CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 24969 depositata il 2 settembre 2020
Reati tributari – Emissione fatture per operazioni inesistenti – Confisca per equivalente del valore del profitto – Estinzione di reato per prescrizione – Rideterminazione del valore di confisca – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 30 aprile 2019, la Corte di Appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Mantova dichiarando non doversi procedere nei confronti di T.A. in ordine al reato di cui al capo b) del procedimento avente numero 7878/14 RGNR, limitatamente alle fatture emesse sino al 30.11.2011, perché estinto per intervenuta prescrizione, così rideterminando la pena finale.
Avverso la pronuncia della predetta Corte di appello propone ricorso T.A., mediante il proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione.
2. Ha dedotto, con il primo motivo, i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., rilevando come la confisca sia stata confermata, senza motivazione, in relazione ai reati ex artt. 4 e 5 del Dlgs. 74/2000, sulla base dell’ammontare delle fatture emesse per operazioni inesistenti nel periodo di riferimento, con violazione di legge atteso che il profitto è rinvenibile solo in capo a chi utilizzi le false fatture, con esclusione quindi dell’emittente che non acquisisce vantaggio fiscale dalla emissione di fatture false. La confisca avrebbe potuto esser disposta, al più, per il prezzo della condotta delittuosa dell’emittente.
3. Con il secondo motivo ha prospettato il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per l’omessa rideterminazione della somma confiscata alla luce della intervenuta dichiarazione di non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo b) del procedimento avente numero 7878/14 RGNR, limitatamente alle fatture emesse sino al 30.11.2011, atteso il carattere sanzionatorio della confisca.
4. Con il terzo motivo, ha prospettato i vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in quanto la confisca per equivalente eccederebbe il valore del prezzo o profitto attribuibile all’imputata, ritenuta responsabile in concorso con altro soggetto, e tuttavia destinataria della confisca per l’intero prezzo o profitto conseguente ai reati, in violazione del principio della personalità della responsabilità penale e di eguaglianza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Dal non contestato riepilogo dei motivi e richieste conclusive d’appello, riportato nella sentenza impugnata, emerge che la ricorrente in sede di gravame non sollevò alcuna questione in ordine alla confisca applicata nei suoi confronti. Posto che la ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame – come anche, stante la medesima ratio, delle conclusioni – operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr. in tal senso con riguardo ai motivi di gravame sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Rv. 270627 – 01 Ciccarelli; Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, rv n. 259066), atteso che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità questioni non dedotte in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex multis, Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018 (dep. 18/01/2019) Rv. 274346 – 01 Di Fenza). Va aggiunto, concordemente con quanto rilevato dal sostituto Procuratore Generale, che in relazione al primo motivo proposto è utile evidenziare, per completezza, che ai sensi dell’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti l’imposta è dovuta per l’intero ammontare in esse indicato, con la conseguenza che l’omesso pagamento dell’Iva dovuta per l’emissione delle predette fatture rileva ai fini della configurabilità dei reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 74/2000 ed il relativo profitto è costituito dal risparmio economico dell’imposta (Sez. IlI, n. 25061/2019); quanto al terzo motivo proposto, emerge anche la relativa genericità in ordine al riferimento alla eccedenza della quota di profitto o prezzo ritenuta attribuibile all’imputata e comunque rileva anche il principio della improponibilità in sede di legittimità di questioni nuove. Invero in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello -, trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado, con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame, (cfr. Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012 (dep. 07/03/2013) Rv. 256631 – 01 Bonaffini). Del resto costituisce principio acclarato quello per cui in tema di confisca per equivalente deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato (cfr. Sez. 6, n. 26621 del 10/04/2018 Rv. 273256 – 01 Ahmed). Consegue l’inammissibilità del primo e terzo motivo dedotto.
2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. La sentenza di non doversi procedere nei confronti di T.A. è intervenuta in ordine al reato ex art. 8 del Dlgs. 74/2000 di cui al capo b) del procedimento avente numero 7878/14 RGNR, limitatamente alle fatture emesse sino al 30.11.2011, e si è espressamente escluso che il profitto su cui è stato commisurato l’ammontare di quanto confiscato sia stato calcolato anche con riguardo ai reati di cui all’art. 8 del Dlgs. 74/2000. Dunque, l’intervenuta estinzione per prescrizione in rapporto a fatture di cui al reato suddetto, non assumendo alcun rilievo nel senso predetto, non implica alcuna rideterminazione dell’ammontare di quanto confiscato. Cosicché corretta è sul punto la decisione impugnata.
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.