CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 luglio 2018, n. 17368
Omesso versamento dei contributi – Cartella esattoriale – Opposizione – Inammissibilità – Appellante assente all’udienza
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 3665 del 2012, ha dichiarato improcedibile il gravame proposto, nei riguardi dell’INPS, da A.R.S. avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione a cartella emessa per il pagamento di Euro 155.007,96 per contributi non versati.
2. La Corte ha motivato la decisione fondandola sul rilievo che l’appellante non aveva presenziato né alla prima udienza fissata per la discussione dell’appello, né alla successiva alla quale era rinviata la decisione sebbene le fosse stato ritualmente notificato sia il decreto di fissazione d’udienza ex art. 435 cod. proc. civ., che il provvedimento di rinvio disposto ai sensi dell’art. 348 cod. proc.civ.
3. Per la cassazione della sentenza, ricorre A.R.S. che articola due motivi, illustrati da memorie, depositate in vista dell’adunanza per la camera di consiglio dell’11 marzo 2015 convocata dinanzi alla Sesta Sezione Civile Lavoro, all’esito della quale è stato disposto il rinvio presso questa Sezione ordinaria, ed in vista della presente udienza.
4. L’Inps ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4) cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata in relazione all’errata applicazione dell’art. 348, secondo comma, cod. proc. civ. che, ad avviso della ricorrente avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello, nella fattispecie in concreto realizzatasi ove anche l’appellato risultava assente, ad ordinare la cancellazione della causa dal ruolo piuttosto che dichiarare l’improcedibilità dell’appello.
2. Il secondo motivo ha per oggetto, sostanzialmente la stessa doglianza relativa alla applicazione dell’art. 348, secondo comma, cod. proc. civ., considerato questa volta come violazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.
3. I due motivi, sostanzialmente coincidenti, vanno trattati congiuntamente e sono infondati. Come riferito dall’ordinanza di remissione alla Sezione ordinaria, i fatti si svolsero nel senso che fu fissata una prima udienza, il 30.4.2010, nel corso della quale nessuno comparve per cui, preso atto della mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza ex art. 435 cod. proc. civ., se ne dispose la comunicazione con rinvio al 17 febbraio 2012. Anche a quell’udienza, ritualmente comunicata e da valutarsi come rituale prima udienza di discussione, l’appellante non comparve; quindi, a norma dell’art. 348 cod. proc. civ. è stata fissata un’altra udienza per il 20.4.2012 della quale è stata data rituale comunicazione, in data 27.2.2012, al procuratore costituito nel domicilio eletto, udienza alla quale ancora una volta nessuno comparve. In quest’ultima udienza, non essendo comparso nessuno, la Corte d’appello di Roma ha emesso la sentenza impugnata affermando, al fine di giustificare l’omessa regolamentazione delle spese, che gli appellati non si erano costituiti in giudizio.
4. La ricorrente lamenta, in sostanza, che tale pronuncia contenga il riconoscimento della contumacia delle parti appellate, in modo da farne derivare la conseguenza che l’assenza anche delle parti appellate medesime all’udienza del 20 aprile 2012, avrebbe dovuto imporre la cancellazione della causa dal ruolo, in applicazione del rinvio che l’art. 359 cod. proc. civ. fa all’art. 181 cod. proc. civ. in relazione alla mancata comparizione delle parti costituite, ed impedire la pronuncia di improcedibilità.
7. Il ricorso non coglie che la sentenza impugnata non ha, neanche implicitamente, riconosciuto che gli appellati fossero contumaci perché ciò avrebbe presupposto la positiva verifica della rituale instaurazione del contraddittorio, essendosi limitata a dare atto che gli stessi appellati non risultavano costituiti; né la ricorrente afferma di aver notificato il ricorso in appello alle parti appellate e di averne dato prova nel corso del giudizio d’appello.
8. La prima verifica che il giudice deve porre in essere, infatti, è proprio quella della esistenza di una valida vocatio in ius, attraverso la prova della notifica dell’atto d’impugnazione; solo laddove tale verifica confermi la corretta instaurazione del contraddittorio sarà possibile fare applicazione delle regole che disciplinano le conseguenze derivanti dalla mancata comparizione delle parti ai sensi dell’art. 348 cod. proc. civ.
8.1. Invero, nel rito del lavoro, l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione d’udienza non sia avvenuta non essendo consentito – alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata (art. 11, comma 2, Cost.) – al giudice di assegnare ex art. 421 cod. proc.civ. all’appellante, previa fissazione di un’altra udienza di discussione, un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 cod. proc. Civ. (Cass., SS.UU., 30.7.2008, n. 20604; Cass. n. 8752 del 2010; Cass. n. 20613 del 2013).
