CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 marzo 2021, n. 5646

Licenziamento collettivo – Illegittimità – Accertamento – Deposito del decreto – Mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica

Fatti di causa

1. Il Tribunale di Varese, con decreto n. 1091/2016, rigettò l’opposizione allo stato passivo del Fallimento C.M. Srl proposta da O.B. e N.A., oltre che da altro lavoratore, che avevano avanzato domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento collettivo a costoro intimato e di risarcimento del danno.

2. Avverso tale pronuncia proposero ricorso per cassazione n. R.G. 22136/2016 i soccombenti, con la resistenza del Fallimento intimato.

Con sentenza n. 12806 del 2018 questa Corte, autorizzata la motivazione semplificata, ha dichiarato inammissibile il ricorso con condanna dei soccombenti al pagamento delle spese di lite.

La Corte, premesso che il termine per impugnare in Cassazione il decreto del Tribunale è di 30 giorni ai sensi dell’art. 99 L.F., ha valutato “se la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto, avvenuto tramite p.e.c. all’indirizzo indicato nello stesso attuale ricorso, e conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica, sia da considerare parimenti effettuata ed efficace”.

Traendo “risposta affermativa in base al tenore dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 172\12, convertito in I. n. 221\12, e della giurisprudenza di questa Corte in argomento”, il Collegio ha ritenuto fondata l’eccezione sollevata dal Fallimento secondo cui “il deposito del decreto … venne comunicato agli attuali ricorrenti il 19.8.2016” mentre il ricorso per cassazione risultava “notificato solo in data 20 settembre 2016”.

3. Per la revocazione di tale sentenza i soccombenti in epigrafe hanno proposto ricorso con due motivi. Non ha svolto attività difensiva l’intimato Fallimento C.M. Srl.

4. All’udienza del 14 novembre 2019, questa Corte, “rilevato che negli atti regolamentari del fascicolo non erano contenuti gli atti relativi all’originario ricorso per Cassazione che ha dato luogo all’ordinanza oggetto di ricorso per revocazione”, ha rinviato la causa a nuovo ruolo. Acquisiti detti atti, la causa è stata discussa all’udienza pubblica del 10 dicembre 2020.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso per revocazione ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c. si denuncia “erronea presupposizione di fatto obiettivamente inesistente – in data 19 agosto 2019 non ha avuto luogo alcuna notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese”.

Si eccepisce la svista percettiva del Collegio che non si sarebbe avveduto che la comunicazione del decreto impugnato “non aveva avuto luogo a mezzo deposito in data 19 agosto 2016, ma a mezzo PEC in data 22/23 agosto 2016, con conseguente piana tempestività” del ricorso per cassazione.

Si argomenta che “la suddetta comunicazione di cancelleria attesta, difatti, incontrovertibilmente che il cancelliere del Tribunale di Varese … non aveva considerato imputabile allo scrivente difensore il mancato buon fine della comunicazione a mezzo PEC del 19 agosto 2016”; non aveva, di conseguenza, proceduto alla notifica a mezzo deposito in cancelleria degli stessi, ma aveva al contrario provveduto a delle nuove notifiche a mezzo PEC andata appunto a buon fine il 22/23 agosto 2016.

Si lamenta che il Collegio avrebbe “dato per assodato l’erroneo dato di fatto che venerdì 19 agosto 2016, dopo la vana notifica a mezzo PEC, il cancelliere … avesse provveduto, ai sensi dell’art. 16 del DL 179/12, alla immediata e contestuale comunicazione del medesimo decreto mediante deposito in cancelleria, anziché alla ripetizione della comunicazione a mezzo PEC il giorno lavorativo immediatamente successivo, come invece avvenuto”.

2. Con il secondo motivo si denuncia “errore di fatto ex art. 395 c.p.c. n. 4 – omesso esame degli atti difensivi di parte”, criticando l’impugnata decisione nella parte in cui reca l’inciso: “non contenendo la memoria presentata dall’Avv. P., per questa come per altre analoghe trattate nella stessa udienza, elementi idonei ad inficiare le precedenti considerazioni”.

