CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2019, n. 36
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Operazioni soggettivamente inesistenti
Fatti di causa
1. Con l’impugnata sentenza la CTR, respinto l’appello dell’ufficio, confermava la decisione della CTP che, per quanto ancora rimasto d’interesse, annullava due avvisi di accertamento IVA Sanzioni 2002/2003 emessi nei confronti della Società contribuente, con i quali l’amministrazione aveva disconosciuto la detrazione d’imposta perché, oltre a ritenere non provata la perdita su credito relativa ad una nota di variazione che non conteneva l’indicazione dell’operazione dalla quale originava, riteneva indebitamente detratta l’IVA relativa a talune operazioni soggettivamente inesistenti <<poste in essere>> con altra Società, operazioni per le quali il legale rappresentante della contribuente era stato anche penalmente condannato.
2. La Regionale spiegava la decisione accertando, con riguardo al primo recupero IVA, che l’originaria operazione riguardava <<contratti di fornitura di servizi>>, in relazione ai quali <<si era manifestata una carenza dei servizi forniti dalla contribuente>>, con la conseguente necessita della <<emissione della nota di credito>; poi, con riferimento al secondo recupero IVA, quello concernente l’indebita detrazione IVA relativa alle operazioni soggettivamente inesistenti, la CTR accertava che per l’emissione delle fatture si era fatto rinvio <<all’esercizio successivo;»>, con un totale <<versamento compensativo>>; infine, dalla infondatezza dei recuperi IVA ut supra, la CTR faceva discendere l’integrale annullamento delle <<relative sanzioni>>.
3. L’ufficio ricorreva per tre motivi, mentre la contribuente resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., lamentando la violazione dell’art. 26, comma 1 e 2, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, l’ufficio deduceva che la nota di variazione non conteneva l’indicazione dell’operazione alla quale si riferiva, mancando pertanto la prova delle condizioni alle quali la legge subordinava il riconoscimento delle perdite su crediti, prova che spettava al contribuente dare.
1.1. Il motivo deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile; questo, non solo per difetto di autosufficienza, atteso che manca la trascrizione della nota di variazione, di cui nemmeno viene indicato il luogo di deposito processuale, impedendo così alla Corte la verifica del contenuto del richiamato documento (Cass. sez. III n. 8569 del 2013); ma anche perché, con il motivo all’esame, si viene in realtà a mettere in discussione l’accertamento <<in fatto>> compiuto dalla Regionale che, come si è avuto cura di evidenziare in narrativa del presente, è stato nel senso di ritenere dimostrati sia il contratto di fornitura di servizi, sia l’inadempimento che aveva reso necessaria l’emissione della nota di variazione, critica <<in fatto>> che pertanto poteva esclusivamente essere svolta con l’appropriato mezzo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. applicabile ratione temporis (Cass. sez. I n. 24155 del 2017); infine, perlomeno in un passaggio dell’illustrazione del motivo, l’ufficio mostra di voler far dipendere la censura di violazione di legge da un indispensabile preventivo accertamento <<in fatto>>, quest’ultimo costituito dalla dimostrazione della condizione prevista dall’art. 26, comma 3, d.p.r. n. 633 cit. per cui la nota di variazione non può più essere emessa <<dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile>>; circostanza, quest’ultima, che non è stata tuttavia oggetto di indagine da parte della CTR, un’indagine che in questa sede di legittimità non è pertanto possibile chiedere alla Corte (Cass. sez. Ili n. 15196 del 2018).
2. Con il secondo motivo, ancora formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dopo aver lamentato la violazione degli artt. 19, comma 1 e 21, comma 7 d.p.r. n. 633 cit., dopo aver ricordato che il legale rappresentante della Società contribuente era stato condannato dal tribunale penale, dopo aver dato conto di talune massime in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’ufficio sosteneva che la CTR era <<incorsa in un grossolano errore>>, avendo riconosciuto <<il diritto alla detrazione IVA a seguito di operazioni inesistente >.
2.1. Il motivo è fondato, sul presupposto <<in fatto>> della soggettiva inesistenza delle operazioni, circostanza che non appare inter partes controversa, di cui in effetti dà senza contestazioni espressamente atto anche la CTR; cosicché, a riguardo, non resta che rammentare, secondo la disciplina d’ordinario ricavabile dall’art. 21, comma 7, d.p.r. n. 633 cit. – disposizione appunto violata dalla Regionale che in contrasto con la stessa ha ritenuto che l’IVA relativa a operazioni soggettivamente inesistenti potesse in ogni caso essere detratta – che la fattispecie delle operazioni soggettivamente inesistenti si traduce in una interposizione fittizia, che null’altro è che una particolare forma di simulazione relativa, per cui I’IVA pagata all’interposta, fittizia cedente, normalmente una <<cartiera>>, non essendo stata pagata al vero cedente, non può essere detratta (Cass. sez. trib. n. 5719 del 2007); salva, comunque, l’inconsapevolezza del contribuente, che abbia però utilizzato la diligenza richiesta dalla professione (tematica ampia, nonché complessa; per una recente sistematica, v. Cass. sez. trib. n. 9851 del 2018; tematica, almeno davanti alla Corte, non oggetto di discussione).
3. Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., l’ufficio denunciava la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver la CTR pronunciato sull’errore commesso dalla Provinciale, che, sempre in thesi dell’ufficio, non avrebbe considerato <<divisibili>> le sanzioni IVA, rispetto alle altre sanzioni comminate con riferimento a ulteriori recuperi di diverse imposte, quest’ultime poi oggetto di definizione mediante conciliazione giudiziale.
3.1. Il motivo è infondato, avendo la CTR, con l’annullamento delle sanzioni IVA, implicitamente stabilito che le sanzioni IVA erano da considerarsi autonome, rispetto alle altre ricomprese nella separata conciliazione (Cass. sez. lav. n. 17580 del 2014).
4. L’impugnata sentenza deve essere pertanto – e per quanto di ragione – cassata e rinviata alla Regionale per gli eventuali ulteriori accertamenti.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta gli altri; cassa l’impugnata sentenza, rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, in altra composizione, dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi, nonché regolare le spese di ogni fase e grado.
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