CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2019, n. 24530
Tributi – Controllo automatizzato dichiarazione ex art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973 – Cartella di pagamento – Definizione agevolata liti fiscali pendenti – Art. 16, Legge n. 289 del 2002 e art. 39, D.L. n. 98 del 2011 – Applicabilità – Diniego – Illegittimità – Effetti – Sospensione del processo – Omissione – Nullità della pronuncia
Fatti di causa
1. L.C. ha proposto ricorso per cassazione contro l’Agenzia delle Entrate e contro l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Milano avverso:
a) la sentenza del 4 luglio 2012 con cui la Commissione Tributaria Regionale di Milano, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha riformato la sentenza resa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano il 4 giugno 2010, la quale aveva accolto il ricorso del C. avverso la cartella esattoriale n. 06820080327215935 contenente iscrizione a ruolo a seguito di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e\o art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972 a titolo di IVA per il periodo di imposta 2005, in relazione al mancato riconoscimento della compensazione tra debiti di imposta relativi all’anno 2005 e crediti risultanti nel periodo di imposta 2004, motivato dal fatto che il C. non aveva presentato la dichiarazione modello unico 2005 per l’anno 2004;
b) il provvedimento di diniego di definizione della lite pendente di cui al n. protocollo 200333/2012 notificatogli in data 25 settembre 2012 quanto alla relativa domanda di definizione presentata in data 22 marzo 2012, cioè nella pendenza dell’appello (proposto il 14 settembre 2011), ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011.
2. Al ricorso per cassazione, che propone otto motivi, i primi tre rivolti contro il provvedimento di diniego di definizione della lite pendente, gli altri contro la sentenza, ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare si deve rilevare l’ammissibilità del ricorso quanto all’impugnazione del diniego di definizione della lite pendente.
Questa Sezione, con l’ordinanza n. 31049 del 2018, resa all’esito di adunanza camerale del 25 ottobre 2018, ha statuito che <<In tema di definizione agevolata delle liti fiscali pendenti, è ammesso ricorso immediato per cassazione contro il provvedimento di diniego della relativa domanda ove riferita a controversie pendenti in fase di legittimità, atteso che l’art. 16 della l. n. 289 del 2002 e l’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011, conv. nella l. n. 111 del 2011, attribuiscono la relativa competenza, con pienezza di sindacato, all’organo giurisdizionale dinanzi al quale pende la lite>>.
In quel caso il ricorso contro il provvedimento di diniego di definizione era stato proposto contro un diniego pronunciato nella pendenza del giudizio di cassazione avverso la sentenza di appello.
Nel caso in questione il provvedimento di diniego è stato pronunciato in data 6 settembre 2012 su una domanda che, come emerge dallo stesso provvedimento (che il ricorrente ha depositato assumendolo notificato il 25 settembre successivo), il contribuente aveva depositato in data 22 marzo 2012 – e, quindi, nel rispetto del termine indicato dall’art. 39, comma 12, lett. c) del d.l. n. 98 del 2011 – con il n. T9B001266/2012.
La domanda era stata, dunque, depositata nella pendenza del giudizio di appello. Il provvedimento di diniego di ammissione alla definizione risulta adottato, invece, da parte dell’Ufficio, successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata e quindi anche successivamente alla data in cui l’appello è stato discusso: la discussione è, infatti, avvenuta il 22 giugno 2012.
Nella descritta situazione, risultando da quanto rileva la resistente nel controricorso, che il contribuente ebbe a depositare l’istanza di definizione dinanzi alla CTR, quest’ultima, si badi anche a prescindere da tale deposito, avrebbe dovuto attendere, ai sensi della lettera d) del citato comma 12 almeno la data del 15 luglio 2012, per verificare se effettivamente, come prevedeva la norma, l’Ufficio nell’elenco delle liti pendenti per cui risultava presentata domanda di definizione, avrebbe indicato la lite di cui trattasi. All’esito di una positiva verifica in tal senso, il giudizio restava sospeso ex lege fino al 30 settembre 2012 ai sensi del secondo inciso della stessa lettera.
