CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 maggio 2019, n. 11536
Appalto pubblico – Responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore – Obbligo di pagamento del TFR
Fatti di causa
La corte d’appello di Firenze con sentenza dell’8.3.2016 n. 226 ha riformato parzialmente la decisione del Tribunale di Livorno che in sede di opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di C. O., dipendente della società della P. M. Ambiente spa (PMA spa), aveva revocato il decreto ingiuntivo e condannato la società T. Spa, committente della PMA spa al pagamento del trattamento di fine rapporto, dovuto all’O. in virtù della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 del DLGS n. 276/2003, per il minor importo maturato dal lavoratore per il solo periodo di lavoro intercoso con la società appaltatrice M. spa.
La corte di merito, diversamente da quanto deciso dal giudice di prime cure in sede di opposizione ed in accoglimento dell’appello incidentale di O., ha respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo di T., riconoscendo l’intero importo richiesto dal lavoratore a titolo di TFR, incluso quanto maturato nel periodo di lavoro svolto alle dipendenze della precedente società appaltatrice del servizio di pulizia, in forza di un accordo sindacale intercorso tra i lavoratori e le due ditte che si erano succedute nell’appalto con T.
In particolare poi la corte fiorentina ha ritenuto:
a) che andasse applicata alla fattispecie in esame la disciplina di cui all’art. 29 del DLGS n. 276/2003 in tema di responsabilità solidale del committente nei confronti del dipendente dell’impresa appaltatrice, nonostante nella fattispecie di causa andasse applicata altresì la disciplina di cui al DLGS n. 163/2006 sugli appalti pubblici, che tuttavia non contiene alcuna norma che consente di derogare alla disciplina di cui al citato art. 29, regolamentando il DGSL n. 163/2006 soltanto il regime di responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore e non escludendo espressamente che il rapporto tra committente e appaltatore sia regolato comunque dall’art. 29 in punto di responsabilità solidale verso il lavoratore.
b) Che, in base alla legge n. 296 del 2006, quanto alla titolarità passiva dell’obbligo di pagamento del TFR, essa rimaneva pur sempre in capo alla PMA spa, nonostante che l’accantonamento fosse stato depositato presso il Fondo di garanzia e che pertanto andava respinta l’eccezione sollevata da T. di nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio con l’INPS , quale gestore del Fondo di Garanzia.
c) Che infatti non si verteva nel caso in esame in una ipotesi di surrogazione legale ai sensi dell’art. 1203 c.c., in quanto l’obbligo di pagamento del TFR sorgeva direttamente dall’art. 29 del dlgs n. 276 e non per interesse a soddisfare il lavoratore in qualità di creditore, con conseguente surrogazione del solvens nella posizione dell’accipens.
d) Che la circostanza che le quote di TFR dovevano essere versate al fondo istituito dall’art. 1 comma 755 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 non incideva sulla titolarità passiva del rapporto obbligatorio, come precisato dall’art. 2 del D.M. 30 gennaio 2007 e che comunque l’esistenza, la durata e la natura della prestazione lavorativa non erano state contestate, e che T. era in grado di conoscere i lavoratori addetti all’appalto.
e) Che la possibilità per il lavoratore di accedere al Fondo di garanzia, a causa dello stato di insolvenza della società appaltatrice non esonerava la committente dalla sua obbligazione solidale, atteso che il Fondo è istituito per legge in funzione solidaristica pubblica ed è quindi tenuto ad intervenire solo in favore del lavoratore e dei suoi aventi diritto, non certo a sollevare gli obbligati solidali del datore di lavoro dall’adempimento retributivo da questi non assolto, restando comunque sempre salva la facoltà di agire in regresso verso l’obbligata principale.
f) Che doveva quindi escludersi anche qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale in relazione ad un preteso eccesso di delega (Corte Cost. ord. 18 gennaio 2013 n. 5), come anche ad una irragionevolezza della disposizione o ad una violazione del diritto di difesa o di azione.
