CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 gennaio 2022, n. 2
Reati tributari – IVA – Evasione – Utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 27 novembre 2020, la Corte di appello di Firenze ha completamente riformato la precedente decisione con la quale, in data 9 settembre 2019, il Tribunale di Firenze aveva assolto Z.R. e F.M., imputati in ordine al reato di cui all’art. 2, comma 1, del dlgs n. 74 del 2000, per avere, in concorso fra loro, il primo nella qualità di legale rappresentante della E. Srl ed il secondo quale gerente dei rapporti di quella con la K.M. Srl, utilizzato, al fine di evadere le imposte, n. 15 fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti dalla K.M., per un importo, riferito all’anno di imposta 2010, pari ad euro 897.533,20, evadendo l’imposta sul valore aggiunto per un importo pari ad euro 179.506,64.
Infatti, mentre il Tribunale – ritenuta la inconsapevolezza dei due predetti imputati del fatto che la K.M. fosse una società cartiera e che, pertanto, le operazioni da essa compiute fossero solamente delle operazioni fittizie – ha assolto i due predetti sotto il profilo della carenza dell’elemento soggettivo del reato loro contestato, la Corte di appello, adita dal locale Procuratore della Repubblica con ricorso principale e dai due imputati con ricorso incidentale (con il quale era stata richiesta la loro assoluzione per insussistenza del fatto) ha, invece, ritenuto che, non potendo essere sfuggito ai due predetti, che la K.M. era solamente una società cartiera, gli stessi dovevano essere ritenuti responsabili del reato loro ascritto, sebbene la fittizietà delle operazioni potesse ritenersi solo soggettiva e non anche oggettiva, e pertanto i medesimi dovevano essere condannati alla pena di giustizia.
Avverso la predetta sentenza hanno interposto distinti ricorsi per cassazione i due imputati.
Z.R. ha affidato la sua impugnazione a 6 motivi di ricorso.
Il primo di questi ha ad oggetto la violazione di legge per non essere state rinnovate in sede di giudizio di gravame, introdotto ad istanza del Pm, le prove dichiarative svolte nel corso del giudizio di primo grado e per non essere state queste neppure richieste dal Pm in sede di impugnazione; il ricorrente, ripercorsa la giurisprudenza di questa Corte ed esaminato il contenuto dell’art. 603, comma 3-bis, e dell’art. 581, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., ha rilevato che nel caso in esame sarebbero presenti ambedue i vizi denunziati.
Esplicitando sotto il profilo della omessa motivazione la seconda delle due doglianze dianzi indicate, ha rilevato che, in base al tenore dei motivi di impugnazione lamentati dal ricorrente Pm, questi avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità, richiedere la rinnovazione del dibattimento.
Analogo è, in sostanza, il contenuto dell’ulteriore profilo del primo motivo di impugnazione, sviluppato, però, questa volta, dal punto di vista della Corte di appello che, per riformare la sentenza assolutoria del giudice di primo grado, avrebbe dovuto provvedere al riesame dei testi che erano stati sentiti in primo grado, conclusosi con l’assoluzione degli imputati, e le cui dichiarazioni sono state invece rivisitate in sede di gravame in senso accusatorio.
Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato il fatto che la motivazione della sentenza della Corte di Firenze non abbia le caratteristiche tipiche della motivazione rafforzata; in altre parole con essa ci si è limitati ad affermare una determinata tesi, senza procedere anche alla confutazione argomentata della tesi espressa, in senso assolutorio, dal giudice di primo grado; in particolare, ha rilevato il ricorrente, non sono state prese in adeguata considerazione le circostanze segnalate nella sentenza di primo grado come dimostrative della mancanza dell’elemento soggettivo in capo agli imputati, cioè, in altre parole, la consapevolezza da parte di costoro del fatto che le operazioni commerciali apparentemente compiute dalla K.M. erano, in realtà, realizzate da altra impresa.
