CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 luglio 2018, n. 17359
Previdenza – Ex dipendente dell’Enel – Trattamento pensionistico – Quantificazione – Modalità di calcolo
Fatti di causa
1. Con sentenza del 31.12.2012, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata – che aveva accolto la domanda di D.G.G., ex dipendente dell’Enel, accertando che il trattamento pensionistico andasse quantificato nella maggior misura prevista dall’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 562 del 1996, e condannato l’INPS a liquidare le differenze pensionistiche maturate sul maggior trattamento a lui spettante – rigettava la domanda dell’appellato.
2. Rilevava la Corte, richiamata la normativa applicabile nella specie, che l’importo del trattamento pensionistico era soggetto al tetto massimo di cui all’art. 3, comma 2, lett. a) e b) del citato decreto legislativo n. 562, sicché, una volta determinata la prestazione alla luce della normativa vigente presso il Fondo elettrici, doveva procedersi a determinare i due tetti cui confrontare l’importo della pensione che, se superiore agli stessi, doveva ridursi fino a farlo coincidere con il tetto di maggiore valore.
3. La domanda per come formulata, e cioè come pretesa a fruire della pensione interamente commisurata alla retribuzione imponibile determinata secondo le regole AGO nel limite dell’80 per cento, non poteva essere accolta, secondo la Corte romana, in quanto i valori di cui al d.lgs. n. 562 del 1996, art. 3, comma 2, costituivano altrettanti limiti finalizzati a perseguire, in esecuzione della Legge Delega n. 335 del 1995, la graduale armonizzazione dei trattamenti sostitutivi vigenti presso i Fondi speciali INPS con quello vigenti presso l’AGO.
4. Osservava che, nella fattispecie, il pensionato non aveva dedotto l’erroneità del calcolo effettuato dall’INPS e che piuttosto, il conteggio contenuto nel ricorso introduttivo dimostrava che la pensione era stata calcolata in modo corretto (con la sommatoria delle quote A, B, C, D) e che il pensionato chiedeva, invece, di ottenere la pensione calcolata in base al tetto massimo, criterio non applicabile per la quantificazione del trattamento pensionistico ma solo per stabilire il limite massimo liquidabile.
5. Avverso tale sentenza ricorre il D.G., affidando l’impugnazione a due motivi, ulteriormente illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, l’INPS.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia omessa motivazione in ordine all’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del ricorrente chiedendo che questa Corte di legittimità dia atto del pieno assolvimento dell’onere probatorio con il deposito di nota recante i conteggi analitici della somma da riliquidare in favore della parte, pur non avendo investito, con specifico motivo di gravame, la Corte di appello.
7. Il motivo è inammissibile perché non collocabile nel paradigma del nuovo testo dell’art. 360, secondo comma, n. 5, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» (sul quale v. Cass., Sez.U, 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose successive conformi).
8. Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., la parte ricorrente si duole che la Corte di merito abbia pronunciato extra petita addebitando al pensionato di non avere dimostrato, attraverso il conteggio, l’ammontare dell’importo spettantegli, ulteriormente incrementato per effetto della perequazione automatica per il periodo successivo non prescritto, rispetto all’importo determinato dall’INPS.
9. Anche il secondo motivo è inammissibile come emerge, del resto, dallo stesso tenore dell’illustrazione del gravame, svolto contestando l’infondatezza dell’addebito mosso, e così additando alla decisione un error in iudicando non un error in procedendo.
10.In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
11. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
12. La proposizione del ricorso in epoca anteriore al 30 gennaio 2013 esclude l’applicabilità del d.P.R. n. 115/2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228/2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
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