Si lamenta che il Collegio non avrebbe realmente esaminato le difese contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c., ritualmente depositata e nella quale si argomentava diffusamente in ordine all’eccezione di tardività sollevata dal controricorrente Fallimento, così come accaduto in altre cause analoghe decise nella medesima udienza pubblica innanzi alla S.C. e per le quali, nella motivazione delle sentenze emesse, si leggeva: “nulla peraltro avendo dedotto i ricorrenti in ordine all’eccezione sollevata”.

3. Appare opportuno premettere i consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’ipotesi di revocazione di cui al n. 4 dell’art. 395 c.p.c..

Invero tale ipotesi sussiste se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Pacificamente per questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016).

Pertanto, in generale, l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (v. Cass. n. 14656 del 2017).

In particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; Cass. n. 4605 del 2013; Cass. n. 16003 del 2011) fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga l’interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità.

Inoltre non è idoneo ad integrare un errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013).

4. Altrettanto opportuna appare una ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale in ordine alle comunicazioni o notificazioni effettuate dalla cancelleria tramite posta elettronica certificata.

Va premesso che, ai sensi dell’art. 99, u.c., L.fall. nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, come novellato prima dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e poi dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, il decreto che decide sull’opposizione allo stato passivo “è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione”.

Tale comunicazione effettuata dal cancelliere mediante posta elettronica certificata, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.L. n. 179 del 2012, conv., con modif. dalla I. n. 221 del 2012, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in cassazione, non ostandovi il nuovo testo dell’art. 133, comma 2, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., dalla I. n. 114 del 2014, secondo il quale la comunicazione del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c., perché la norma del codice di rito trova applicazione solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme derogatorie e speciali che ancorano la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria (cfr. Cass. n. 23443 del 2019 e Cass. n. 10525 del 2016).

Tuttavia, ai sensi del comma sesto dell’art. 16 richiamato, “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’annoverare tra le “cause imputabili al destinatario” la “mancata comunicazione per saturazione della casella di posta elettronica”, avendo esplicitamente affermato “che il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/ 2012 cit., conv. in legge. n. 221/2012 cit., come modificato dall’art. 47 del d.l. 24/6/2014 n. 90, conv. in legge 11/8/2014 n. 114” (Cass. n. 7029 del 2018; ma già in precedenza v. Cass. n. 25968 del 2016; conf. Cass. n. 13532 del 2019 e, più di recente, Cass. n. 3163 del 2020).

Nonostante la mancata ricezione della comunicazione per causa a lui imputabile, il destinatario è comunque nella condizione di prendere cognizione degli estremi della comunicazione medesima, in quanto il sistema invia un avviso al portale dei servizi telematici, di modo che il difensore destinatario, accedendovi, viene informato dell’avvenuto deposito (v. Cass. n. 3965 del 2020; Cass. n. 20698 del 2018; Cass. pen. n. 54141 del 2017). Infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del D.M. n. 44 del 2011, “nel caso in cui viene generato un avviso di mancata consegna previsto dalle regole tecniche della posta elettronica certificata (…) viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”. Da tale disposizione si evince pure che, in caso “di mancata consegna”, la “comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario” è generata automaticamente, conformemente alle previsioni del D.G.S.I.A., altrimenti l’ “avviso” pubblicato “nel portale dei servizi telematici” non potrebbe dare per “avvenuta” detta comunicazione o notificazione.