Con il quarto motivo la ricorrente difesa si è doluta della mancata valutazione degli elementi di giudizio sottoposti alla Corte di Firenze del ricorrente con il suo appello incidentale, del cui contenuto la stessa Corte ha dimostrato di non avere tenuto conto.
Con il quinto motivo di impugnazione lo Z. ha lamentato il fatto che, solo implicitamente rigettata la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, la Corte non abbia fornito le ragioni di tale sua decisione.
Infine, con il sesto motivo di impugnazione la difesa del ricorrente ha rilevato che nella determinazione della pena i giudici del gravame hanno tenuto conto del fatto che il prevenuto avrebbe perpetuato la sua condotta anche con riferimento all’anno di imposta successivo a quello ora in contestazione; tale rilievo è stato ritenuto illegittimo dal ricorrente sia perché ancora non accertato definitivamente, sia perché superato dal dato positivo – non valutato dalla Corte di Firenze, la quale avrebbe, invece, anche dovuto considerare le condotte dell’imputato successiva al fatto – che la E. ha rateizzato il debito di imposta, provvedendo successivamente al suo azzeramento.
Il ricorrente F. ha, a sua volta, affidato il proprio ricorso a 5 motivi di impugnazione.
Il primo motivo concerne la inammissibilità del ricorso in appello del Pm per non avere questi indicato né l’autorità che ha emesso la sentenza impugnata né per avere indicato i punti della sentenza gravati da impugnazione e le prove delle quali si deduce la erronea valutazione, per come la legge processuale avrebbe, invece, imposto.
Come secondo motivo anche il F. lamenta la mancata rinnovazione istruttoria delle prove testimoniali espletate in primo grado, il cui contenuto è stato ribaltato in appello.
Anche il terzo motivo dell’attuale ricorrente è comune alla impugnazione precedentemente esaminata, attenendo alla mancanza del carattere rafforzato che caratterizza la sentenza ora in scrutinio.
Il quarto motivo è, invece, proprio del F., riguardando il travisamento del contenuto delle spontanee dichiarazioni da questo rese nella sua memoria del 15 marzo 2019, acquisite agli atti il 15 aprile successivo; sostiene, infatti, il ricorrente, oltre a confutare l’attribuzione della responsabilità allo stesso sulla base del riconoscimento al medesimo della vaga qualifica di preposto (il cui significato non è precisato nella sentenza impugnata), che nella citata memoria egli non riferisce di essersi recato presso la K.M. dopo il marzo del 2011, epoca in cui questa aveva cessato di operare, sicché la inferenza della Corte di merito, secondo la quale, avendo operato il F. con una società non più operativa, egli si era certamente reso conto che non era questa la fornitrice delle merci alla E., risulta priva di giustificazione, posto che sino al marzo 2011, epoca anteriormente alla quale si riferiscono le dichiarazione del ricorrente, la K.M., almeno apparentemente, era operativa.
Infine, con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia priva di motivazione in ordine alle conclusioni rassegnate in sede di udienza di discussione dal suo difensore.
Con distinte memorie, rispettivamente del 15 ottobre 2021 e del 18 ottobre 2021, le difese dello Z. e del F., hanno formulato motivi aggiunti con i quali hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi da essi presentati.
Considerato in diritto
I ricorsi proposti sono fondati e, pertanto, !a sentenza impugnata deve essere annullata.
Osserva, infatti, il Collegio che è fondato, almeno in parte, già il primo motivo di impugnazione presentato dalla difesa dello Z. così come è fondato il secondo motivo di impugnazione formulato dalla difesa del F.
E’, tuttavia, opportuno verificare, data la sua potenziale idoneità ad evidenziare un motivo di nullità della sentenza impugnata la cui rilevanza sarebbe anteriore anche ai due motivi di cui già si è anticipata la fondatezza, la eventuale fondatezza del primo motivo di impugnazione contenuto nel ricorso proposto dalla difesa del F. e la fondatezza della argomentazione contenuta nel primo motivo presentato dallo Z. in ordine alla inammissibilità dell’appello presentato dal Pm.
