CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2021, n. 18820

Ratei di assegno sociale – lndebita fruizione – Nessun dolo in capo alla pensionata – Dichiarazioni dei redditi conformi al vero – Disciplina generale dell’indebito previdenziale – Assimilazione della pensione sociale alle pensioni a carico dell’AGO e delle altre gestioni obbligatorie

Fatti di causa

Con sentenza depositata il 3.4.2015, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di ripetizione dell’indebito avanzata dall’INPS nei confronti di M.G.I., in relazione a ratei di assegno sociale da lei percepiti dal 2006 al 2010.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che l’indebita fruizione di ratei di assegno sociale andasse assoggettata alla disciplina di cui all’art. 13, l. n. 412/1991, e avendo accertato che nessun dolo poteva predicarsi in capo alla pensionata, dal momento che costei, nel periodo in questione, aveva presentato dichiarazioni dei redditi conformi al vero, ha reputato irripetibile l’indebito.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un unico motivo di censura.

M.G.I. non ha svolto in questa sede attività difensiva.

Ragioni della decisione

Con l’unico motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 13, l. n. 412/1991, 3, comma 6, l. n. 335/1995, e 2033 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la prestazione oggetto di ripetizione andasse assoggettata alla disciplina generale dell’indebito previdenziale, pur trattandosi di prestazione assistenziale per la quale opererebbe invece la disciplina generale dell’art. 2033 c.c.

Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza debba essere corretta.

Va anzitutto chiarito che, sebbene l’art. 52, comma 1, l. n. 88/1989, esplicitamente assoggettasse alla disciplina propria dell’indebito previdenziale anche «la pensione sociale di cui all’art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153», altrettanto non può dirsi dell’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, l. n. 335/1995: benché infatti attribuito «con effetto dal 10 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma», si tratta di una prestazione assistenziale affatto differente per presupposti legittimanti e modalità di erogazione (Cass. nn. 18713 del 2004 e 23529 del 2016), con la conseguenza che non può ritenersi estesa ad essa la previsione eccezionale dell’art. 52, l. n. 88/1989, che, ai fini della ripetibilità dei ratei indebitamente corrisposti, prevedeva l’assimilazione della pensione sociale alle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle altre gestioni obbligatorie.

Si tratta di una conclusione alla quale questa Corte è già implicitamente pervenuta (v. in tal senso Cass. n. 23097 del 2013, che ha escluso l’indebita fruizione di ratei di assegno sociale dall’ambito di operatività delle previsioni dettate per l’indebito in materia previdenziale, e Cass. n. 13223 del 2020, che ha applicato all’indebita fruizione di ratei di assegno sociale la disciplina propria dell’indebito in materia assistenziale) e che qui va ribadita sull’ovvio presupposto che una disciplina di carattere chiaramente eccezionale, qual era appunto quella che assimilava la pensione sociale ex art. 26, l. n. 153/1969, alle prestazioni pensionistiche di natura previdenziale, non può essere suscettibile di applicazione oltre i casi e i tempi in essa stabiliti (art. 14 prel. c.c.); ed è giusto il caso di aggiungere che, mentre la ratio dell’assimilazione ben poteva giustificarsi al tempo dell’emanazione dell’art. 52, I. n 88/1989, stante che la pensione sociale istituita dall’art. 26, l. n. 153/1969, costituiva l’unica provvidenza di carattere assistenziale gravante sull’INPS, restando le altre a carico del Ministero dell’Interno, affatto differente è la situazione normativa odierna, che vede l’INPS soggetto obbligato non soltanto delle prestazioni previdenziali, ma altresì di quelle assistenziali: ed è dunque evidente che assoggettare la disciplina dell’indebita corresponsione dell’assegno sociale all’art. 52, l. n. 88/1989, oltre a non trovare più alcun appiglio testuale nella disposizione cit., non potrebbe più giustificarsi nemmeno in relazione alla sua ratio originaria e costituirebbe, anzi, un’ingiustificata (ed ingiustificabile) disparità di trattamento rispetto al trattamento riservato agli altri percettori di prestazioni assistenziali non dovute.

Deve tuttavia escludersi che l’impossibilità di far luogo all’applicazione dell’art. 52, l. n. 88/1989, debba comportare l’assoggettamento dell’indebita fruizione di ratei di assegno sociale alla disciplina dell’art. 2033 c.c..: benché un’opzione del genere sia stata espressamente fatta propria da Cass. n. 23097 del 2013, già cit., sul rilievo che, successivamente all’emanazione dell’art. 42, comma 5, d.l. n. 269/2003 (conv. con l. n. 326/2003), che ha disposto che non si dovesse procedere «alla ripetizione delle somme indebitamente percepite, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, dai soggetti privi dei requisiti reddituali», non sarebbe più dato rilevare alcuna norma speciale del settore che valga a sottrarre l’indebito assistenziale alla regola generale di cui all’art. 2033 c.c., si tratta di una soluzione che è stata espressamente sconfessata da Cass. n. 28771 del 2018, sul rilievo che dalla disposizione di cui all’art. 42, d.l. n. 269/2003, cit., non si può ricavare un’abrogazione implicita per incompatibilità sopravvenuta delle previgenti disposizioni di carattere generale contenute rispettivamente nell’art. 3-ter, dl. n. 850/1976 (conv. con l. n. 29/1977) e nell’art. 3, comma 9 0 , d.l. n. 173/1988 (conv. con l. n. 291/1988), secondo cui la ripetizione è ammessa solo dal momento dell’accertamento da parte dell’ente dell’indebito: si tratta infatti di una disciplina che si occupa di sanare in modo generalizzato gli indebiti pregressi, ma che in nulla immuta rispetto al principio generale secondo cui l’indebito assistenziale che sia dovuto al venire meno dei requisiti reddituali (inteso rigorosamente quale venir meno del titolo all’erogazione di una prestazione che era stata chiesta e si aveva diritto a percepire) determina il diritto dell’ente erogatore a ripetere le somme versate solo a partire dal momento in cui l’ente preposto accerti il superamento dei requisiti reddituali, salvo che risulti che l’accipiens si trovasse, al momento della percezione, in una situazione di dolo o comunque tale da far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito (nello stesso senso cfr. Cass. nn. 10642 e 26036 del 2019).

Tale affidamento meritevole di tutela è precisamente ciò che la Corte di merito ha accertato ricorrere nel caso di specie: si legge infatti a pag. 3 della sentenza impugnata che l’odierna intimata «ha dimostrato di avere presentato al proprio patronato, in relazione al periodo in esame, delle dichiarazioni dei redditi conformi al vero». Di talché, corretta nei suesposti termini la motivazione, il ricorso va conclusivamente rigettato, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimata svolto attività difensiva.

Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.