CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 marzo 2020, n. 5638
Tributi – ICI – Immobili di edilizia agevolata – Applicazione dell’imposta
Svolgimento del processo
E. srl ha proposto cinque ricorsi contro altrettanti avvisi di accertamento concernenti l’ICI per i periodi di imposta dal 2005 al 2009 e notificati dal Comune di Foggia.
La CTP di Foggia, nel contraddittorio delle parti, riunite le cause, con sentenza n. 214/07/11, ha accolto i ricorsi.
E. srl ha proposto appello limitatamente alla decisione concernente la compensazione delle spese di lite.
Il Comune di Foggia si è costituito ed ha presentato appello incidentale.
La CTR di Bari, Sez. dist. Foggia, con sentenza n. 1337/27/14, ha in parte accolto il solo appello incidentale.
E. srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Il Comune di Foggia è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, con riferimento alla sola annualità 2009, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2 della legge n. 431 del 1998 e 18 del d.l. n. 152 del 1991 poiché la CTR avrebbe errato nel riconoscere la debenza dell’ICI sugli immobili di edilizia agevolata, nonostante si trattasse di beni obbligatoriamente locati a canone agevolato.
La doglianza è infondata.
L’articolo 2 della legge n. 431 del 1998 dispone, ai commi 1, 3 e 4 (che qui rilevano) che:
“1. Le parti possono stipulare contratti di locazione di durata non inferiore a quattro anni, decorsi i quali i contratti sono rinnovati per un periodo di quattro anni, fatti salvi i casi in cui il locatore intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’articolo 3, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione.
In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.
3. In alternativa a quanto previsto dal comma 1, le parti possono stipulare contratti di locazione, definendo il valore del canone, la durata del contratto, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, nel rispetto comunque di quanto previsto dal comma 5 del presente articolo, ed altre condizioni contrattuali sulla base di quanto stabilito in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative, che provvedono alla definizione di contratti-tipo. AI fine di promuovere i predetti accordi, i comuni, anche in forma associata, provvedono a convocare le predette organizzazioni entro sessanta giorni dalla emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’articolo 4. I medesimi accordi sono depositati, a cura delle organizzazioni firmatarie, presso ogni comune dell’area territoriale interessata.
4. Per favorire la realizzazione degli accordi di cui al comma 3, i comuni possono deliberare, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, aliquote dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale immobili alle condizioni definite dagli accordi stessi. I comuni che adottano tali delibere possono derogare al limite minimo stabilito, ai fini della determinazione delle aliquote, dalla normativa vigente al momento in cui le delibere stesse sono assunte. I comuni di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, e successive modificazioni, per la stessa finalità di cui al primo periodo possono derogare al limite massimo stabilito dalla normativa vigente in misura non superiore al 2 per mille, limitatamente agli immobili non locati per i quali non risultino essere stati registrati contratti di locazione da almeno due anni”.
L’articolo 18 della legge n. 203 del 1991 prevede, per quanto qui rileva: “1. Per favorire la mobilità del personale è avviato un programma straordinario di edilizia residenziale da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato quando è strettamente necessario alla lotta alla criminalità organizzata, con priorità per coloro che vengano trasferiti per esigenze di servizio:
a) per l’edilizia agevolata, con limite d’impegno di lire 50 miliardi a valere sul limite di impegno di lire 150 miliardi relativo al 1990 previsto al comma 3 dell’articolo 22 della legge 11 marzo 1988, n. 67;”.
Sostiene la società contribuente che gli immobili di cui all’articolo 18 della legge n. 203 del 1991, che ha convertito, con modifiche, il d.l. n. 152 del 1991, nello specifico il suo articolo 18, dovevano essere concessi in locazione in favore degli appartenenti alle forze di polizia ad un canone politico concordato, con apposita convenzione stipulata con il Ministero dei Lavori Pubblici, inferiore persino a quello previsto per le locazioni concesse a canone convenzionato ex articolo 2 della legge n. 431 del 1998.
Pertanto, doveva trovare applicazione anche per i primi fabbricati l’esenzione dall’ICI deliberata dal Comune di Foggia con riferimento ai cespiti oggetto di locazione convenzionata in base alla legge n. 431 del 1998.
