Svolgimento del processo
l. La Guardia di Finanza della Calabria contestava alla (X) s.r.l. operazioni imponibili assoggettate ad IVA nell’anno 1999 per £.333.333.333 in relazione ad consulenza relativa a studi di fattibilità, ricerche di mercato resa dalla Società (Y) s.a. con sede in Lugano. Secondo i verbalizzanti la società contribuente aveva omesso di emettere l’autofattura ancorché la consulenza resa dalla società estera fosse in effetti soggetta ad IVA, considerandosi emessa nel territorio dello Stato in quanto rientrante fra le prestazioni di servizi da annotare nel registro IVA di acquisti e vendite.
2. La CTP di ……. accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla contribuente, ritenendo dovute le sanzioni applicate ed invece annullando la pretesa principale.
3. Con sentenza pubblicata il 18 febbraio 2008 la Commissione tributaria regionale della Calabria accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di primo grado.
3.1 Riteneva il giudice di appello che era pacifica la mancata autofatturazione delle prestazioni relative a studi di fattibilità ricevute dalla società estera (Y) S.a. con sede in Lugano, come anche il mancato versamento dell’imposta IVA da parte della contribuente.
Aggiungeva che inforza del combinato disposto degli artt. 7 e 21 del d.lgs.n.633/1972 la (X) era tenuta ad assolvere l’obbligo di autofatturazione con annotazione nei registri di acquisto e vendite in relazione alla prestazione erogata da soggetto passivo d’imposta non residente in Italia che non aveva nominato un rappresentante fiscale, per cui la prestazione doveva considerarsi come effettuata in Italia.
3.3. Specificava che, ad onta di quanto ritenuto dalla contribuente, la prestazione resa dalla (Y) s.a. era da considerare imponibile ai fini IVA, aggiungendo che il ricorso all’accertamento previsto dall’art.54 dPR n.633/1972 era pienamente legittimo in ragione dell’omessa annotazione delle operazioni, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che, nel caso concreto, non aveva dimostrato l’illegittimità dell’accertamento, a ciò non valendo la produzione del piano di fattibilità relativo alla richiesta di provvidenze ex legge n.488/1992, inidoneo a costituire il diritto all’esenzione del costo ai fini IVA.
3.4. Rilevava, ancora, che nemmeno rilevante era la circostanza che la fattura fosse stata emessa ai fini delle imposte dirette, rientrando comunque le prestazioni di consulenza, non assimilabili alla perizia, fra quelle disciplinate dall’art.7 comma 4 lett.d) del dPR n.633/1972, a cui tenore le stesse si considerano svolte nel Paese del committente del servizio, se soggetto passivo.
3.5 Specificava che la mancata autofatturazione con annotazione nei registri di acquisto e vendite concretizzava la violazione posta a base dell’accertamento, aggiungendo che il danno subito dall’erario era evidente, fondandosi il regime dell’IVA sui meccanismi della fatturazione, rivalsa, deduzione e versamento. Ragion per cui l’assenza di tali operazioni formali rendeva evidente la violazione della norma, costituendo poi il mancato rispetto dell’autofatturazione violazione rilevante, dovendosi tenere conto del fatto che “l’imposta è dovuta”.
3.6 D’altra parte, la questione sollevata dalla contribuente in ordine alla neutralizzazione dell’IVA per effetto della trascrizione dell’autofattura nei registri di acquisti e vendita per la sua neutralizzazione poteva valere “solo se è assolto l’obbligo d’imposta”. Doveva così escludersi che la mancata osservanza dell’obbligo di autofatturare non costituiva danno per l’erario, in quanto la mancata autofatturazione dimostrava che “esiste il danno per il mancato assolvimento dell’obbligo imposto dalla legge”.
4. Ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, la società contribuente, la quale ha pure depositato memoria. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente ha dedotto violazione degli artt.7 comma 4 lett.d), 17 comma 3, 23 comma 1 e 25 comma 1 del d.PR n.633/1972, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c, deducendo che fermo l’obbligo di autofatturazione fissato dalle disposizioni appena evocate, non poteva ritenersi che l’omissione dell’auto fatturazione fosse idonea a generare un obbligo d’imposta, escluso dal principio di neutralità fiscale e dal meccanismo che imponeva l’inserimento della fattura nel registro degli acquisti dal quale derivava la compensazione tra obbligo fiscale e diritto di detrazione, con la contestuale eliminazione dell’uno e dell’altro. Formulava, quindi, il seguente quesito di diritto: Dica l’On.le Corte Suprema se- in riferimento alle norme indicate nella rubrica di questo motivo – la mancata emissione della fattura, nell’ipotesi prevista dall’art. 17, terzo comma(nella versione vigente nel 1999) del d.PR n.633/1972, dia luogo, oltre ali ‘irrogazione delle sanzioni, anche ali ‘obbligo di pagare l’imposta che, secondo il sistema normativo desumibile dalle stesse norme rubricate, non deve essere corrisposta”.
6. Con il secondo motivo la società contribuente ha dedotto insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c, non avendo il giudice di appello reso in modo sufficientemente palese la ragione per la quale aveva ritenuto che la violazione degli adempimenti documentali fosse idonea a provocare un debito fiscale.
7. Con il terzo motivo la società contribuente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt.17, 18 n. l lett. d), 21 n. l, 22 nn.2 , 4, 7 e 8 della direttiva CEE 77/388/CEE come modificata dalla dir.2000/17/CE come interpretati dalla sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio 2008, causa C-95/07 e C-96/07, non avendo il giudice di appello considerato che i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia testé indicata escludevano che dalla mera inosservanza di un obbligo formale potesse derivare la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA.
8. L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, ha sostenuto l’infondatezza delle censure ex adverso proposte, evidenziando che il principio della neutralizzazione dell’IVA richiedeva, per potere operare, il rispetto dell’obbligo di autofatturazione e la dichiarazione delle operazioni imponibili, per cui solo dall’ottemperanza a tali formalità poteva scaturire l’obbligo d’imposta.
9. Occorre procedere all’esame congiunto delle censure, le quali pongono sostanzialmente in discussione l’operato dell’amministrazione finanziaria che ha richiesto il pagamento dell’IVA per omessa autofatturazione da parte della società contribuente in relazione a prestazione ricevuta da soggetto extracomunitario soggetta ad IVA e, conseguentemente la decisione della CTR che ha ritenuto la legittimità della pretesa fiscale.
9.1 Orbene, per una più chiara comprensione della questione all’esame della Corte occorre precisare il quadro normativo di riferimento.
9.2. Va anzitutto ricordato che l’art.7 comma 4 lett.d) del dPR n.633/1972, nella versione ratione temporis vigente, dispone, per quel che qui importa, che “… le prestazioni…di consulenza e assistenza tecnica o legale, comprese quelle di formazione e di addestramento del personale …si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica europea.
Inoltre, l’art. 17 commi 2,3 e 4 del d.p.r.n.633/1972, nella versione ratione temporis vigente, dispone che “.. .l’imposta e’ dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo”, aggiungendo poi che “… In mancanza di un rappresentante nominato ai sensi del comma precedente, gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti residenti all’estero, nonché gli obblighi relativi alle prestazioni di servizi di cui al n. 2) dell’art. 3, rese da soggetti residenti all’estero a soggetti residenti nello Stato, devono essere adempiuti dai cessionari o committenti che acquistino i beni o utilizzino i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni.”
9.3 Occorre poi rammentare che l’art. 21 del dPR 633/1972 (rubricato “Fatturazione delle operazioni”) dispone, che “Per ciascuna operazione imponibile il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili, o, ferma la sua responsabilità, assicura che la stessa sia emessa dal cessionario o dal committente, ovvero, per suo conto, da un terzo”.
