CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2020, n. 13499
Cartella di pagamento – Controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 – Divergenza tra il dovuto dichiarato e il versato – Preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente non prevista
Fatti di causa
La S.S. s.p.a. (già S. s.p.a.), in persona del suo rappresentante legale p.t. F.A., ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 117/16/12, depositata ril.04.2012 dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, Sez. staccata di Siracusa, che aveva rigettato l’appello della medesima società avverso la pronuncia del giudice di primo grado, confermando la cartella di pagamento relativa al periodo d’imposta 2005, notificata a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, con cui era richiesto il pagamento di € 842.668,59 a titolo di Irap e Ires.
La contribuente aveva impugnato la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che aveva rigettato il ricorso con la sentenza n. 45/04/2011. I motivi di appello, con cui si denunciava l’erroneità della sentenza di primo grado, insistendo sui vizi formali, di procedimento di formazione della cartella e di notifica della stessa, nonché si contestava il merito del debito fiscale, erano rigettati dalla Commissione tributaria regionale sicula con la decisione ora al vaglio della Corte.
La contribuente censura la sentenza con sette motivi:
con il primo per violazione del combinato disposto degli artt. 36-bis, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, e 6, comma 5, I. 27 luglio 2000 n. 212, per aver ritenuto ininfluente il mancato invio preventivo dell’avviso bonario;
con il secondo per violazione dell’art. 7, comma 3, I. n. 212 del 2000, per aver rigettato la questione della carenza di motivazione della cartella;
con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 148 c.p.c., per inesistenza della notificazione della cartella, da considerarsi conseguentemente nulla;
con il quarto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 462, perché con l’omesso invio dell’avviso bonario il contribuente non era stato messo nelle condizioni di versare “le imposte e le sanzioni ridotte di un terzo”;
con il quinto per violazione e falsa applicazione degli artt. 6, lett. e), 4, comma 1 e 5, comma 1, I. 7 agosto 1990 n. 241, nonché dell’art. 3, d.lgs. 12 febbraio 1993 n. 39, per aver ritenuto infondata l’eccepita carenza di sottoscrizione della cartella;
con il sesto per violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 149 c.p.c., per non aver attribuito rilevanza all’omissione delle formalità relative alla relata di notifica;
con il settimo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla eccepita nullità dell’atto per mancanza di notifica dell’avviso di rettifica relativo al recupero del credito d’imposta e per non avere tenuto conto del credito d’imposta di € 496.700,00, maturato nell’anno precedente.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con decisione nel merito o rinvio.
Si è costituita la Riscossione Sicilia s.p.a., che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 360 bis c.p.c. e nel merito ha contestato il fondamento dei motivi di ricorso.
Ragioni della decisione
Esaminando preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., essa va rigettata. La decisione impugnata, con riferimento alle pur varie questioni proposte, non era infatti fondata su una giurisprudenza di legittimità all’epoca conforme alle statuizioni, né la controricorrente si è premurata di individuare specificamente quante e quali delle questioni di diritto sollevate fossero già state vagliate e decise in senso conforme alla giurisprudenza della Corte. È poi del tutto estraneo al presente giudizio ogni riferimento ai principi regolatori del giusto processo.
Nel merito, esaminando il primo motivo di ricorso, con il quale la contribuente si duole del mancato invio dell’avviso bonario, esso è infondato.
Deve premettersi che questa Corte ha affermato che <<l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36-bis, co. 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, co. 3, d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali, ma richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della successiva cartella di pagamento, oppure può costituire requisito di validità della procedura di liquidazione automatizzata e della conseguente cartella di pagamento, trovando in quest’ultima ipotesi applicazione immediata la nullità prescritta dall’art. 6, co. 5, della I. n. 212 del 2000>> (Cass., ord. 1711/2018; cfr. 17479/2019).
La ricorrente afferma che nel caso di specie vi erano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Sennonché, a parte la genericità delle argomentazioni portate a supporto del motivo, che sfiora l’inammissibilità per carenza di autosufficienza, non avendo indicato con specificità in cosa si concretizzassero le incertezze, la cartella di pagamento è stata notificata dopo che il controllo automatizzato aveva verificato l’omesso versamento degli importi dichiarati, come indirettamente conferma la società contribuente, quando sostiene che l’Amministrazione finanziaria non ha tenuto conto dei crediti d’imposta relativi all’anno precedente.
Ne consegue che nel caso di specie la semplice costatazione della divergenza tra il dovuto dichiarato e il versato non richiedeva la preventiva comunicazione.
La sentenza d’appello ha fatto dunque corretta applicazione del principio di diritto enunciato.
Non è fondato neppure il secondo motivo, con il quale ci si duole dell’errore in cui è incorsa la Commissione regionale nel negare la carenza di motivazione della cartella. In sentenza il collegio ha affermato che <<…la cartella impugnata, contiene…l’analitica indicazione dei titoli su cui si fonda la pretesa tributaria, e nessuna ulteriore spiegazione o motivazione andava fornita al contribuente sulle richieste di pagamento formulate nella cartella impugnata, derivando dal controllo automatizzato, posto che le richieste di pagamento riguardano somme dichiarate dallo stesso contribuente e non versate>>.