Inoltre, doveva tenersi conto che le unità abitative ex articolo 18 della legge n. 203 del 1991 erano state locate con canone agevolato, una volta esaurite le graduatorie dei militari impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata, in favore di soggetti non appartenenti alle forze dell’ordine e non destinati al contrasto della criminalità organizzata, per fare fronte alle tensioni ed emergenze abitative del Comune di Foggia.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente i contratti previsti dall’articolo 18 del d.l. n. 152 del 1991 erano una specie del più ampio genere disciplinato dall’articolo 2 della legge n. 431 del 1998. Lo stesso Comune di Foggia nella convenzione stipulata con la medesima società contribuente in attuazione dell’articolo 18 del d.l. n. 152 del 1991 aveva riconosciuto che i relativi contratti di locazione erano assimilati a quelli ex articolo 2 della legge n. 431 del 1998 perché i canoni erano calcolati in base agli stessi parametri e sottoposti al vaglio ed al visto preventivi della Prefettura.
La ricostruzione della E. srl non è condivisibile.
Come esattamente osservato dalla CTR, la Corte di cassazione, ha affermato, con sentenza della V Sezione n. 2824 del 24 febbraio 2012, che, in tema di agevolazioni tributarie, il beneficio previsto dall’articolo 2, comma 4, della legge n. 431 del 1998, secondo il quale i comuni possono deliberare, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, aliquote dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale immobili alle condizioni concordate fra le organizzazioni dei proprietari e dei conduttori, non è applicabile agli alloggi edificati e concessi in locazione in attuazione del piano straordinario di edilizia residenziale di cui all’articolo 18 del d.l. n. 152 del 1991 (conv. in legge n. 203 del 1991), approvato per favorire la mobilità dei dipendenti delle Amministrazioni statali per necessità di lotta alla criminalità organizzata, giacché il predetto regime fiscale di favore (avente natura derogatoria ed eccezionale) non è suscettibile di interpretazione estensiva, per difetto dell’identità di ratio e per diversità degli scopi perseguiti dalle norme sui contratti di locazione, consistenti, rispettivamente, nella riduzione della tensione abitativa mediante reimmissione sul mercato di unità abitative sfitte e nell’incentivo al trasferimento del personale per contrastare la criminalità organizzata. In particolare, deve negarsi che l’ipotesi di cui al d.l. n. 152 del 1991 possa configurare una species del più ampio genus di quella regolata dalla legge n. 431 del 1998, considerato pure che la normativa generale dovrebbe essere quella posteriore e che quest’ultima, peraltro, non si riferisce alle finalità contemplate dal d.l. n. 152 del 1991.
D’altronde, si rileva che per il d.l. n. 152 del 1991 è appositamente previsto un programma edilizio particolare per il quale è stabilito un finanziamento pubblico, circostanza che spiega perché non sia stata menzionata, in tal caso, l’esclusione o la riduzione dell’ICI.
Il fatto che, una volta esaurite le graduatorie delle forze dell’ordine, gli immobili siano stati assegnati a soggetti non coinvolti nella lotta contro la criminalità organizzata e che siano stati applicati identici canoni agevolati non rende assimilabili le due situazioni, considerato che si tratta di una estensione avvenuta sulla base di una intesa ad hoc con l’amministrazione coinvolta che, però, non trova un suo fondamento nella legge n. 431 del 1998.
Peraltro, deve osservarsi che il Comune di Foggia non aveva seguito la tesi della società contribuente, ma aveva chiaramente affermato nella convenzione stipulata con la medesima società contribuente in attuazione dell’articolo 18 del d.l. n. 152 del 1991 che i relativi contratti di locazione erano semplicemente assimilati a quelli ex articolo 2 della legge n. 431 del 1998 e che ciò avveniva limitatamente al fatto che “i canoni erano calcolati in base agli stessi parametri e sottoposti al vaglio ed al visto preventivi della Prefettura”.
Ne consegue che persino l’intesa citata dalla parte ricorrente non aveva equiparato le due ipotesi in esame, ma le aveva solo assimilate per uno specifico profilo.
2. Con il secondo motivo parte ricorrente chiede a questo Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 per contrasto con gli articoli 3 e 54 della costituzione nella parte in cui non è prevista l’equiparazione, ai fini in esame, dei canoni di locazione relativi all’edilizia agevolata.
