CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 aprile 2019, n. 9224
Tributi – Accertamento – Istanza di rimborso – Redditi da partecipazione – Detrazioni sul reddito di impresa
Rilevato che
1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi contro la società (…) s.r.l. in liquidazione (di seguito G. N.) per la cassazione della sentenza n. 1324/2/2012 della Commissione Tributaria Centrale, sezione di Torino, emessa il 23/5/2012, depositata il 19/7/2012 e non notificata, che ha rigettato il ricorso dell’Ufficio in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del silenzio rifiuto dell’istanza di rimborso degli importi indebitamente versati a titolo di Irpeg ed Ilor per l’anno 1985;
2. la richiesta di rimborso, datata 23/10/1986, discendeva dal fatto che la società, nella determinazione degli interessi passivi indeducibili ai sensi del d.l. n. 791/84, aveva incluso nei propri redditi esenti anche i redditi di partecipazione in società di persone interamente derivanti da titoli esenti ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n. 601/73;
3. con il ricorso originario, quindi, la società chiedeva il riconoscimento dell’inesistenza del presupposto impositivo in base al quale aveva effettuato il calcolo del debito d’imposta, cioè la non computabilità tra i propri redditi esenti dei redditi da partecipazione costituiti dai redditi esenti propri della società di persone partecipata;
4. con la sentenza impugnata, la C.T.C. sezione di Torino (in seguito C.T.C.), confermando la decisione di secondo grado, che aveva riformato la sentenza di primo grado, ha affermato che alla fattispecie in esame fosse riferibile l’art.38 d.P.R. n. 602/73 (trattandosi di istanza di rimborso per la parziale inesistenza dell’obbligo di versamento), ritenendo che l’istanza di rimborso della contribuente fosse fondata, non potendosi considerare i redditi esenti ai sensi dell’art. 31 d.P.R. n.601/73 quali componenti positivi del conto economico della società istante, bensì della partecipata s.a.s. G.;
secondo la C.T.C. tale conclusione era avvalorata dall’art. 118 d.P.R. n. 917/86, a mente del quale la tassazione di gruppo di cui al precedente art. 117 comporta la determinazione di un reddito collettivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti;
5. l’Agenzia delle Entrate ricorre avverso tale decisione, denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d.l. n. 791/84 e 5 d.P.R. n. 597/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (primo motivo), nonché la violazione dell’art. 118 T.u.i.r. (secondo motivo);
6. a seguito del ricorso, la società resiste con controricorso;
7. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16 gennaio 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
8. il P.G. U.D.A. ha fatto pervenire conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con conseguente assorbimento del secondo;
9. la società controricorrente ha depositato memoria;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d.l. n. 791/84 e 5 d.P.R. n. 597/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 118 T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;
1.2. i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati;
1.3. invero, come è stato detto, “in tema di imposte dirette ed in materia di detrazioni sul reddito di impresa, l’art. 1 del D.L. 28 novembre 1984, n. 791, convertito con modificazioni nella legge 25 gennaio 1985, n. 6, ha disposto l’indeducibilità degli interessi passivi derivanti da debiti contratti per l’acquisto di obbligazioni pubbliche esenti da imposte, sino a concorrenza dei corrispondenti interessi attivi ed a prescindere dalla natura vincolata o libera della assunzione del debito produttivo degli interessi medesimi, per il solo fatto di aver acquisito (liberamente) il credito obbligazionario esente” (Sez. 5, Sentenza n. 18671 del 05/12/2003);
ne discende che, nel caso in cui l’imprenditore acquista obbligazioni esenti da imposta, potrà dedurre il relativo costo solo per la parte che eccede gli interessi attivi esenti da imposta ex art. 31 d.P.R. n. 601/73;
nella sentenza citata, questa Corte ha avuto modo di chiarire che se si tiene conto del Titolo del D.L. 28 novembre 1984, n. 791 e del suo Preambolo (i quali preannunciano l’adozione di norme che stabiliscono V “indeducibilità degli interessi passivi derivanti da debiti contratti per l’acquisto di obbligazioni pubbliche esenti da imposta da parte di persone giuridiche e di imprese”), assume rilievo la finalità della contrazione dei debiti, ai fini della loro deducibilità, dovendosi distinguere due specie “interessi passivi”: 1) gli interessi passivi derivanti da debiti contratti per l’acquisto di obbligazioni pubbliche esenti da imposta (indeducibili); 2) gli interessi passivi derivanti da debiti contratti per finalità diverse da quella dell’acquisto di obbligazioni pubbliche esenti da imposta (normalmente deducibili a determinate condizioni);
la diversa disciplina si spiega considerando che la disposizione normativa contenuta nell’art. 1 D.L. 28 novembre 1984, n. 791 si propone lo scopo di riconoscere i costi da interessi passivi, ma solo nei limiti in cui l’imprenditore usi la disponibilità di danaro, comunque acquisita, per non ottenere interessi attivi esenti da imposta;
