CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 giugno 2019, n. 15121
Omissione contributiva – Accertamento ispettivo – Sanzioni per evasione – Prova delle violazioni fornita dall’Inps
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di L’Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva rigettato la domanda proposta da G.D.R., titolare di una ditta individuale nel comparto edile, di accertamento negativo della pretesa azionata dall’Inps con il verbale ispettivo n. 509 del 8 febbraio 2008, che aveva addebitato l’importo di € 219.374,00 a titolo di contributi omessi e sanzioni per evasione.
2. La Corte d’appello condivideva la valutazione del giudice di primo grado, che aveva ritenuto che la prova delle violazioni fosse stata fornita dall’Inps con la documentazione allegata al verbale della Guardia di Finanza numero 571 del 2006, le cui risultanze non erano state contrastate da avverse deduzioni istruttorie. Riferiva quindi che l’addebito emergeva dal confronto fra i registri delle presenze mensili ufficiali (libro paga) e quelli dei due registri extracontabili rinvenuti nell’abitazione del titolare della ditta, coincidente con la sede dell’impresa, che indicavano per ciascun mese a partire dal giugno 2003 e fino all’agosto 2006 il nome dei lavoratori (indicati in maniera informale con il solo nome di battesimo), le presenze giornaliere, le retribuzioni corrisposte, il numero totale delle ore di lavoro prestato.
3. Per la cassazione della sentenza G.D.R. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui l’Inps ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
4. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il punto decisivo del giudizio, per avere ritenuto la Corte d’appello che l’Inps abbia fornito la prova mediante i dati extracontabili dei lavoratori impiegati dalla ditta appellante, delle giornate di lavoro e della paga.
5. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma primo del d.l. n. 338 del 1989, convertito con modificazioni nella I. 389 del 1989, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, per avere escluso la Corte d’appello la denunciata arbitrarietà del calcolo dell’addebito e quindi la necessità della consulenza contabile invocata dall’appellante. Sostiene che né la Guardia di Finanza né l’Inps erano riusciti, quale conseguenza della mancata compiuta individuazione dei lavoratori, ad attribuire agli stessi la mansione e qualifica professionale o comunque l’inquadramento indispensabile ad individuare il C.C.N.L. applicabile ai fini del calcolo della retribuzione imponibile. Lamenta altresì che il calcolo sia stato effettuato dall’Inps in maniera non trasparente, né comprensibile, riportando il solo importo finale dell’imponibile retributivo calcolato per ciascun anno di addebito in maniera cumulativa per tutti i lavoratori ritenuti impiegati, mentre l’accertamento avrebbe dovuto essere limitato ai pochissimi soggetti individuati con nome e cognome con riferimento ai quali, essendo i medesimi già assunti dalla ditta, sarebbe stato agevole il calcolo della base imponibile.
6. Il ricorso non è fondato.
In relazione al primo motivo, occorre ribadire che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre per dedurre in cassazione la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 13395 del 29/05/2018, Cass. n. 26769 del 23/10/2018).
7. Nel caso, il giudice di merito ha ritenuto che la prova del credito contributivo risultasse dall’esame dei prospetti extracontabili allegati al verbale della Guardia di Finanza e richiamati dall’Inps, rinvenuti nell’abitazione del D.R. ove era stabilita la sede legale dell’impresa, il cui contenuto che non era stato fatto oggetto di specifica contestazione.
8. La Corte si è attenuta quindi ai parametri di legge nel valutare le risultanze dell’accertamento, considerato che il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese, mentre la veridicità sostanziale delle dichiarazioni acquisite — e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi — può essere contestata con qualsiasi mezzo di prova (Cass. n. 24461 del 05/10/2018, Cass. n. 11751 del 24/06/2004).
9. Il motivo, pur rubricato come violazione di legge, è poi inammissibile ove si sostanzia nella critica alla ricostruzione operata dal giudice di merito delle risultanze fattuali , considerato che il vizio di cui all’ art. 360 n. 5 c.p.c. non è deducibile in questa sede, in cui la Corte d’appello ha fatto propria la valutazione dei fatti adottata dal Tribunale, in quanto opera il quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. (introdotto dall’art. 54 comma 1 lett. a) del D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif, nella L. n. 134 dello stesso anno), che prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma quarto – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 cod. proc. civ. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, secondo comma, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”, v. Cass. n. 23021 del 29/10/2014).
10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La qualificazione nell’ambito dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. non rispetta la distinzione chiarita dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale mentre il vizio di motivazione concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, la violazione di legge attiene all’interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche (Cass. Sez. U, n. 28054 del 25/11/2008, Sez. 1, n. 28663 del 27/12/2013).
Pur richiamando il vizio di violazione di legge, il motivo attiene infatti alla ricostruzione operata dalla Corte di merito del materiale probatorio, avendo il giudice di merito ritenuto che la documentazione extracontabile, nel raffronto con i libri paga della ditta, consentisse anche la ricostruzione dell’imponibile contributivo, potendo desumersi dalle pur sommarie indicazioni gli elementi identificativi dei lavoratori e gli ulteriori dati necessari.
11. La motivazione in proposito non è stata adeguatamente censurata, né avrebbe potuto esserlo per le ragioni sopra esposte.
12. Segue coerente il rigetto del ricorso.
13. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 13.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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