g) Che infine nel caso dell’O. non poteva ritenersi che il verbale di conciliazione in sede sindacale dal lui sottoscritto l’11.2.2010 fosse preclusivo della domanda spiegata nel presente giudizio, in quanto relativa a rinunce afferenti a diritti diversi da quelli qui azionati e che infine andava accolto l’appello incidentale, sussistendo il diritto del lavoratore di vedersi corrisposto il TFR anche per la parte riferita al periodo di lavoro con l’appaltatore precedente, in virtù di un accordo sindacale tra la società B. e la P.M.A spa , in cui era previsto il trasferimento a quest’ultima anche della quota di TFR maturata presso la precedente impresa appaltatrice
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T. s.p.a. affidato a sette motivi; ha resistito O. con controricorso.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 1362 e dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per avere la corte erroneamente interpretato quanto previsto dalle parti nel verbale di conciliazione in sede sindacale del’11.2.2010, in cui l’O., a fronte dell’assunzione offerta da T. spa con decorrenza 1.3.2010 e del pagamento della somma lorda di 23,000,00 euro, aveva dichiarato di non avere niente altro a pretendere nei confronti di T. e delle altre società del gruppo FS per “qualsiasi titolo motivo o ragione , ivi compresi risarcimenti per danni patrimoniali e morali . Per la ricorrente le parti avevano inteso non solo porre fine allo specifico contenzioso tra loro insorto , ma a qualsiasi diritto azionabile nei confronti di T.
Il motivo è infondato. Nella conciliazione stipulata in data 11.2.2010 l’O., a fronte del pagamento della somma di 23.000,00 euro, ha rinunciato a qualsiasi domanda connessa con il rapporto di lavoro intercorso o intercorrente con T. spa o con altre società del gruppo FS, laddove la domanda oggetto della presente causa si riferisce al TRF maturato nei confronti della società appaltatrice PMA spa , estranea alla conciliazione sindacale. T. è stata chiamata a pagare una somma in virtù dell’ obbligo solidale di cui all’art. 29 DLGS più volte citato, peraltro divenuta esigibile solo alla data di cessazione del rapporto di O. con tale società appaltatrice, in data 28.2.2010. Nessun accenno del resto vi è nella transazione al diritto azionato nella presente causa, dove sono state espressamente indicate le eventuali domande a cui l’O. rinunciava. Ed infatti la rinuncia deve concernere diritti determinati od obiettivamente determinabili dovendosi presupporre un cosciente intento del lavoratore di abdicarvi o di transigere.
2) con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 – comma 2 d.lgs. lgs. 10 settembre 2003 n. 276, dell’art. 118 sesto comma del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e degli artt. 4, 5 e 6 del D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c. p. c. Sostiene la società ricorrente che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile all’appalto in questione l’art. 29 comma 2 del d.lgs. n. 276 del 2003 atteso che, essendo T. s.p.a. concessionaria ex lege del servizio ferroviario (servizio pubblico essenziale) ed operando quale amministrazione aggiudicatrice che stipula contratti di appalto per servizi sussidiari del settore dei trasporti (pulizia dei rotabili ferroviari ed altri servizi di pulizia ad essi connessi), sarebbe soggetta alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 163 del 2006 per gli appalti pubblici che prevede, ai sensi dell’art. 118 comma 6 del citato d.lgs. n. 163 del 2006) una responsabilità solidale solo tra appaltatore e sub appaltatore e non anche con il committente.
Il motivo non merita accoglimento. Anche di recente questa Corte ha avuto occasione di chiarire che il divieto posto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, che esclude l’applicabilità alle pubbliche amministrazioni della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 comma 2, del citato decreto, ulteriormente specificato dall’art. 9 del d.l. n. 76/2013, (conv., con modif., dalla l. n. 99/2013), non trova applicazione nei confronti di soggetti privati , quale è nella specie, T. s.p.a., ai quali pure si applica il codice dei contratti pubblici quali “enti aggiudicatori”, in quanto non vi è un espresso divieto di legge ed inoltre il d.lgs. n. 276/ 2003, che regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, ed il d.lgs. n. 163/2006 che opera, invece, sul piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto sono tra loro compatibili (cfr. Cass. 24/05/2016 n.10731 e più recentemente Cass. sez. VI-L 06/04/2017 n. 8955 e Cass. sez. VI-L 20/07/2018 n. 19339).
