CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2020, n. 34
Responsabilità solidale dell’impresa committente – Pagamento del TFR al lavoratore dipendente della impresa appaltatrice – Restituzione a carico del Fondo di garanzia ex art. 2 della L. n. 297/1982 – Posizione giuridica soggettiva della impresa committente non riconducibile a quella dell’avente diritto che beneficia della garanzia del Fondo – Azione di regresso ex art. 1299 c.c., nei confronti dell’appaltatore, obbligato principale
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Torino, in accoglimento dell’appello principale svolto dall’INPS ed in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande proposte da T. s.p.a, dirette ad ottenere il pagamento in restituzione, a carico del Fondo di garanzia, di quanto pagato a titolo di TFR, quale committente obbligato con vincolo di solidarietà, al lavoratore dipendente della società appaltatrice P.M.A. s.p.a., F.D..
2. Di tale sentenza T. s.p.a. chiede la cassazione, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’INPS che ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, resistito da T., con controricorso. F.D. è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale, T. s.p.a. denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3, in relazione alla L. n. 297 del 1982, artt. 1 e 2, di attuazione della Direttiva Cee 80/1982 successivamente codificata con direttiva CE n. 94/2008, e censura la ritenuta esclusione del suo diritto alla surrogazione nei diritti dei lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, sul rilievo che l’adempimento di un obbligo ex lege da parte del committente, coobbligato solidale, non può escludere il diritto di quest’ultimo a rivalersi sul Fondo di Garanzia per effetto di surroga rispetto alla posizione del lavoratore, in applicazione dell’art. 1203 c.c.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e o falsa applicazione degli artt. 112, 329 e 346 c.p.c., nonché degli artt. 324 c.p.c.e 2909 c.c. in relazione all’art. 1676 c.c., dell’art. 1676 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c. ed agli artt. 116 c.p.c. e 24 Cost., nonché all’art. 116 c.p.c.ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione agli artt. 1676 c.c. e 116 c.p.c.. Le censure, in sintesi, poggiano sulla considerazione che la sentenza avrebbe violato sia la legge sostanziale che quella processuale laddove ha ritenuto la responsabilità solidale di T. anche in forza dell’art. 1676 c.c. pur in assenza di domanda e di gravame in tal senso da parte del lavoratore ed a fronte della pronuncia di primo grado che aveva ritenuto l’obbligazione di T. esclusivamente fondata sull’art. 29, secondo comma, d.lgs. n. 276 del 2003, senza che tale capo della decisione fosse stato impugnato dal lavoratore. Risulterebbe così violata la regola della corrispondenza tra tantum devolutum quantum appellatum ed attribuita la responsabilità ex art. 1676 c.c. in assenza di accertamento dell’esistenza di una situazione debitoria tra T. e la società P.M.A., nonostante tale circostanza fosse stata dedotta in giudizio e provata con estratto conto (allegato in copia al ricorso).
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, anche in relazione alle disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici) artt. 5 e 118 e Allegato VI, nonché d.p.r. n. 207 del 2010, artt. 4, 5 e 6. Il motivo si riferisce alla pretesa inapplicabilità della disciplina della responsabilità solidale di cui all’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003 a T. s.p.a. in ragione della sua affermata natura pubblicistica.
4. Il primo motivo è infondato in ragione dei principi affermati da questa Corte in numerosi arresti (v. da ultimo Cass. n. 9752 del 2019 e i precedenti ivi richiamati), che hanno evidenziato come la posizione giuridica soggettiva della società committente non sia riconducibile a quella dell’avente diritto che beneficia della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2.
