio aveva rilevato che la società aveva sottoposto alla corresponsione degli interessi nella misura del 3,81% i finanziamenti concessi a diverse società;
– anche tale motivo è fondato;
– deve ritenersi, infatti, non adeguatamente motivata da parte della CTR la riconducibilità nell’ambito del “fatto notorio” che non richiede prove la dazione di prestiti senza interessi ai dipendenti;
– giova sottolineare al riguardo, l’esistenza di una presunzione di onerosità del mutuo e in caso di mancata determinazione degli interessi va applicato il saggio legale e art. 45 comma 2 del TUIR): osserva questa Corte al riguardo che, in tema d’imposta sul reddito delle persone giuridiche, la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, sia per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., sia in quanto l’art. 43 del d.P.R. n. 597 del 1973 prevede che i capitali dati a mutuo, salvo prova contraria, producono interessi al tasso legale, se non convenuti o pattuiti in misura inferiore, norma che trova applicazione anche per le società commerciali in base al rinvio generale dell’art. 5 del d.P.R. n. 598 del 1973, con cui le presunzioni del suddetto art. 43 sono state estese ai contribuenti soggetti ad Irpeg. (Cass. n. 20035 del 07/10/2015);
– con il proprio ricorso incidentale la società controricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 112, 115, 167 e 416 cod. proc. civ., nonché 1, 23, 53 e 54 D.lgs. n. 546 del 1992;
– tale motivo è infondato;
– premesso che, per consolidata giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, la contro ricorrente, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede in realtà alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle prove oggetto di giudizio;
– a guardar bene, infatti, nessuna inversione dell’onere della prova si è verificata, né può dirsi che sia stato addossato l’onere di provare un fatto a chi invece non vi fosse tenuto, dal momento che la CTR ha evidenziato che i prestiti ad altre società sono normalmente produttivi di interessi, facendo ricorso, legittimamente, ad una massima di esperienza che, quindi, avrebbe determinato l’inversione dell’onere della prova, necessitando dell’intervento della società la quale, sola, avrebbe potuto dimostrare quali fossero i finanziamenti considerati offendo, altresì, documentazione probante;
– ogni altra questione si risolve in una questione di fatto, incensurabile in sede di cassazione;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso principale va accolto quello incidentale deve essere respinto, la sentenza va cassata e la causa rinviata alla Commissione Tributaria della Sicilia in diversa composizione, in relazione ai motivi accolti, che si pronuncerà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e respinge il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria della Sicilia in diversa composizione, in relazione ai motivi accolti, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
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