Si è sottolineato che il codice dei contratti pubblici non contiene “una disciplina di legge autosufficiente, in sé esaustiva né aliunde integrabile: al contrario, esso è compatibile con disposizioni ad esso esterne, come chiaramente denunciato dal rinvio, per quanto in esso non espressamente previsto in riferimento all’attività contrattuale, alle disposizioni stabilite dal codice civile (art. 2, quarto comma 163/2006). E proprio in virtù di un tale rimando, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, cui è -preclusa per espresso divieto di legge l’integrazione con il d.lgs. 276/2003, si è ritenuto applicabile il regime di garanzia dei lavoratori (più in generale degli ausiliari) dell’appaltatore previsto dall’art. 1676 c.c. (Cass. 7 luglio 2014, n. 15432).” Per l’effetto “ben a ragione si deve ritenere applicabile il regime di responsabilità solidale stabilito dall’art. 29, comma 2, D.lgs. 276/2003 a quei soggetti privati, quale T. s.p.a., anche qualora committenti in appalti pubblici, alla cui disciplina pure siano soggetti. Ed infatti, nessuna incompatibilità è ravvisabile tra le due discipline. Il d.lgs. 276/2003 regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, con riserva di una più forte protezione ad essi, titolari di un’azione diretta nei confronti (in via solidale con il proprio datore di lavoro) del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in dipendenza dell’appalto e non soltanto, come a norma dell’art. 5, primo comma d.p.r. 207/2010, le retribuzioni arretrate (peraltro nei limiti delle somme dovute all’esecutore del contratto ovvero al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto, con detrazione da queste del loro importo): e ciò non per riconoscimento di un proprio diritto, ma per esercizio di una facoltà (“possono pagare anche in corso d’opera”) attribuita ai soggetti indicati dall’art. 3, primo comma, lett. b) d.p.r. cit. (“amministrazioni aggiudicatrici, organismi di diritto pubblico, enti aggiudicatori, altri soggetti aggiudicatori, soggetti aggiudicatori e stazioni appaltanti: i soggetti indicati rispettivamente dall’art. 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33, del codice”). Il d.lgs. n. 163/2006 opera, invece, sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori, nei limiti detti, in corso d’opera, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi previsti dalla legge: e ciò mediante un costante monitoraggio dell’osservanza del loro regolare adempimento a cura dell’appaltatore e dei suoi subappaltatori, per effetto di una disciplina sintomatica di una più preoccupata attenzione legislativa alla corretta esecuzione dell’appalto pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico (come osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432).”
Per l’effetto si è ritenuto che nei confronti di un imprenditore soggetto di diritto privato come T. s.p.a., le due discipline possano concorrere stante, come prima osservato, l’ assenza di un espresso divieto di legge e la chiarita compatibilità -delle finalità cui ciascuna è finalizzata (cfr. in termini le già ricordate Cass. n. 10731/2016, n. 19339/2018).
Le considerazioni sopra svolte sono pienamente condivise dal Collegio che, in assenza di ragioni per discostarsene, intende darvi continuità.
2) Con il terzo motivo di ricorso e, in via gradata al primo motivo, si solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 in relazione agli artt. 3 e 41 cost. per essere i committenti di appalti pubblici destinatari di una disciplina eccessivamente onerosa rispetto ad altri operatori economici, essendo soggetti oltre che al regime della solidarietà ex art. 29 citato e all’azione sostitutoria di cui all’art. 1676 c.c., anche alla disciplina di cui al Dlgs n.163/2006.
Il motivo non merita accoglimento; la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 comma 2 d.lgs. n. 276 del 2003 sollevata è stata già vagliata da questa Corte che I’ha ritenuta infondata evidenziando, in maniera del tutto condivisibile, la peculiarità delle due situazioni a confronto, che giustificano la diversità delle discipline (cfr. Cass. n. 20327/2016 e più recentemente Cass. n. 8955/2017, Cass. n. 10777/2017 e Cass. n. 3885/2018). In particolare Cass. n. 8955/2017 proprio in relazione alla società T. s.p.a., cui pure si applica il codice dei contratti pubblici quali “enti aggiudicatori”, ha evidenziato l’assenza di un espresso divieto di legge e la compatibilità tra il d.lgs. n. 276 del 2003, che regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, ed il d.lgs. n. 4)con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 755-757 della legge 27 dicembre 2006 n. 296, del D.M. 30 gennaio 2007, dell’art. 29 del d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.: la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui non ha dichiarato l’ estraneità di T. spa al pagamento delle quote del TFR maturate a far data dal 1 gennaio 2007, per essere la relativa obbligazione a carico del Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS e non del datore di lavoro – appaltatore. Per la ricorrente poiché il pagamento effettuato al Fondo tesoreria Inps estingue l’obbligazione del datore di lavoro, non essendovi inadempimento datoriale si estinguerebbe anche la solidarietà del committente. Ne conseguirebbe altresì la carenza di legittimazione passiva di T. per il pagamento del TRF successivamente al 1 gennaio 2007, – data entro cui era stato effettuato il conferimento del TFR maturato. La ricorrente sostiene, in sostanza, che la decisione impugnata sarebbe errata nella parte in cui non ha dichiarato l’ estraneità di T. spa al pagamento delle quote del TFR maturate a far data dal 1 gennaio 2007, per essere la relativa obbligazione a carico del Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS e non del datore di lavoro – appaltatore.