L’eccezione è manifestamente infondata.
Infatti, le due normative in esame hanno finalità distinte, quella del 1991 mira ad agevolare il personale pubblico trasferito per la lotta contro la criminalità organizzata, quella del 1998 a combattere genericamente l’emergenza abitativa.
Inoltre, mentre per l’edilizia a canone concordato del 1998 è introdotto l’incentivo successivo rappresentato dalla riduzione od esclusione dell’ICI, per quella agevolata del 1991 è, invece, stabilito un finanziamento direttamente ex ante per la costruzione.
La circostanza dedotta dalla società contribuente che i canoni locatizi ex articolo 18 del d.l. n. 152 del 1991 sarebbero molto più bassi di quelli da corrispondere ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 431 del 1998 è, ove pure fosse veritiera, del tutto irrilevante, poiché dimostrerebbe semplicemente che, nel primo caso, in conseguenza del finanziamento alla costruzione, gli importi da chiedere ai conduttori possono essere inferiori.
3. Con il terzo motivo la E. srl contesta la violazione e falsa applicazione degli articoli 3, comma 1, e 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504 del 1992 perché la CTR avrebbe errato nel non valutare che le aree in esame erano destinate ad essere di proprietà statale e, anzi, gli immobili in questione divenivano dello Stato man mano che erano costruiti.
In definitiva, la società ricorrente sarebbe stata un mero concessionario del Ministero dei Lavori Pubblici per la realizzazione dell’intervento, destinato a non essere mai titolare di diritti reali sui beni de quibus e, comunque, avente diritto ad ottenere l’esenzione prevista per lo Stato dall’articolo 7 del d.lgs. n. 504 del 1992.
Qualora si volesse seguire la prospettazione della E. srl, si osserva, innanzitutto, che, superando la precedente normativa e interpretazione giurisprudenziale secondo cui il provvedimento amministrativo di concessione ad aedificandum su un area demaniale poteva in astratto dare luogo sia ad un diritto di natura reale, riconducibile alla proprietà superficiaria, sia ad un diritto di natura personale, l’articolo 18 della legge n. 388 del 2000, modificando l’articolo 3, comma 2, del d.lgs n. 504 del 1992 ha esteso la soggettività passiva dell’imposta ai concessionari di aree demaniali precedentemente ad essa non soggetti.
Riconosciuta dall’articolo 18 in esame la soggettività d’imposta del concessionario, la questione se il diritto in capo al concessionario dipenda da concessione ad effetti reali o ad effetti obbligatori diventa irrilevante, in quanto il diritto in capo al concessionario è sempre tassabile ai fini ICI, proprio perché il concessionario è divenuto soggetto di imposta.
Si può, pertanto, affermare che l’individuazione legislativa del concessionario quale soggetto d’imposta a norma del predetto articolo 18, a datare dalla data di applicabilità della nuova disciplina, rende il concessionario obbligato non solo sostanziale ma anche formale, senza più necessità di accertare se la concessione che gli attribuiva il diritto di costruire immobili sul demanio avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) o obbligatori (Cass., Sez. 5, n. 10006 del 10 aprile 2019).
Nella specie, la convenzione sulla quale si fonda l’edificazione in esame è del 2001 e, dunque, successiva alla legge n. 388 del 2000, con la conseguenza che il concessionario è tenuto, in una situazione come quella de qua, a pagare l’ICI.
Peraltro, si rileva che la CTR ha accertato che proprietario degli immobili era, all’epoca dell’accertamento, la società contribuente (nella stessa convenzione del 2001 proprietaria delle aree interessate era indicata la E. srl), al che consegue che soggetto passivo ICI era parte ricorrente.
Inoltre, il giudice di appello ha rilevato che, comunque, i cespiti non erano destinati esclusivamente a compiti istituzionali, con l’effetto che l’esenzione dall’ICI non spettava, competendo solo per gli immobili impiegati in via diretta ed immediata a fini istituzionali dell’ente pubblico.
Quest’ultima ratio della sentenza impugnata non è stata contestata e, quindi, il motivo proposto va respinto.