9.4. L’art.21 dPR ult. cit. aggiunge, ancora, che “…Il contribuente deve annotare entro quindici giorni le fatture emesse, nell’ordine della loro numerazione e con riferimento alla data della loro emissione, in apposito registro. Le fatture di cui al quarto comma, seconda parte, dell’art. 21, devono essere registrate entro il termine di emissione e con riferimento al mese di consegna o spedizione dei beni. Per ciascuna fattura devono essere indicati il numero progressivo e la data di emissione di essa, l’ammontare imponibile dell’operazione o delle operazioni e l’ammontare dell’imposta, distinti secondo l’aliquota applicata, e la ditta, denominazione o ragione sociale del cessionario del bene o del committente del servizio, ovvero, nelle ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 17, del cedente o del prestatore.
9.5. L’art.25 del d.p.r.n.633/1972, infine, precisa ancora che “…Il contribuente deve numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del terzo comma dell’articolo 17 e deve annotarle in apposito registro anteriormente alla liquidazione periodica, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale e’ esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta.
9.6. Orbene, il composito quadro normativo rende più che evidente che in caso di prestazioni di servizi rese da soggetto non residente in territorio UE non dotato di un rappresentante residente in uno Stato membro né ivi dotato di stabile organizzazione gli obblighi ai fini IVA previsti dal comma 1 dell’art. 17 ricadono sul soggetto cessionario che assume la veste di soggetto passivo obbligato al pagamento dell’imposta indiretta secondo il meccanismo della ed. inversione contabile. Ed è il caso di rammentare che tale formula descrive un peculiare sistema di riscossione dell’imposta sul valore aggiunto che opera in deroga al meccanismo ordinario di detrazione nel quale, com’è noto, al versamento dell’IVA da parte del cedente corrisponde il diritto (di credito) alla deduzione del tributo versato dal cessionario in funzione della salvaguardia della neutralità dell’imposta fra gli stessi soggetti economici, andando invece ad incidere di fatto sul consumatore finale.
Detto meccanismo, infatti, realizza uno snellimento del processo di riscossione dell’imposta, individuando un unico soggetto- cessionario o committente- cui imporre gli obblighi di dichiarazione e versamento del tributo. Ciò consente al cessionario di far valere immediatamente il proprio diritto di credito attraverso la compensazione fra il debito IVA maturato ed il credito di deduzione sorto, esonerando in tal modo il soggetto passivo dalla materiale anticipazione monetaria. In tal modo, il cessionario o committente non è tenuto a versare l’IVA al cedente, ma è invece chiamato ad effettuare una doppia iscrizione contabile, compensando l’IVA dovuta con il diritto di credito maturato. Sicché, negli acquisti regolati dall’art. 17 commi 2,3 e 4 dPR cit., si realizza una semplice manifestazione economica, senza versamento diretto al venditore-prestatore, con immediata compensazione del tributo dovuto con il credito derivante dal rispettivo diritto di detrazione maturato. Il cuore del meccanismo anzidetto, che è andato perseguendo varie finalità -alleggerimento degli obblighi finanziari di taluni operatori economici, strumento di assolvimento dell’IVA nelle operazioni intracomunitarie mediante emersione dei c.d. missing trader e di contrasto al fenomeno delle frodi – è dunque rappresentato dal fatto che il committente deve emettere apposita auto fattura, con indicazione dell’IVA, da registrare contestualmente sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti.
Detto meccanismo di addebito al cessionario e di contestuale maturazione del diritto di deduzione rende pertanto evidente che durante gli scambi intermedi del ciclo produttivo non si realizza un’effettiva riscossione del tributo, che invece viene traslato fino al momento della cessione al consumatore finale.
9.9. E’ dunque evidente che gli oneri correlati all’applicazione del sistema del ed. reverse charge ricadono sul committente.