Il motivo è infondato. Questa corte ha già precisato (cfr Cass n. 10354/2016) con orientamento che qui si condivide, che l’onere probatorio del lavoratore che agisca nei confronti del committente del datore di lavoro per il pagamento del TFR riguarda il fatto costitutivo del suo diritto, rappresentato dal rapporto di lavoro subordinato e dal contratto di appalto (nel senso dell’impiego nei lavori appaltati) e non anche l’effettivo versamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti al Fondo di Tesoreria (a norma della L. n. 296/2006, art. 1, comma 756, seconda parte). Se è vero che il versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria costituisce, fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro-appaltatore e, di conseguenza, nei confronti della committente, obbligata solidale ex lege, quest’ultima ha l’onere di allegazione e di prova dell’avvenuto versamento ove lo opponga in eccezione. L’art. 1 della legge 296/06 prevede, infatti, al comma 756, che la liquidazione del trattamento di fine rapporto al lavoratore viene effettuata dal Fondo di cui al precedente comma 755 «limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro». Ne consegue che T. spa non poteva limitarsi a sostenere il proprio difetto di legittimazione passiva per le quote del TFR maturate dal 1 gennaio 2007 ma avrebbe dovuto dedurre di avere allegato e provato, nel giudizio di merito, i versamenti al Fondo di Tesoreria effettuati dalla società-appaltatrice (P.M. Ambiente spa).
Per contro nel motivo di ricorso non si indicano, come era necessario al fine della decisività della censura, le allegazioni svolte nelle fasi di merito circa l’effettivo versamento dei contributi al Fondo di tesoreria (da parte del datore di lavoro). La ricorrente invero si limita a riproporre in questa sede la questione del proprio difetto di legittimazione passiva e sotto tale aspetto il motivo è quindi infondato. (cfr Cass. n. 3884/2018, già citata).
5) con il quinto motivo di gravame si deduce, in via gradata , la violazione dell’art. 29 DLGS n. 276/2003 (art. 360 c. 1. n. 3 c.p.c.) Avrebbe errato al corte d’appello nel ritenere che la responsabilità solidale di T. si estendesse a tutto il TFR maturato nell’intera vita lavorativa e comunque anche all’appalto precedente a quello con PMA e dunque prima del periodo dal febbraio 2006 al gennaio 2010, come peraltro indicato nel ricorso per decreto ingiuntivo, dunque al di fuori dell’appalto oggetto di causa. Vi sarebbe per la ricorrente una chiara violazione per principio di cui all’art. 29 citato, non essendo stata T. parte dell’accordo, atteso che l’accollo della quota di TFR maturata in precedenza è stato effettuato dalla sola PMA spa.
Il motivo è infondato. La Corte di merito ha accertato in fatto che la somma richiesta col decreto ingiuntivo a titolo di t.f.r. era comprensiva del trattamento di fine rapporto maturato con i due datori di lavoro succedutisi nell’appalto ed ha evidenziato che con accordo collettivo del dicembre 2005 la quota di t.f.r. maturata presso l’originaria società appaltatrice non era stata versata al lavoratore ma trasferita alla società subentrata nell’appalto con T.. Con accertamento di merito a lei riservato, poi, la Corte territoriale ha verificato che era stata documentalmente provata la continuità nell’appalto nel passaggio da una società all’altra (sempre sul lotto 7 Toscana) e che nessuna specifica contestazione era stata mossa al riguardo. Si tratta all’evidenza di accertamenti di fatto non suscettibili di nuova e diversa valutazione davanti a questa Corte di legittimità. Ne consegue che non si configurano le denunciate violazioni di norme di legge. La Corte ha correttamente ritenuto la responsabilità solidale della committente su un credito che ha accertato che era maturato nel corso del medesimo appalto di servizi (sul quale si erano succedute due differenti società appaltatrici). Non è incorsa in alcuna violazione dell’onere della prova atteso che il lavoratore ha documentalmente dimostrato l’esistenza del suo credito. Neppure ha violato le norme in materia di decreto ingiuntivo avendo riconosciuto al lavoratore proprio la somma che era stata azionata col decreto, comprensiva del credito per t.f.r. oggettivamente maturato, sul medesimo contratto di appalto ma con un precedente datore di lavoro e da quest’ultimo ceduto, con accordo collettivo, all’atto del trasferimento del personale alla società subentrante nell’appalto stesso.