secondo la prassi amministrativa, ampiamente richiamata dalle parti (Circolare n. 4 del 18 febbraio 1986), “la disposizione del primo comma dell’art. 1 d.l. n. 791/84, limitativa della deducibilità degli interessi passivi, spiega efficacia anche quando le imprese individuali e societarie conseguono interessi e proventi di titoli esenti per il tramite di società di persone di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 597/73”;
la Circolare citata precisa, inoltre, che il regime di cd. “trasparenza” comporta, non solo che l’esenzione si trasferisca ai soci, ma anche che “quando per una disposizione di legge al possesso dei redditi esenti sono collegate particolari conseguenze nella determinazione dell’imponibile, indirettamente limitative dell’esenzione, la disposizione deve necessariamente operare, coerentemente con le sue specifiche finalità e indipendentemente dalla distribuzione o meno, anche nella determinazione dell’imponibile delle imprese socie”;
deve, quindi privilegiarsi un’interpretazione delle norme in materia di determinazione della base imponibile che tenda a limitare i fenomeni di evasione ed elusione connessi ad operazioni di indebitamento e ad investimenti in obbligazioni pubbliche esenti, poste in essere da soggetti che esercitano attività di impresa;
in tal senso, il reddito imputato per trasparenza alle imprese socie conserva le proprie caratteristiche, sia per quanto riguarda il riconoscimento del regime di esenzione, sia per le limitazioni al suddetto regime;
risulta, quindi, infondata la tesi della società contribuente, secondo cui il reddito di partecipazione avrebbe natura diversa rispetto ai singoli elementi che lo compongono e non comporterebbe la necessità di computare i redditi esenti acquisiti dalla società partecipata tra quelli rilevanti al fine di determinare gli interessi passivi indeducibili ;
nel caso di specie, la società G. N. s.r.l., a cui erano stati imputati per trasparenza redditi esenti dalla società partecipata G. di G.V. e C. s.a.s., in sede di dichiarazione dei redditi per l’anno 1985, aveva, dunque, correttamente portato in riduzione degli interessi passivi deducibili quelli derivanti da obbligazioni esenti conseguiti dalla società partecipata;
con il ricorso e le successive memorie, la società ricorrente sostiene che tali interessi e proventi sarebbero già stati portati in riduzione degli interessi deducibili in sede di determinazione dell’imponibile della società partecipata;
secondo la ricorrente, tale possibilità sarebbe ammessa dalla stessa Circolare Ministeriale già citata, la quale precisa che le imprese individuali e le società “devono portare, in riduzione degli interessi passivi deducibili, gli interessi e proventi da obbligazioni esenti conseguiti dalle società di persone di cui sono soci (beninteso, stante il divieto di doppia imposizione, se e nella misura in cui tali interessi e proventi non siano già stati portati a riduzione degli interessi deducibili in sede di determinazione dell’imponibile di quest’ultima)”;
ritiene il Collegio che la doglianza della società contribuente risulti inammissibile sotto un duplice profilo, sia perché tardivamente introdotta per la prima volta con il controricorso in cassazione, sia perché il suo esame richiederebbe l’accertamento di elementi di fatto precluso in sede di legittimità;
inoltre, sebbene in linea di principio l’imputazione per trasparenza dei redditi della società partecipata non esclude (anzi di norma presuppone) che nella determinazione del reddito di quest’ultima si sia tenuto conto delle deduzioni e delle detrazioni di legge, nel caso di specie la circostanza (pacifica tra le parti e riportata nella sentenza impugnata) dell’imputazione alla partecipante esclusivamente di redditi esenti, che per definizione non sono soggetti ad imposta e non hanno concorso alla determinazione del reddito imponibile della partecipata, non consente di ritenere, come sostenuto dalla ricorrente, che alla loro quantificazione abbia necessariamente concorso la riduzione degli interessi passivi deducibili da parte della società partecipata;
deve, quindi, ribadirsi che, stante il principio di imputazione per trasparenza ai soci del reddito della società di persone, la G. N. s.r.l. ha correttamente imputato a redditi esenti quelli provenienti dalla società partecipata e derivanti esclusivamente da titoli esenti, portando in riduzione degli interessi passivi deducibili gli interessi e proventi da obbligazioni esenti;
infine, risulta erroneo e non pertinente il riferimento della C.T.C. alla norma di cui all’art. 118 T.u.i.r., poiché detta norma si riferisce alla tassazione di gruppo di cui all’art. 117; essa, essendo entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 1988, non è applicabile retroattivamente (vedi sul punto Sez. 5, Sentenza n. 2830 del 07/02/2008, in cui la Corte ha confermato la sentenza impugnata, la quale, in riferimento ad un accertamento ILOR relativo all’anno 1987, aveva ritenuto che dal calcolo della base imponibile dovessero essere esclusi gli interessi passivi relativi a redditi esenti ai sensi dell’art. 21 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601);
la sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della società contribuente;
sussistono giusti motivi, in relazione alla natura della controversia, per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio di merito, mentre la società contribuente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della società contribuente; compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna la società contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
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