9.10 In questa direzione, del resto, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.l2/E del 12 marzo 2010, ha chiarito che “.. .Nel caso in cui un ‘operazione rilevante ai fini IVA in Italia sia effettuata da un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato nei confronti di un soggetto passivo ivi stabilito, tutti gli adempimenti relativi ali ‘applicazione dell’imposta gravano sul cessionario, il quale dovrà procedere all’assolvimento dell’IVA secondo il meccanismo del ed. reverse charge.”
9.11 Orbene, sul sistema dell’inversione contabile come sopra sinteticamente descritto e sulle conseguenze della mancata autofatturazione è intervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza resa nel caso Ecotrade, evocato dalla società contribuente.
9.12 Ed invero, tale pronunzia, nel chiarire che gli artt. 18, n. 1, lett. d), e 22 della sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva CE 2000/17, ostano ad una prassi di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto la quale sanzioni un’inosservanza, , per un verso, degli obblighi derivanti dalle formalità introdotte dalla normativa nazionale in applicazione di tale art. 18, n. 1, lett. d), e, per altro verso, degli obblighi contabili nonché di dichiarazione risultanti, rispettivamente, dal detto art. 22, nn. 2 e 4, con un diniego del diritto a detrazione in caso d’applicazione del regime dell’inversione contabile, pure precisando, nella parte motiva, che tali principi potevano applicarsi al solo caso dell’erronea annotazione delle operazioni controverse nel solo registro degli acquisti in esenzione IVA, distinguendosi tale fattispecie “…chiaramente dall’ipotesi in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale.”
9.13 II senso della pronunzia appena ricordata, del resto, è stato ulteriormente precisato da Corte Giust. 21 ottobre 2010, causa C-385/09.
9.14 In tale occasione il giudice di Lussemburgo ha ribadito che nel contesto del regime dell’inversione contabile, il principio fondamentale di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi, espressamente richiamando il caso Ecotrade, nonché Corte Giust. 30 settembre 2010, causa C-392/09, Uszodaépitó, punto 39, nel quale era in discussione il diritto a detrazione della parte contribuente che aveva tuttavia, a monte, assolto l’obbligo di versamento del tributo, disattendendo solo taluni obblighi di carattere formale.
9.15 Nella stessa direzione ed ancor più recentemente, Corte Giust. 12 luglio 2012, causa C-284/2011, ha ritenuto -p.62- “…che il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione a monte di quest’ultima sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi. Una volta che l’amministrazione fiscale dispone delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi, è debitore dell’IVA, essa non può imporre, riguardo al diritto di quest’ultimo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possono avere l’effetto di vanificare l’esercizio dello stesso.”
9.16 In definitiva, la Corte CE, premesso che quello alla detrazione è un diritto comunitariamente riconosciuto, sembra volere affermare che, fuori dai casi di frode, il fisco non può precludere l’esercizio del diritto di detrazione in tutti i casi di emersione di operazione, la cui corretta contabilizzazione non darebbe mai vita ad alcun debito d’imposta, poiché l’accertamento fiscale in materia di Iva ha quale obiettivo principale riattivare il corretto meccanismo impositivo ristabilendone la neutralità.
9.17 Sul crinale di tale impianto argomentativo Cass. 10819/10 ha quindi ritenuto che “…Nel caso di reverse charge, l’inosservanza da parte del contribuente delle formalità prescritte dalla normativa nazionale, ossia dell’obbligo di emettere autofattura, non può privarlo del suo diritto alla detrazione. Il principio di neutralità fiscale, infatti, esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano omessi dai soggetti passivi”.
9.18 Nella direzione ora tracciata si è posta, in modo univoco, anche la Risoluzione del 06/03/2009 n. 56 dell’Agenzia delle Entrate, alla cui stregua “…Nel caso in cui venga accertata una violazione degli obblighi imposti dal regime del reverse-charge deve essere riconosciuto, contestualmente, il diritto alla detrazione. Conseguentemente, se l’IVA e’ interamente detraibile, il contribuente non e’ tenuto al materiale versamento dell’imposta.”