Infatti, essendo esso attinente alla ammissibilità – che come detto con tale motivo di impugnazione è stata indubbiata dai ricorrenti – del gravame presentato dal Pm avverso la sentenza di primo grado (sentenza avente un contenuto ampiamente assolutorio della posizione dei due imputati) il suo eventuale accoglimento renderebbe definitiva la assoluzione riportata dagli odierni ricorrenti di fronte al Tribunale mediceo.
Lamentano i citati ricorrenti che, nell’impugnare la sentenza emessa nel primo grado di giudizio, il Pm, per quanto concerne il F., non solo non avrebbe indicato quale fosse l’autorità che aveva emesso la sentenza gravata, ma avrebbe anche omesso di precisare quali fossero i punti della decisione investiti dalla sua impugnazione né avrebbe enunziato specificamente le prove delle quali era stata dedotta la erronea valutazione, tale da condurre alla adozione, in ipotesi in maniera errata, della sentenza assolutoria, né, infine, per quanto concerne lo Z., avrebbe formulato qualsivoglia istanza istruttoria.
Si tratta di censure che non colgono nel segno.
Infatti, al di là della mancata indicazione di quale fosse l’autorità giudiziaria che aveva emesso la sentenza impugnata (omissione priva di rilevanza formale – posto che la indicazione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata non è fra quelle che l’art. 581 cod. proc. pen. segnala come necessarie a pena di inammissibilità dell’atto – oltre che di rilevanza sostanziale – non essendovi dubbi, non foss’altro in funzione del fatto che la impugnazione era stata presentata, come appunto prescritto dall’art. 582 cod. proc. pen., di fronte al Tribunale di Firenze, su quale fosse il giudice che aveva emesso il provvedimento impugnato – dovendo la impugnazione essere, appunto, presentata “nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento”), si osserva che la restante doglianza, avente ad oggetto la mancata espressa indicazione dei punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione presentata dall’appellante parte pubblica non ha fondamento posto che è lo stesso ricorrente che, enunciando specificamente la ragioni sulla base delle quali il Pm aveva impugnato la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale, evidenzia il fatto che il gravame del Pm era adeguatamente puntuale; quanto precede si rileva a prescindere dalla verifica della fondatezza del fatto – allegato dall’attuale ricorrente e che, nella presente sede non rileva essendo riservata al giudice del gravame la valutazione su tale circostanza – che il ricorso in questione avrebbe avuto ad oggetto punti della sentenza di primo grado che lo stesso Tribunale avrebbe ritenuto non fondamentali ai fini del decidere.
Ma, si rileva al riguardo, in tale caso potrebbe essere in discussione la fondatezza del gravame e non la sua inammissibilità.
Parimenti irrilevante è, ai fini della ammissibilità della impugnazione a suo tempo presentata dal Pm e, pertanto, della fondatezza del motivo di ricorso ora in esame, la circostanza, segnalata da entrambi i ricorrenti, che, nell’impugnare la sentenza emessa nel primo grado di giudizio il Pm non abbia formulato richieste probatorie finalizzate alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, sebbene egli avesse argomentato il suo gravame sulla base di una diversa valutazione delle prove dichiarative acquisite nel corso del dibattimento, posto che, come questa Corte ha affermato – con rilievi che ora sono pienamente condivisi – trovando la sua ragion d’essere la rinnovazione istruttoria in un caso quale è quello presente non nel fatto che di essa sia stata formulata richiesta da parte del soggetto impugnante ma in una assoluta esigenza probatoria, di cui è espressione la regola stabilita dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., l’appello del Pm, che pur non contenga la richiesta di rinnovazione dibattimentale, non è per tale solo fatto necessariamente inammissibile (Corte di cassazione, Sezione V penale, 22 marzo 2019, n. 12811).
Fondato è, viceversa, il motivo di impugnazione, autonomamente sviluppato da ambedue i ricorrenti, sia pure con argomenti sostanzialmente convergenti, avente ad oggetto il vizio della sentenza impugnata per non essere stata congruamente rinnovata in grado di appello la istruttoria dibattimentale, pur a fronte di una sentenza di primo grado con la quale era stata affermata la irrilevanza penale delle condotte da costoro poste in essere, stante la carenza del necessario elemento soggettivo in capo ai due prevenuti ed appellata dal Pm proprio in relazione alla valutazione degli elementi dichiarativi acquisiti nel corso del giudizio svoltosi di fronte al Tribunale.