5. Tanto premesso la revocazione non può trovare accoglimento.

5.1. Nel primo motivo di ricorso, parte ricorrente individua l’errore revocatorio in un “fatto obiettivamente inesistente” e cioè che “in data 19 agosto 2016 non ha avuto luogo alcuna notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese”. Si lamenta che il Collegio sarebbe incorso in “una grave svista percettiva”, perché non si sarebbe accorto della presenza agli atti di causa di un documento “attestante l’avvenuta comunicazione dei decreti in esame non già a mezzo deposito in cancelleria in data 19 agosto 2016, ma a mezzo PEC in data 22/23 agosto 2016”. Secondo parte ricorrente “l’aver erroneamente considerato inesistente, nella sua dimensione storica di spazio e di tempo, il fatto costituito dalla seconda notifica del 22/23 agosto 2016 (effettuata appunto in luogo del deposito in cancelleria dal cancelliere dott. G.T.) risultante dalla comunicazione di cancelleria prodotta agli atti di causa sub doc. B del ricorso introduttivo del giudizio integra dunque certamente gli estremi dell’errore revocatorio decisivo ai sensi e per gli effetti dell’art. 395, n. 4, c.p.c.”.

Tuttavia nessun punto della sentenza impugnata si legge esplicitamente che il Collegio ha ritenuto che il 19 agosto 2016 avesse “avuto luogo … notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese” e, quindi, in – nessun punto si afferma essere sussistente quel fatto la cui verità sia incontrastabilmente esclusa e sul quale sia stata fondata la decisione.

Al contrario la decisione appare radicata tutta sul rilievo che “la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto” incontestabilmente pubblicato il 19.8.2016, realizzata tramite p.e.c. all’indirizzo del difensore e “conclusosi con messaggio di mancata Comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica” era “da considerare parimenti effettuata ed efficace”. Si aggiunge, dopo aver riportato l’intero tenore testuale del comma 6 dell’art. 16, d.l. n. 179/2012, conv. nella I. n. 221/2012: “sicché la comunicazione deve aversi per notificata allorquando la mancata consegna dipenda da cause imputabili al destinatario come nel caso in cui per mancata diligenza di questi la casella risulti piena per prolungata (e dunque colpevole) assenza di lettura della posta elettronica”.

Trattasi di valutazione in diritto che non può essere certo sindacata in sede di revocazione; piuttosto il ricorso qui esaminato sottende la critica che la sentenza impugnata avrebbe dovuto verificare non solo la mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, ma anche che avesse avuto luogo una “notifica/comunicazione a mezzo deposito in cancelleria dei decreti di rigetto del Tribunale di Varese” (rectius, che la comunicazione contenente “il testo integrale del provvedimento comunicato” ai sensi dell’art. 45 disp. att. c.p.c. fosse stata eseguita “mediante deposito in cancelleria”) e sempre che tale “notifica/comunicazione” non fosse stata automaticamente generata dal sistema.

Ma l’errore revocatorio – per quanto innanzi rammentato – non può riguardare  la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche e deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di valutazioni che involgano l’interpretazione di norme.

Peraltro, in altra occasione, questa Corte ha avuto modo di affermare che: “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (Cass. n. 3164 del 2020).

Inoltre, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo, invece, esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perché, altrimenti, si ricondurrebbe all’ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell’ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto che non sia stato espressamente considerato nella motivazione giudiziale (Cass. n. 3200 del 2017).

Tale ultimo rilievo vale anche per l’ulteriore circostanza valorizzata da parte ricorrente che denuncia come “svista percettiva” il fatto che la sentenza impugnata non avrebbe considerato “la presenza agli atti di causa” della successiva comunicazione a mezzo p.e.c. effettuata in data 22/23 agosto 2016.

Il non averne accennato nella sentenza redatta con motivazione semplificata non significa certo che detto fatto sia stato negato nella sua materiale esistenza, potendo più semplicemente stare a significare che il Collegio ne ha disconosciuto la rilevanza giuridica ai fini del giudizio, come pure poteva fare coerentemente con l’assunto che la comunicazione si era già perfezionata il giorno 19 agosto 2016, per il solo fatto che la casella di posta del destinatario era risultata negligentemente satura, sicché la successiva comunicazione del 22/23 agosto ben poteva, secondo tale prospettiva, essere considerata irrilevante.