9.19 Ed è la stessa Risoluzione a chiarire testualmente che “laddove sia constatata una violazione del regime dell’inversione contabile che comporti, in quella sede, l’assolvimento del tributo da parte dei contribuenti, contestualmente all’accertamento del debito, deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione della medesima imposta; pertanto, ferma restando l’applicazione della sanzione amministrativa (nella specie, quella tra il 100 e il 200 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro) di cui all’art. 6, comma 9 bis, primo periodo del D.lgs n. 471 del 1997, per inosservanza degli obblighi previsti dalla disciplina IVA, il contribuente non sarà tenuto a versare alcun ammontare a titolo di imposta all’Erario, qualora sia riconosciuta la spettanza integrale della detrazione.”
9.20 II sistema come sopra descritto, d’altra parte, sembra trovare un suo equilibrio – con riferimento alla vicenda qui esaminata, in cui è passata in giudicato la statuizione del giudice di primo grado che ha confermato la legittimità delle sanzioni applicate alla società contribuente-attraverso il meccanismo delle sanzioni di cui all’art.6,comma 8 D.Lgs. n.471/97, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 1 del d.lgs. 5 giugno 1998, n. 203, a cui tenore “Chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il cento e il duecento per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta.;”
9.21 Tale disposizione, modificata ma non quanto all’importo della sanzione prevista per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 244/2007 mediante l’introduzione del comma 9-bis dell’art.6 d.lgs.n.471/1997, realizza un giusto contemperamento fra gli interessi finanziari dello Stato e quelli del contribuente inadempiente agli obblighi di fatturazione, non perpetuando alcuna lesione di principi comunitari di proporzionalità ed adeguatezza, come peraltro ancora di recente ribadito dalla Direzione Generale fiscalità e Unione Doganale presso la Commissione europea nella nota del 5 novembre 2011 indirizzata all’Associazione italiana dottori commercialisti, la quale aveva sollecitato l’apertura di un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia proprio ipotizzando l’Illegittimità comunitaria delle sanzioni dovute in caso di omessa autofatturazione di operazioni imponibili” e sostenendo, in particolare, che la sanzione per omesso reverse charge ai fini Iva sarebbe stata contraria ai principi comunitari di proporzionalità, equivalenza ed effettività.
9.22 Resta solo da dire che quanto fin qui detto non elide, ovviamente, l’obbligo di fatturazione dell’IVA -e di versamento con le usuali forme- in capo al committente in caso di sua eventuale futura cessione della medesima prestazione.
9.23 In definitiva, conformandosi questa Corte all’indirizzo della Corte di Giustizia- i cui dieta devono ritenersi operanti anche rispetto alla vicenda in cui era coinvolto un prestatore non comunitario, risultando la disciplina interma di riferimento armonizzata dall’Unione europea- non resta che riconoscere l’errore nel quale è incorso il giudice di appello, il quale ha ritenuto la fondatezza della pretesa fiscale azionata nei confronti della società sul presupposto che la stessa non potesse avere diritto alla detrazione del corrispondente importo di IVA dovuto per le prestazioni eseguite dalla (Y) s.a. in ragione dell’omessa autofatturazione.
10. Sulla base di tali considerazioni ed in accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza deve essere cassata.
11. Non ricorrendo ulteriori accertamenti in punto di fatto il procedimento può essere deciso nel merito alla stregua dell’art.384 c.p.c, con l’accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente.
12. Ricorrono giusti motivi, in ragione del successivo consolidarsi della giurisprudenza comunitaria nel senso di cui in motivazione rispetto all’epoca della sentenza impugnata, per compensare le spese di tutti i gradi del giudizio
PQM
Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso della società contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.
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