8.2.Il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione nel 2008, cui va dato continuità, risulta ribadito anche di recente da Cass. n. 6159 del 2018, oltre che da Cass. n. 13162 del 2018, che ha ricordato come attraverso il rigoroso rispetto del principio in parola imposto all’appellante, si tuteli la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un confine temporale rigorosamente predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso (cosi, in termini, Cass. S.U. n. 5700 del 2014).
8.3. Corollario di tale consolidato principio non può che essere la regola secondo cui la disciplina contenuta nell’art. 348 cod. proc. civ., che presuppone la regolare vocatio in ius delle parti, non possa concretamente operare laddove il giudice debba pronunciare, d’ufficio, l’improcedibilità dell’appello non essendo tale improcedibilità disponibile dalle parti.
8.4. Dunque, nelle controversie soggette al rito del lavoro nel giudizio di appello, in caso di mancata comparizione di entrambe le parti all’udienza di discussione, mancando la dimostrazione, da fornirsi dall’appellante, che il ricorso in appello ed il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza sono stati notificati all’appellato, il giudice deve senz’altro dichiarare la improcedibilità dell’appello senza poter rinviare la causa ad altra udienza (in tal senso già Cass. n. 385 del 1988).
10. I motivi, peraltro, sarebbero comunque infondati, anche a voler ritenere effettivamente notificato – da parte dell’appellante – l’atto di appello alle controparti, dovendosi ricordare quanto questa Corte di cassazione ha già più volte affermato in ordine ai criteri di applicazione nel rito del lavoro dell’art. 348 cod. proc. civ. e che può ormai dirsi essere assurto al rango di “diritto vivente”. In particolare:
a) la disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile per il rito ordinario, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie assoggettate al rito del lavoro, non ostandovi la specialità di tale rito, ne’ i principi cui esso si ispira (vedi, da ultimo, da Cass. 9 marzo 2009. n. 5643);
b) da questo principio si è tratta la conclusione che occorre disporre la cancellazione della causa dal ruolo nell’ipotesi di mancata comparizione di entrambe le parti (ritualmente convocate) sia all’udienza di discussione sia alla successiva udienza di rinvio, nonché di dichiarare l’improcedibilità dell’impugnazione ove alla prima udienza sia presente solo l’appellato e anche all’udienza di rinvio l’appellante non sia presente;
c) a questo indirizzo, dal quale non vi è motivo di discostarsi, se ne è affiancato un altro secondo cui, come si desume anche dal testo dell’art. 348 cod. proc. civ., le cause di improcedibilità dell’appello si collegano sempre a comportamenti colpevoli dell’appellante, cioè a condotte a lui imputabili sotto il profilo dell’inerzia o dell’imprudenza, (vedi, per tutte. Cass. 25 luglio 2006, n. 16938 e nello stesso senso Cass. 19 luglio 2010. n. 16821), senza che assuma rilievo, di per sé il comportamento dell’appellato;
d) infatti, è l’appellante l’unico soggetto destinatario e fruitore delle disposizioni dettate dall’art. 348 cod. proc. civ., escludenti ogni decadenza a suo danno per l’ipotesi di mancata comparizione all’udienza di discussione, attraverso la facoltà di essere posto in condizione di comparire all’udienza successiva a quella disertata (Cass. 5 maggio 2001, n. 6326; Cass. 6 marzo 2007. n. 5125; Cass. 28 marzo 2007, n. 7586). Tali disposizioni, però, non attribuiscono all’appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, così adottando un comportamento che dà luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi del processo, in contrasto sia con la finalità di accelerazione dell’attività processuale ispiratrice della sostituzione dell’art. 348 medesimo operata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54 (Cass. 31 maggio 2005, n. 11594), sia con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.;
e) né va omesso di considerare che, viceversa, è pacifico che l’applicazione degli artt. 181 e 309 cod. proc. civ. e la conseguente emissione di un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo presuppongono la mancata comparizione di entrambe le parti sia alla prima udienza sia a quella successiva alla quale la causa sia stata rinviata, sul presupposto che tale comportamento costituisca una tipica manifestazione di disinteresse alla prosecuzione del processo (vedi, per tutte, Cass. 24 febbraio 1982, n. 1169 e Cass. 25 maggio 2005, n. 11014).
11. In sintesi, il ricorso va respinto e la ricorrente va condannata alle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo in considerazione della circostanza che l’Inps si è limitato a rilasciare procura.
12. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’intimato in Euro 1000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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