6) con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 1203 n. 3 c.c. e comma 2^ del DLGS n. 276 del 2003, per aver errato la sentenza impugnata nell’escludere il diritto di T. spa di surrogarsi al lavoratore nei suoi diritti verso in Fondo di garanzia, una volta che avesse adempiuto all’obbligazione di pagamento del TFR in luogo della appaltatrice P.A. spa; si tratterebbe per la società ricorrente di un’ipotesi di surrogazione legale di cui al n. 3 dell’art. 1203 c.c. e la corte di merito non ha tenuto conto T. spa non aveva effettuato una scelta discrezionale nell’attribuire alla PMA spa l’appalto, ma che si era trattato di un’aggiudicazione seguita da apposita gara di appalto con avviso pubblicato nella GU dell’UE secondo la disciplina degli appalti pubblici, così non potendosi ravvisare alcuna culpa in eligendo nella scelta dell’impresa appaltatrice. La questione è stata già affrontata nei precedenti di questa Corte (cfr. Cass. nn. 10543 e 10544 del 2016 ), qui condivisi, che hanno evidenziato come la posizione giuridica soggettiva della committente (nella specie, T. s.p.a.) che, in forza dell’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, corrisponde i trattamenti retributivi ed il TFR ai dipendenti del proprio appaltatore non è riconducibile a quella dell’ «avente diritto dal lavoratore», quest’ultimo beneficiario della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2 (a tenore del quale il Fondo di Garanzia si sostituisce al datore di lavoro insolvente nel pagamento del TFR spettante ai lavoratori «o loro aventi diritto»). Il committente adempie ad un’obbligazione propria nascente dalla legge, e, pertanto, non diviene avente diritto dal lavoratore e non ha titolo per ottenere l’intervento del Fondo di garanzia di cui all’art. 2 della L. n. 297 del 1982; è, piuttosto, legittimato a surrogarsi nei diritti del lavoratore verso il datore di lavoro-appaltatore, ex art. 1203, n. 3, cod.civ.” (cfr. per ultimo Cass. Ord. sez.VI-L n. 3884/2018, con relativi richiami).
7) con il settimo motivo di si solleva ancora , in via gradata, la questione di legittimità dell’art. 29 secondo comma, in relazione agli art. 3 e 41 Cost., ove interpretato nel senso che il regime di solidarietà si applichi anche ai crediti dei lavoratori per i quali è previsto l’intervento del fondo di garanzia INPS. In esecuzione della direttiva 80/987/ce è stata emanata la legge n. 297/82 che ha istituito il fondo di garanzia presso l’Inps a tutela dei lavoratori e finanziato dalle imprese; pertanto non vi sarebbe ragione alcuna di prevedere per il lavoratore la garanzia del pagamento da parte del Fondo ed allo stesso tempo anche la garanzia del pagamento del committente in via solidale, ponendo quest’ ultimo in una posizione penalizzante per non poter recuperare quanto pagato al lavoratore in luogo di quanto dovuto dal Fondo di garanzia e non poter recuperare tale somma.
L’assunto è manifestamente infondato, come già ritenuto in relazione alla questione di legittimità prima esaminata, con riferimento alla garanzia accordata alle imprese alle quali comunque si applica in parte anche la normativa di cui al Dlgs n. 163/2006.
Come in precedenza rilevato le peculiarità delle due situazioni a confronto giustificano la diversità delle discipline (cfr. Cass. n. 20327/2016, Cass. n. 8955/2017, Cass.n. 10777/2017 e, recentemente, Cass. n. 3885/2018).
Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della società soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 3000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n.115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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