Deve, infatti, preliminarmente rilevarsi che di fronte alla Corte gigliata non è stata svolta alcuna attività istruttoria, sebbene, come è evidente dalla lettura della sentenza impugnata, questa sia pervenuta ad una decisione opposta rispetto a quella fatta propria dal Tribunale di Firenze sulla base di una diversa valutazione operata in merito alle dichiarazioni dibattimentali rese dai testi escussi nel corso del giudizio di primo grado.
Tale dato – la cui evidenza emerge con chiarezza dai numerosi passi della sentenza impugnata nei quali si contesta sia la fondatezza che la concludenza delle dichiarazioni rese in giudizio dagli stessi imputati, sia, soprattutto, la attendibilità della teste S. e del teste G. sia, infine, la puntualità, la presenza di riscontri e la rilevanza delle dichiarazioni rilasciate di altri testi – si parla nella sentenza impugnata, di due commercialisti – i quali avrebbero deposto in giudizio affermando la effettività dei rapporti commerciali intercorsi fra i due imputati ed altra impresa e, pertanto, la non fittizietà delle operazioni poste alla base delle fatture emesse verso la società amministrata da Z. e F., e sulla base dei quali il Tribunale aveva concluso nel senso della insussistenza del reato contestato – avrebbe necessariamente, visto il dettato dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., imposto la rinnovazione del dibattimento al fine di riascoltare i testi le cui dichiarazioni sono state diversamente valutate dalla Corte di appello rispetto alla valutazione che delle stesse era stata fatta dal Tribunale.
Come, infatti, ancora di recente questa Corte ha precisato, ai fini della rinnovazione dell’istruttoria in appello ex art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi non solo quelli concernenti l’attendibilità dei dichiaranti, ma, altresì, tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto – salvo non attenga ad un oggetto del tutto definito o ad un dato storico semplice e non opinabile – è frutto della percezione soggettiva del dichiarante, onde il giudice del merito è inevitabilmente chiamato a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” (Corte di cassazione, Sezione II penale, 17 maggio 2020, n. 13953).
Va, peraltro, aggiunto che a corroborare la tesi qui esposta milita anche la più recente giurisprudenza dei Tribunali internazionali; infatti, come ha, ora è poco, affermato la Corte EDU, viola l’art. 6, par. 1, della Convenzione EDU l’operato dell’organo giurisdizionale che, ribaltando la sentenza emessa dal giudice di grado inferiore, non provveda, onde pervenire all’overruling, alla preventiva citazione anche degli stessi imputati, oltre che degli altri testi valutati dal giudice di primo grado, ove questi abbiano affermato di non essere i responsabili dell’illecito loro ascritto (Corte EDU, sentenza Maestri ed altri contro Italia, 8 luglio 2021).
Poiché nel caso in esame, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, la decisione assunta dalla Corte di Firenze è sopraggiunta sulla base di un giudizio espresso esclusivamente sulla base dell’esame degli atti già compiuti, in assenza di qualsivoglia rinnovazione istruttoria – operazione alla quale, infatti, non si fa alcun cenno nella sentenza ora impugnata – la sentenza deve essere annullata, essendo stata la stessa emessa in violazione della puntuale disposizione dettata dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
L’annullamento, con il conseguente assorbimento degli altri motivi di impugnazione presentati dai due ricorrenti – essendo questi logicamente subordinati all’eventuale rigetto del motivo, invece, accolto – va pronunziato con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze che, emendato il vizio procedimentale, provvederà a nuovamente a valutare la posizione dei due imputati in relazione sia alla fondatezza dell’appello principale presentato dal Pm sia, in via logicamente subordinata, di quelli incidentali presentati dalle loro rispettive difese.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.
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