E’ stato in proposito rilevato che il committente, solidalmente responsabile con il proprio appaltatore, ai sensi del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non trae la propria posizione in via derivata da un dante causa (nel caso di specie: il lavoratore) come invece il cessionario del suo credito, ma presta una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del lavoratore, adempiendo alla quale assolve ad un’obbligazione propria, istituita ex lege, che lo legittima, come nei rapporti tra condebitori solidali, ad un’azione di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c., nei confronti dell’appaltatore, obbligato principale; che, pertanto, nei suoi confronti, quando si renda inadempiente, il medesimo committente può agire anche in surrogazione dei diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3, in base al diverso titolo del rapporto di appalto assistito dal particolare obbligo di garanzia legale, posto che: “Ai fini dell’operatività della surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, non è necessario né che il surrogante sia tenuto al pagamento del debito in base allo stesso titolo del debitore surrogato, né che egli sia direttamente obbligato nei confronti dell’accipiens, richiedendo la norma soltanto che il surrogante abbia un interesse giuridicamente qualificato alla estinzione dell’obbligazione” (cfr. Cass. n. 28061 del 2013).
5. Per tale ragione, è stato escluso che T. s.p.a. possa essere qualificata ad alcun titolo avente diritto del lavoratore, il quale riceve la propria garanzia attraverso il meccanismo predisposto dalla speciale normativa in materia di appalto, così essendo soddisfatto del proprio credito, ed è stato chiarito che, per effetto di ciò, vengono meno, per la parte così soddisfatta, i presupposti di applicabilità della garanzia del Fondo di Garanzia gestito dall’Inps, avendo l’adempimento del committente, obbligato solidale dell’appaltatore datore di lavoro, rimediato alla sua insolvenza, in virtù della garanzia istituita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, a carico del committente, sicché quest’ultimo non può sicuramente accedere, sulla base di un titolo autonomo, per la ragione detta, e pertanto non di derivazione diretta da quello del lavoratore (quale appunto suo avente diritto), a detto Fondo (cfr., nei termini richiamati, Cass. nn. 10543 e 10544 del 2016 cit.).
6. Il secondo motivo è inammissibile. Invero, la sentenza impugnata risulta motivata, quanto al merito della questione, sostanzialmente attraverso il rinvio alle motivazioni della sentenza della stessa Corte d’appello n. 203 del 2014; tali motivazioni sono sviluppate intorno alla infondatezza giuridica della tesi, sostenuta da T., circa l’effetto di sostituzione della stessa al lavoratore (quale avente causa dello stesso) per effetto del pagamento del t.f.r. in ragione della solidarietà fissata dall’art. 29 d.lgs. n. 275 del 2003.
7. L’unico accenno all’art. 1676 c.c. è contenuto alla pagina 15 della sentenza, ove la Corte territoriale, in conclusione del percorso argomentativo di cui si è detto, nega il diritto di T. a richiedere al Fondo di garanzia presso l’INPS il pagamento cui è tenuta ai sensi dell’art. 29 d.lgs. n. 276 e dell’art. 1676 c.c., ma è, all’evidenza, un richiamo fine a se stesso che non rappresenta una effettiva ratio decidendi. Pertanto, il motivo è inammissibile in quanto generico e non coerente con contenuti della sentenza impugnata (art. 366 c.p.c.).
8. Il terzo motivo è infondato. Questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che la questione della compatibilità tra le due normative di disciplina della materia dell’occupazione e del mercato del lavoro e, quindi, della tutela delle condizioni dei lavoratori (D.Lgs. n. 276 del 2003) e dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006) e dei relativi regimi di responsabilità è già stata risolta da questa Corte con affermazione del principio, al quale va data ulteriore continuità in questa sede, secondo cui:
“(…) la responsabilità solidale prevista dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, esclusa per le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, è, invece, applicabile ai soggetti privati (nella specie T. s.p.a., società partecipata pubblica), assoggettati, quali “enti aggiudicatori” al codice dei contratti pubblici” (cfr. Cass. n. 10731 del 2016; Cass., sez. IV, nn. 6448 e 10777 del 2017).
La sentenza impugnata ha, dunque, correttamente deciso la questione di diritto ed è, pertanto, immune dalle sollevate censure.
9. Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato dell’INPS, fondato sull’assunto della improponibilità della domanda nei confronti di esso istituto per difetto di domanda amministrativa e della carenza di interesse ad agire da parte di T. s.p.a.
10. Le spese del giudizio di legittimità vanno regolate in ragione del principio della soccombenza, come da dispositivo. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti di F.D. che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del quindici per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
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