CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2018, n. 31157
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Necessità di terziarizzazione del reparto – Onere datoriale di repechage – Sussistenza di un effettivo stato di crisi aziendale
Fatti di causa
Con sentenza in data 13 maggio 2016, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello proposto da G.Z. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua impugnazione di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per necessità di terziarizzazione del reparto di smerigliatura, cui egli era addetto con qualifica di operaio di 2° livello, essendo divenuta la sua prestazione eccedentaria rispetto alle esigenze lavorative) intimatogli da D.C. s.p.a. il 27 maggio 2010 e delle conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria.
Preliminarmente ritenuta irrilevante la questione relativa al supposto licenziamento orale in quanto seguito in ogni caso il giorno successivo da quello scritto impugnato, la Corte territoriale riteneva, come già il Tribunale, provata l’effettiva adibizione del lavoratore al reparto di smerigliatura poi soppresso per terziarizzazione dell’attività, realmente avvenuta, negando la strumentalità del suo spostamento ivi.
Essa ravvisava quindi la corretta assoluzione dell’onere datoriale di repechage, nella sussistenza di un effettivo stato di crisi aziendale.
Avverso tale sentenza il lavoratore, con atto notificato il 25 luglio 2016, ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resisteva la società datrice con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 I. 604/1966, 2103 c.c., 12 disp. att. c.c., per mancato accertamento del nesso di causalità tra le ragioni del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la stabile assegnazione al posto di lavoro soppresso, cui il lavoratore era stato addetto (tenuto conto della precedente assegnazione all’assemblaggio e all’imballaggio e dei periodi di collocazione in CIGO) per meno di tre mesi, termine in ogni caso inferiore a quello di sei mesi stabilito dall’art. 2103 c.c., nel testo applicabile ratione temporis, come norma di riferimento in via analogica.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 5 d.l.cps 689/1947, 1 I. 164/1975, in riferimento al collocamento del lavoratore, all’epoca del licenziamento (27 maggio 2010) in CIGO a zero ore (fino al 2 luglio 2010), incompatibile con il rappresentato stato di crisi aziendale, alla base del licenziamento intimato, per la concessione dell’istituto a fronte di situazioni temporanee di difficoltà, sul presupposto della ripresa dell’attività produttiva al suo termine.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 I. 604/1966, 229 c.p.c., 2735, 2730, 2733, 2732, 2722, 2729 c.c., per erronea esclusione della natura di confessione spontaneamente resa in giudizio dalla società datrice (attraverso la produzione dei relativi prospetti paga in allegato alla memoria difensiva ai sensi dell’art. 416 c.p.c.), o in subordine stragiudiziale, dell’adibizione al reparto smerigliatura (pertanto non soppresso), in epoca successiva al licenziamento impugnato, del dipendente C.I., da essi risultante, senza neppure ammissione della prova orale dedotta, per utilizzazione di ragionamento probatorio in via presuntiva sulla circostanza.
4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 6 I. 604/1966, per la sola giustificazione del licenziamento intimato a seguito dell’avvenuta terziarizzazione del reparto smerigliatura, senza indicazione di altri motivi, in particolare di uno stato di crisi, dal quale invece la sentenza impugnata traeva argomenti a fondamento della legittimità del recesso datoriale.
5. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 l. 604/1966, 2103 c.c. 12 disp. att. c.c. per mancato accertamento del nesso di causalità tra le ragioni del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la stabile assegnazione al posto di lavoro soppresso, è inammissibile.
5.1. Indipendentemente dall’inconferenza del richiamo all’art. 2103 c.c., norma relativa alla coerenza di inquadramento rispetto alle mansioni effettivamente svolte (profilo estraneo alla controversia) e dall’accertamento in fatto della Corte territoriale dell’effettività di assegnazione del lavoratore al reparto di smerigliatura “almeno dall’estate 2009” (primo capoverso di pg. 17 della sentenza), la questione dedotta è nuova, come giustamente rilevato (a pg. 5 del controricorso) dalla società datrice, essendo stata dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
6. Il secondo motivo, relativo ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 5 d.l. cps 689/1947, 1 I. 164/1975, in riferimento al collocamento del lavoratore, all’epoca del licenziamento in CIGO a zero ore, incompatibile con il rappresentato stato di crisi aziendale alla base del licenziamento intimato, è infondato.
6.1. In via di premessa, occorre rilevare l’inammissibilità del vizio motivo, ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter, quinto comma c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, secondo comma d.l. 83/2012 conv. con modif. dalla I. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), in difetto di indicazione da parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).
6.2. Ma la questione posta è inconferente, per l’irrilevanza dello stato di crisi (neppure indicato nella lettera di licenziamento, come ad altro proposito lamentato dallo stesso ricorrente e incidentalmente accertato anche dalla Corte territoriale, all’ultimo capoverso di pg. 18 della sentenza: ” … a parte il rilievo circa la natura del licenziamento non facendo espresso riferimento la relativa comunicazione allo stato di crisi, ma solo alla soppressione del posto” ), in quanto elemento estraneo alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto. E’ noto infatti come, secondo il più recente e condivisibile insegnamento di questa Corte, ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisca un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare: essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa; non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699).
7. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 3 I. 604/1966, 229 c.p.c., 2735, 2730, 2733, 2732, 2722, 2729 c.c. per erronea esclusione della natura di confessione spontaneamente resa in giudizio dalla società datrice, o in subordine stragiudiziale, dell’adibizione al reparto smerigliatura del dipendente C.I. in epoca successiva al licenziamento impugnato, è inammissibile.
7.1. Ecco consiste in una confutazione della valutazione probatoria argomentatamente svolta dalla Corte territoriale (ai primi due capoversi di pg. 19 della sentenza, anche in riferimento, sotto lo specifico profilo della risultanza da prospetti paga del dipendente C.I., alla motivazione del Tribunale: trascritta ai primi due capoversi di pg. 7 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto meno nella più circoscritta possibilità di devoluzione prevista dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). Peraltro, anche la qualificazione di una dichiarazione alla stregua di confessione integra un apprezzamento in fatto, incensurabile in sede di legittimità, ove fondato su motivazione immune da vizi logici (Cass. 27 settembre 2000, n. 12803; Cass. 18 maggio 2005, n. 10385; Cass. 21 aprile 2011, n. 9185).
8. Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 6 I. 604/1966, per la sola giustificazione del licenziamento intimato a seguito dell’avvenuta terziarizzazione del reparto smerigliatura, senza indicazione di altri motivi invece considerati dalla sentenza impugnata, è pure inammissibile.
8.1. La parte della sentenza censurata è priva di natura decisoria, avendo piuttosto funzione di mero completamento motivo in risposta alle argomentazioni del lavoratore (punto D delle doglianze dell’appellante: come chiarito dalla Corte territoriale all’ultimo capoverso di pg. 18 della sentenza), svolta ad abundantiam e quindi non costituente ratio decidendi, con la conseguente carenza di interesse del ricorrente (Cass. 22 novembre 2010, n. 23635; Cass. 10 aprile 2018, n. 8755).
9. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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