CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 maggio 2018, n. 10431
Lavoro – Assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità – Evasione contributiva – Contratto d’affitto d’azienda – Fruizione dei benefici ex lege 223
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 804/2011, ha respinto l’appello proposto da C.B. I.I.A. s.r.l. avverso la sentenza emessa dal Tribunale del lavoro di Cuneo nei confronti del’INPS, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., avente ad oggetto l’opposizione a cartella esattoriale relativa al pagamento di Euro 256.773,08 per contributi omessi per avere illegittimamente fruito da settembre 2004 ad agosto 2006 dei benefici ex l. n. 223 del 1991 per l’assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità.
2. Le ragioni di opposizione risolte negativamente dal primo giudice, oltre che relative ad eccezioni di irregolarità formale dichiarate inammissibili, poggiavano sulla vicenda circolatoria realizzatasi a seguito del contratto d’affitto d’azienda ex art. 2562 cod. civ., intercorso tra il S.S. s.r.l. in bonis e la C.B.I.I.A., che il Tribunale aveva ritenuto incompatibile con la fruizione dei benefici previsti dalla legge n. 223 del 1991 perché l’assunzione dei lavoratori posti in mobilità dal S.S. costituiva per l’opponente un obbligo di legge derivante dall’art. 2112 cod. civ. e non un’operazione volontaria comportante un incremento occupazionale. Da ciò la correttezza anche delle sanzioni irrogate per l’evasione contributiva determinatasi.
3. La Corte territoriale ha rigettato l’appello sulla base della considerazione che l’affitto d’azienda, stipulato ai sensi dell’art. 2562 cod.civ. avente ad oggetto il complesso di beni organizzato dello stabilimento di Salerano, tra il S.S. s.r.l. in bonis e la C.B.I.I.A. s.r.l. ha realizzato una ipotesi di trasferimento d’azienda che, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., importa l’obbligo di assunzione dei dipendenti della cedente con conseguente incompatibilità della fruizione del beneficio previsto dall’art. 8 comma 4 della legge n. 223 del 1991, restando irrilevante che al momento della stipula del contratto il Salumificio avesse cessato l’attività, licenziato i dipendenti e presentato istanza di fallimento, alla luce della stretta successione cronologica di tali eventi tra di loro.
Anche l’applicazione delle sanzioni civili prevista per l’evasione contributiva è stata giudicata corretta essendo evidente l’intento elusivo dell’opponente che aveva dichiarato all’INPS di aver affittato i locali e le attrezzature dell’azienda di provenienza e non di aver affittato l’azienda nel suo complesso.
5. Avverso la sentenza ricorre per cassazione, cui accede una memoria integrativa, C.B.I.I.A. sulla base di cinque motivi.
L’INPS resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. La memoria integrativa, notificata successivamente al ricorso dalla ricorrente all’INPS e ad Equitalia Nomos s.p.a., al fine di emendare gli errori nell’indicazione in calce al ricorso dell’elenco degli allegati delle sentenze d’appello e di primo grado, è inammissibile in applicazione del costante principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui nessun vizio del ricorso può essere sanato con memoria successiva ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.( Cass. n. 3780 del 2015; Cass. n. 26670 del 2014; Cass. n. 17603 del 2011; Cass. S.U. n. 11097 del 2006; Cass. n. 7237 del 2006; Cass. n. 14570 del 2004; Cass. n. 4199 del 2002), né è ammissibile introdurre in giudizio nuovi atti attesa la tassatività delle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c. di nullità della sentenza impugnata e di ammissibilità del ricorso e del controricorso (Cass. n. 57 del 2010; n. 132 del 2010).
2. Tuttavia, l’erronea indicazione degli estremi delle dette sentenze nell’elenco degli atti allegati al ricorso, è sostanzialmente irrilevante giacché l’errore materiale non ha in alcun modo procurato pregiudizio ai diritti di difesa della controparte, né ha impedito la corretta individuazione degli atti rilevanti per il giudizio, essendo state in concreto depositate unitamente al ricorso sia la sentenza n. 804 del 2011 della Corte d’appello di Torino che la sentenza n. 141 del 2010 del Tribunale di Cuneo, correttamente individuate nel corpo del ricorso.
3. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. perché dalla lettura del contratto d’affitto si sarebbe dovuto ricavare, al di là delle dichiarazioni formali, che la vera finalità perseguita dalle parti era quella di preservare il patrimonio aziendale nell’interesse della massa fallimentare nonché di valutare l’azienda ai fini di una successiva acquisizione. Inoltre, avrebbe dovuto considerarsi che l’attività aziendale del S.S. s.r.l. era cessata in concreto già prima della stipula del contratto intitolato all’affitto d’azienda, non vi erano rapporti di lavoro in essere al momento del trasferimento, i contratti collettivi applicati dalla affittuaria erano differenti da quelli applicati dal precedente titolare ed il compendio dei beni oggetto d’affitto aveva perso l’identità preesistente. Al fine di sostenere tali argomenti, la ricorrente riproduce le testimonianze acquisite nel corso dell’istruttoria sollecitandone una diversa valutazione.
4. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., relativo alla circostanza della effettiva continuazione dell’azienda a seguito della stipula dell’affitto. Si afferma che i presupposti della crisi erano effettivi ed era assente ogni aspetto elusivo degli obblighi contributivi.
5. Il terzo motivo attiene alla violazione e o falsa applicazione dell’art. 8 comma 4 bis I. 223 del 1991 e dei contratti o accordi collettivi di categoria, nel senso che, qualora non dovesse ritenersi applicabile l’art. 2112 cod. civ. non si potrebbe neanche ritenere applicabile l’art. 8 comma 4 bis della legge n. 223 del 1991 in quanto insussistente l’intento elusivo, considerando che gli assetti proprietari delle parti contraenti erano differenti.
6. Il quarto motivo ha per oggetto la violazione dell’art. 116 comma 8 lett. a) e lett. b) della legge n. 388 del 2000 giacché la mancanza di intento elusivo avrebbe dovuto condurre a ritenere la fattispecie come di omissione contributiva e non di evasione.
7. Con il quinto motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’asserita mancata produzione dei ricorsi aziendali e violazione di c.c.n.I. ed art. 24, 25 d.lgs. n. 46 del 1999 in relazione ai motivi di opposizione a cartella connessi a ragioni formali di vizi della procedura di riscossione.
8. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente perché connessi, sono infondati. La L. n. 223 del 1991, art. 8, prevede che al datore di lavoro che, senza esservi tenuto, assuma a tempo pieno ed indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, è concesso uno specifico beneficio, e cioè un contributo mensile pari al cinquanta per cento dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta ai lavoratori (a seconda delle diverse previsioni per un numero di mesi non superiore a dodici ovvero a ventiquattro ovvero a trentasei mesi); allo scopo di evitare condotte fraudolente, funzionalizzate unicamente all’ottenimento di contributi pur in assenza di condizioni economiche e di mercato capaci di giustificarli, il legislatore, con il D.L. n. 229 del 1994, art. 2 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 451 del 1994) ha introdotto nel predetto art. 8, comma 4 bis, in base al quale “il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo; l’impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrono le menzionate condizioni ostative”.
9. Nel valutare la situazione fattuale sottoposta al suo esame la Corte territoriale ha verificato che il complesso delle pattuizioni negoziali intercorse fra l’originaria datrice di lavoro e l’odierna ricorrente hanno in fatto comportato, nel loro collegamento e nei risultati ultimi attraverso le medesime perseguiti, finalità ostative alla fruizione dei benefici contributivi. E’ stato valutato che la fattispecie negoziale ha realizzato anche in concreto un affitto di azienda (così come del resto le parti stesse l’avevano qualificata), e la Corte territoriale ha tenuto conto del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini del trasferimento dell’azienda, non è necessario che vengano trasferiti tutti i beni aziendali, ma è sufficiente il trasferimento di alcuni di essi, purché nel complesso di questi ultimi permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure con la successiva integrazione ad opera del cessionario (cfr, Cass., nn. 3514/1975; 3627/1996).
10. Dunque, la sentenza impugnata non ha commesso alcun errore di sussunzione nell’inquadrare la concreta fattispecie nell’ambito applicativo dell’art. 2112 cod. civ. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità (vd. Cass. n. 16255 del 2011, n. 12909 del 2003) ha, infatti, affermato che l’art. 2112 cod. civ., nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d’azienda; ne deriva che l’obbligazione dell’azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno “sine die” di mantenimento dell’occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso semplicemente con la formale restituzione dell’azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che invece l’attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell’azienda affittuaria era continuata.