D’altro canto stabilire il dies a quo di una impugnazione compete al giudice e non al cancelliere, che non ha certo nella sua disponibilità il potere di differire il termine per l’impugnazione. Peraltro il cancelliere, ove avesse ritenuto che la mancata consegna del messaggio per mancanza di capienza della casella di posta fosse dovuta a causa non imputabile, avrebbe dovuto operare a norma del comma 8 dell’art. 16, d.l. n. 179/12, conv. in I. n. 221/12, secondo cui “Quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l’articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile …”, piuttosto che “contattare” informalmente il difensore mediante posta elettronica ordinaria per avvisarlo dell’accaduto (v. pag. 5 ricorso per revocazione) e successivamente procedere ad un nuovo invio della comunicazione a mezzo p.e.c.. In ogni caso, proprio in ragione di ciò, il difensore era stato tempestivamente edotto della pubblicazione del decreto e di quanto accaduto per aver tenuto satura la casella  di posta elettronica ed aveva certo tutto il tempo per porre in essere una linea difensiva prudente volta a scongiurare ogni conseguenza sfavorevole per i propri assistiti .

5.2. Esclusa la natura revocatoria dell’errore denunciato, vi è un ulteriore profilo autonomamente preclusivo della possibilità di accogliere il ricorso, atteso che l’art. 395, n. 4, c.p.c., circoscrive la rilevanza e decisività dell’errore di fatto al solo caso in cui esso non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato.

Orbene, con l’originario controricorso il Fallimento C.M. srl ha formalmente eccepito la tardività del ricorso per cassazione ed ha quindi affermato come “nel caso concreto, la mancata ricezione e presa visione del decreto di rigetto dell’opposizione allo stato passivo sia esclusivamente ascrivibile alla sfera organizzativa del legale dei ricorrenti, avendo il difensore di questi ultimi omesso di controllare con la necessaria periodicità la capienza residua della casella, di scaricare e cancellare i messaggi che ne rendevano satura la memoria e, in definitiva, di porsi in condizione di ricevere il suddetto messaggio della cancelleria”, invocando a sostegno proprio l’art. 16, co. 6, d. I. n. 179/12 e consegnando la questione controversa al contraddittorio delle parti.

Su tale punto controverso la sentenza impugnata ha provveduto, condividendo l’eccezione della controricorrente, il che implica un’attività di giudizio, riguardante anche la valutazione del contenuto espositivo di atti processuali, che non è suscettibile di riesame in questa sede.

Invero, ai sensi degli artt. 395, n. 4, e 391-bis c.p.c., una volta che la questione sia stata esplicitamente sottoposta al contraddittorio delle parti, la pronuncia del giudice non si può configurare come pura svista percettiva, ma assume necessariamente natura di valutazione e di giudizio, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (cfr. Cass. n. 14929 del 2018).

6. Parimenti infondato il secondo motivo del ricorso per revocazione, con cui si lamenta un “omesso esame degli atti difensivi della parte”, che in realtà neanche risulta, in quanto dalla motivazione emerge espressamente che la Corte, nel caso di specie, ha esaminato “la memoria presentata dall’Avv. P.” e non possono avere alcun rilievo considerazioni riferite ad altri procedimenti.

In ogni caso la doglianza non può trovare accoglimento anche per il principio già affermato da questa Corte, proprio in un caso di richiesta di revocazione di sentenza della Cassazione ex art. 391 bis c.p.c., secondo cui: “L’omesso esame di atti difensivi, asseritamente contenenti argomentazioni giuridiche non valutate, non può essere considerato un errore di fatto riconducibile all’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.” (Cass. n. 714 del 2012; non conferente invece il richiamo di parte ricorrente a Cass. n. 602 del 2018, riferita al ben diverso caso del vizio riguardante un atto interno allo stesso procedimento di legittimità relativo all’instaurazione del contraddittorio, quale l’omesso avviso di fissazione dell’udienza o della camera di consiglio a tutte le parti costituite).

7. Conclusivamente il ricorso per revocazione deve essere respinto.

Nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’intimato Fallimento.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

rigetta il ricorso per revocazione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1. quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.