4. Con il quarto motivo la E. srl critica la sentenza di appello perché avrebbe violato, con riferimento all’estensione dell’area edificabile, il giudicato interno e l’articolo 2909 c.c. ai sensi dell’articolo 360, n. 4, c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe agito non correttamente nel confermare la valutazione di quello di primo grado che aveva indicato in mq 66.670 le superfici tassabili, con un evidente errore di calcolo.
Inoltre, la decisione della CTR non avrebbe tenuto conto del fatto che, secondo la CTP, le cui statuizioni sul punto non erano state impugnate, pure le opere di urbanizzazione primaria avrebbero dovuto essere escluse e, inoltre, non potevano essere computati ulteriori mq 5.263 su cui insisteva l’edilizia sovvenzionata e mq 4.455 relativi a terreni seminativi.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, la determinazione in mq 66.670 delle superfici tassabili contenuta nella decisione di primo grado non è stata mai contestata in appello dalla società contribuente, né essa ha avanzato istanza di correzione di errore materiale nella debita sede.
Se ne ricava che la CTR non poteva ridurre la quantificazione dell’area rilevante posta in essere dalla CTP.
D’altronde, neppure l’appello incidentale del Comune di Foggia sul punto poteva consentire alla CTR di diminuire l’estensione del terreno oggetto di imposizione, poiché finalizzato ad ottenerne, piuttosto, l’incremento.
Peraltro, si osserva che, per costante giurisprudenza, l’errore causato da inesatta determinazione dei presupposti numerici di una operazione è deducibile in sede di legittimità in quanto si risolve in un vizio logico della motivazione, a differenza dell’errore materiale di calcolo risultante dal confronto tra motivazione e dispositivo, il quale è suscettibile di correzione con la procedura di cui agli articoli 287 ss. c.p.c. (Cass., Sez. 5, n. 2399 del 31 gennaio 2018).
Nella specie, però, si rileva che parte ricorrente ha impugnato la sentenza di appello per violazione del giudicato, richiamando l’articolo 360, n. 4, c.p.c.
Inoltre, si sottolinea che viene in rilievo una decisione di secondo grado pronunciata nel 2014, con la conseguenza che non può essere più contestato il vizio di insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass., SU, n. 1241 del 23 gennaio 2015), potendo questo assumere valore solo finché è stato in vigore l’articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, vale a dire fino all’11 settembre 2012 (Cass., Sez. 6-3, n. 26654 del 18 dicembre 2014).
5. Con il quinto motivo l’E. srl lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio perché la CTR non avrebbe tenuto conto, nel determinare il valore dell’area de qua, di due decisioni, una della CTP di Foggia, la n. 331/7/09, l’altra della CTR di Bari, la n. 116/25/12, entrambe passate in giudicato, le quali avevano determinato il suddetto valore in € 23,98 al mq con riferimento ad immobili identici siti in zone più favorevoli.
La doglianza è infondata.
In primo luogo, si osserva che la CTR ha espressamente considerato che la CTP si era pronunciata in senso favorevole alla società contribuente, applicando “gli stessi valori attribuiti in altra controversia, valori che corrispondono a quelli dichiarati”, ma ha ritenuto di non condividere sul punto il ragionamento del giudice di primo grado, poiché, a suo avviso, il criterio adottato dal Comune di Foggia era conforme a legge.
Pertanto, la CTR ha valutato l’esistenza di un precedente della CTP, ma ha reputato di discostarsene.
Inoltre, la CTR ha compiutamente motivato la sua scelta di rideterminare il valore degli immobili in senso solo in parte conforme alle richieste della società ricorrente.
Infine, si sottolinea che il giudice di appello ha chiarito che il criterio dal medesimo seguito era stato già applicato in “altre controversie analoghe”, nello specifico nella sua decisione n. 725/24/2014.
Questa è una sentenza successiva a quelle indicate dall’E. srl, la cui esistenza rende non decisive le statuizioni citate dalla società ricorrente.
Peraltro, la sua menzione rappresenta una ulteriore specifica ratio della pronuncia qui impugnata che non è stata sottoposta a gravame, con la conseguenza di rendere ormai definitivo sul punto l’arresto della CTR.
6. Il ricorso va, quindi, respinto.
Alcuna statuizione va emessa sulle spese, alla luce della condotta difensiva di controparte.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, a carico della società ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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