Questa Corte in tema di riscossione delle imposte ha affermato che, sebbene in via generale insorga l’obbligo di motivazione della cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo, già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo va differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascun tipo di atto. Nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. Cass., ord. n. 21804/2017; 14236/2017; 11612/2017; 15564/2017).
La semplicità della omissione rilevata in sede di accertamento automatizzato, unitamente al riferimento al Mod Unico 2006, come richiamato dalla stessa contribuente in ricorso, esclude pertanto la denunciata carenza di motivazione.
Infondati sono anche il terzo ed il sesto motivo, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, denunciando vizi relativi alla notifica dell’atto impugnato. Con essi la società sostiene che la relazione di notificazione della copia consegnata al contribuente fosse in bianco. Da ciò deduce l’inesistenza giuridica della notificazione, che non può essere superata dal raggiungimento degli effetti della notifica stessa, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c.
In sentenza la Commissione regionale ha affermato che dalla copia fotostatica dell’originale della relata, non contestata dalla società, risulta che la notifica <<è avvenuta nella sede della società mediante consegna a mani del dipendente incaricato.>>.
Ebbene, a parte l’inammissibilità dei motivi per difetto di autosufficienza, atteso che nel ricorso per cassazione, ove sia contestata la rituale notifica delle cartelle di pagamento, è necessaria la trascrizione integrale delle relate e degli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (Cass., 31038/2018; 5185/2017), è pacifico che nel caso di specie, a fronte delle denunciate carenze della relata relativa alla copia consegnata al destinatario, quella in seno all’originale fosse invece completa. Non può pertanto reputarsi che la notifica fosse inesistente, sicché la rituale e tempestiva impugnazione dell’atto impositivo ha sanato ogni suo vizio, ai sensi dell’art. 156, terzo comma c.p.c..
Parimenti, la denunciata apposizione della relata di notifica sul frontespizio dell’atto anzicchè in calce, non determina l’inesistenza dell’atto, i cui vizi risultano sanati dal raggiungimento dello scopo.
Non trova accoglimento anche il quarto motivo, con il quale la contribuente ha denunciato che la mancata trasmissione dell’avviso bonario ha impedito di versare le imposte e le sanzioni ridotte di un terzo.
Premesso che la riduzione ad un terzo riguarda le sanzioni e non certo il tributo non versato, questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in materia di riscossione la mancata comunicazione di irregolarità non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, quando ciò sia previsto (cfr. Cass., 17479/2019; 13759/2016).
Va rigettato il quinto motivo, con il quale la ricorrente sostiene di aver inutilmente lamentato l’omessa sottoscrizione della cartella.
Questa Corte ha affermato che, in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacché l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione (Cass., 21290/2018; 26053/2015; 13461/2012).
Deve infine dichiararsi inammissibile il settimo motivo, con il quale la società, sotto il profilo del vizio di motivazione, ha lamentato che il collegio ha omesso di pronunciarsi sulla nullità dell’atto impugnato per mancanza di notifica dell’avviso di “rettifica relativa al recupero del credito d’imposta” e non ha tenuto conto del credito d’imposta di € 496.700,00, maturato nell’anno precedente.
La ricorrente afferma che il giudice d’appello avrebbe ritenuto che la contribuente aveva mancato di fornire la prova del credito d’imposta. Sul punto nella pronuncia si evidenzia che <<…I primi giudici hanno giustamente rilevato che l’assunto della ricorrente (di avere specificato nel quadro RU il residuo della precedente dichiarazione pari ad € 496.700,00) è rimasto privo di riscontro probatorio, non avendo la ricorrente prodotto copia della dichiarazione unica. Anche nel secondo grado del giudizio la società appellante non ha fornito la prova dell’assunto di avere specificato nel quadro RU del modello Unico il residuo credito d’imposta maturato nella precedente dichiarazione dei redditi>>.
La ricorrente sostiene che, al contrario di quanto affermato in sentenza, il modello Unico 2006 era stato depositato in grado d’appello, trattandosi di documentazione acquisibile ai sensi dell’art. 58, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Sennonché, dolendosi che il giudice regionale abbia ritenuto che non fosse stata fornita la prova della richiesta di recupero del credito d’imposta per mancata produzione della dichiarazione dei redditi – e ciò nonostante la documentazione fosse stata allegata agli atti-, la ricorrente ha in concreto denunciato un errore percettivo della Commissione tributaria, non già di una omissione di pronuncia. Ne discende che il rimedio processuale andava ricercato nel giudizio per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., e non nel ricorso ex art. 360 c.p.c.
In conclusione il ricorso va rigettato.
All’esito deve seguire la soccombenza della ricorrente anche nelle spese processuali, che si liquidano in favore della controricorrente nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che si liquidano nella misura di € 15.000,00 per competenze, oltre € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie pari al 15% e accessori come per legge.
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