Non avendo la CTR rispettato detto modus procedendi ed essendo intervenuto il diniego della ammissione alla definizione successivamente alla sua pronuncia, è palese che la sua impugnazione non poteva che investire questa Corte, in quanto è rimasta preclusa la possibilità che altrimenti vi sarebbe stata di un controllo di legittimità da parte della CTR.
2. Il primo motivo contesta la legittimità della motivazione con cui l’Agenzia delle Entrate ha negato la possibilità di definizione della lite, assumendo che essa sarebbe stata esclusa dall’ambito di applicazione della norma dell’art. 39, comma 12, già citata perché esso non comprenderebbe il caso in cui, con la liquidazione della dichiarazione ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 si proceda al recupero di un credito proveniente dal precedente periodo di imposta per cui la dichiarazione risulti omessa e ciò in quanto in tal caso verrebbe esercitata una potestà riconducibile alla mera liquidazione delle imposte.
2.1. Il motivo è fondato.
Questa Sezione ha già affermato che <<in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011, le controversie relative a cartella esattoriale emessa ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (non preceduta da avviso di accertamento e costituente, quindi, il primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente) con le quali si denuncino non già – o non solo – vizi propri della cartella, ma motivi attinenti alla legittimità della pretesa tributaria, facendo eventualmente valere il diritto alla emendabilità della dichiarazione>> (Cass. n. 23269 del 2018; n. 32132 del 2018; n. 31049 del 2018, in motivazione; n. 3759 del 2019).
Il Collegio intende dare continuità a tale orientamento e, pertanto, in accoglimento del primo motivo deve dichiararsi illegittimo e caducarsi il diniego di definizione ai sensi del citato art. 39.
Va rilevato che la difesa erariale non ha allegato né nel controricorso né con memoria né in udienza se il ricorrente, una volta presentata la domanda di definizione, avesse eseguito le attività di cui all’art. 16 della l. n. 289 del 2002 e imposte dallo stesso art. 39, comma 12, d.l. n. 98 del 2011, oppure non l’avesse eseguita.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo e del terzo.
2.2. Nella descritta situazione in cui non consta che il ricorrente non avesse eseguito l’attività diretta alla definizione, poiché, se la CTR avesse ottemperato alla norma dell’art. 39, comma 12, lett. d), essa stessa, restando il processo sospeso sino al 30 settembre 2012, avrebbe dovuto e potuto sindacare il diniego di ammissione alla definizione, desumendo dal sindacato gli effetti sulla lite, risulta palese che l’illegittimità del diniego qui dichiarata travolge necessariamente la sentenza impugnata, che deve essere cassata con rinvio alla CTR, la quale, nel presupposto che parte ricorrente avesse titolo per essere ammesso alla definizione, dovrà verificare se il medesimo ricorrente avesse compiuto oppure no le attività rivolte al pagamento delle somme determinate ai sensi dell’art. 16 della l. n. 289 del 2002 nei termini indicati dal comma 12 dell’art. 39 più volte citato.
In questa sede, d’altro canto, non è stato dedotto né dal ricorrente – che non ha depositato memoria e non ha partecipato all’udienza – né dalla difesa erariale che l’eventuale attività di definizione ai sensi del comma 12 dell’art. 39 si fosse o non si fosse verificata.
Sicché si impone per tale ragione la necessità del rinvio.
Viceversa, se fosse stata fatta constare l’attività di definizione, si sarebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere in forza di essa, mentre se al contrario fosse stata fatta constare la non esecuzione da parte del ricorrente dell’attività di definizione, ciò sarebbe rifluito sulla stessa possibilità di dichiarare illegittimo il diniego di definizione.
La caducazione della sentenza impugnata rende assorbiti i motivi dedotti contro di essa.
P.Q.M.
Dichiara l’illegittimità del diniego di ammissione del ricorrente alla definizione ai sensi del comma 12 dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011. Cassa, in conseguenza, la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Milano, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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