11. La sentenza impugnata, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di presupposti per la fruizione dei benefici contributivi derivanti dall’assunzione di lavoratori iscritti alle liste di mobilità ha correttamente ritenuto centrale il rilievo che le disposizioni di cui all’art. 2112 cod. civ. trovassero applicazione tutte le volte che, rimanendo immutata l’organizzazione aziendale, vi fosse soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico, attuativo di tale sostituzione, e quindi a maggior ragione nel caso di specie ove era stato stipulato un contratto denominato dalle parti come di affitto dell’azienda, espressamente contemplato nella citata disposizione. Sicché era da ritenersi coerente con tale tipo di contratto, ai fini dell’integrazione delle condizioni per l’operatività della tutela dei lavoratori, il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell’esercizio dell’impresa, ossia la continuità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, restando immutati il complesso di beni organizzati dell’impresa (lo stabilimento di Solerano del S.S.) e l’oggetto di quest’ultima.
12. A tal proposito, ha opportunamente evidenziato come costituisca un indice probatorio di tale continuità l’impiego del medesimo personale e l’utilizzo dei medesimi beni aziendali, osservando, in relazione alla fattispecie concreta, come non fosse contestato in giudizio che la odierna ricorrente avesse continuato a svolgere la medesima attività economica già facente capo al S.S., subentrando nella gestione dello stabilimento dove veniva svolta l’attività produttiva, considerato, peraltro che la difesa della società si era incentrata sulla mera negazione di tali evidenze. Invece, occorreva dare risalto alla successione cronologica dei fatti e precisamente che in data 4 settembre 2004 erano avvenuti i licenziamenti dei lavoratori, il 6 settembre 2004 era stato stipulato il contratto d’affitto d’azienda ed il 13 settembre era avvenuta l’assunzione da parte di C.B. Italia di dieci ex lavoratori del S.S. iscritti nelle liste di mobilità, assunti immediatamente dopo la risoluzione del precedente rapporto.
13. Il riconoscimento dei benefici contributivi previsti dall’art. 8, commi 2 e 4, della l. n. 223 del 1991, in favore delle imprese che assumono personale licenziato a seguito di procedura di mobilità ex artt. 4 e 24 della stessa legge, presuppone che sia accertato che la situazione di esubero sia effettivamente sussistente e che l’assunzione di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concreti condotte elusive finalizzate al solo godimento degli incentivi, sicché il diritto ai benefici va escluso ove tra le due imprese sia intervenuto un contratto di affitto del complesso dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., importa la continuazione dei rapporti di lavoro con l’acquirente, non avendo rilievo il disposto dell’art. 47, comma 5, della I. n. 428 del 1990, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 10440 del 2017; 18402 del 2016; 22864 del 2010; 8800 del 2001; 7352 del 2003; 8742 del 2004).
14. Il terzo motivo, proposto in via di difesa anticipata laddove fosse stata accolta la tesi difensiva sottesa all’inapplicabilità dell’art. 2112 cod. civ. è chiaramente inammissibile dal momento che l’art. 2112 cod. civ. è certamente applicabile alla fattispecie concreta, come sopra accertato, ed inoltre risulta del tutto slegato rispetto ai contenuti della sentenza impugnata che non si è occupata della questione sotto il profilo della elusione dell’art. 8 comma 4 bis della legge n. 223 del 1991.
15. Il quarto motivo è infondato giacchè in tema di violazioni contributive, la condotta del datore di lavoro che tenda a creare una apparenza idonea a nascondere i reali termini della realtà aziendale proprio finalizzata ad ottenere vantaggi contributivi integra l’ipotesi dell’evasione contributiva e non quella, meno grave, dell’omissione di cui all’art. 116, comma 8, lett. a) della legge n. 388 del 2000, che riguarda solo il mancato versamento delle somme “il cui ammontare è rilevabile dalle denunce o registrazioni obbligatorie (Cass. 5773 del 2012).
16. Il quinto motivo è inammissibile in quanto risulta formulato quale vizio di motivazione anche se in concreto lamenta il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. La differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. si coglie, nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia (Cass. n. 5444 del 2006).
17. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché – come avviene nella presente fattispecie – sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. (SS.UU. n. 17931 del 2013).
18. Peraltro, oltre ad essere inammissibile perché mal formulato, il motivo è pure privo di specificità in quanto non riporta i contenuti dei motivi di opposizione di cui sarebbe stata omessa la pronuncia, la decisione sul punto del giudice di primo grado e come l’atto d’appello abbia devoluto le relative questioni in quel grado. La sentenza impugnata tace del tutto in ordine a tali questioni, limitandosi a riportare, nelle conclusioni delle parti, la formulazione di una eccezione di decadenza non ulteriormente specificata.
19. In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore del controricorrente in complessivi Euro 8000,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
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