CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 luglio 2018, n. 17370
Licenziamento – Per giustificato motivo oggettivo – Impugnazione – Ragioni di riorganizzazione aziendale – Prova
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 901/2016 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale accoglimento del reclamo proposto ai sensi dell’art. 1 comma 58 legge n. 92/2012, ha condannato la N.F. srl a riassumere T.S., licenziato in data 1.9.2008 per giustificato motivo oggettivo, ovvero a risarcirgli il danno nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
2. I giudici di seconde cure hanno, in sintesi, rilevato che: 1) stante l’applicabilità dei termini previsti dall’art. 32 legge n. 183/2010, il ricorso giudiziario di impugnazione del licenziamento nel caso in esame doveva considerarsi tempestivo;
2) il solo decorso del tempo dal licenziamento all’impugnativa di esso con il ricorso giudiziario (quattro anni) non era di per sé un indice di una volontà abdicativa dell’impugnazione stessa; 3) non era risultata provata l’unicità di un’unica struttura organizzativa e produttiva tra la N.F. srl, la F. srl e la E. srl, dovendosi pertanto considerare datrice di lavoro del dipendente solo la prima società; 4) il licenziamento, sotto il profilo adottato (ragioni di riorganizzazione aziendale che prevedevano la soppressione del posto di lavoro in conseguenza della riscontrata contrazione alle vendite) non era stato dimostrato neanche in ordine alla impossibilità del cd. repechage; 5) in considerazione della natura dimensionale dell’unica datrice di lavoro, la sola tutela applicabile era quella obbligatoria.
3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione T.S. affidato a tre motivi.
4. La N.F. srl ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 2 e 4 epe, nonché la violazione dell’art. 2697 cc e degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 e n. 3 cpc, per avere la Corte di appello, senza alcuna motivazione e senza valutare le prove in atti, ritenuto insussistente l’unicità della struttura organizzativa tra le tre società, collegate tra loro nelle persone dei rispettivi soci ed amministratori, tutti appartenenti alla stessa famiglia e con partecipazioni sociali incrociate.
3. Con il secondo motivo, connesso al precedente, si censura l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 cpc, costituiti: a) dal collegamento personale e oggettivo, sotto l’aspetto della presenza dei contratti di locazione, tra le tre società; b) dall’attività che riguardava settori merceologici affini; c) dalle dichiarazioni di alcuni testi che riguardavano la partecipazione a riunioni dei dipendenti delle tre società; d) dal contributo lavorativo che lo S. dava anche alle spedizioni delle altre società; e) dalla circostanza secondo la quale magazzino e uffici insistevano in un unico stabile; f) dal fatto che i magazzinieri assunti da una società davano una mano anche nell’organizzazione di eventi da parte di altre società.
4. Con il terzo motivo si duole il ricorrente della violazione e falsa applicazione dell’art. 92 epe, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per essere state integralmente compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio nonostante il parziale accoglimento della propria domanda.
5. Il primo motivo non è fondato.
6. Giova precisare, in ordine alle asserite violazioni di legge, che: a) in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 epe, disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà o insufficienza della motivazione e il sindacato resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 comma 6° Cost., individuabile nell’ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 cpc, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. tra le altre Cass. 12.10.2017 n. 23940); b) la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 epe non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass 19.6.2014 n. 13960); c) la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc è configurabile soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 5.9.2006 n. 19064; Cass. 17.6.2013 n. 15107).
7. Orbene, alla stregua di quanto sopra esposto, è agevole rilevare che la sentenza della Corte di appello è Immune dai vizi denunciati dalla ricorrente, risolvendosi le doglianze in una censura su un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito e in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda non consentito in questa sede.
8. Anche il secondo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
9. E’ inammissibile nella parte in cui si denunzia l’omesso esame di elementi istruttori che non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. 22.9.2014 n. 19881).
10. E’ infondato perché i giudici di seconde cure comunque hanno valutato le circostanze ritenute omesse rilevando che il collegamento di più società alla medesima persona o famiglia non era dirimente per affermare la unicità di imputazione dei rapporti di lavoro; che le attività risultavano diverse, con un differente mercato e con una clientela non coincidente; che le attività venivano svolte in locali fisicamente separati; che alcuni dipendenti di una società prestavano la loro attività in luoghi diversi e ciò escludeva la tesi della utilizzazione contemporanea della prestazione dei dipendenti da parte della varie società.
11. I fatti, pertanto, sono stati valutati e, anche in questo caso, con la censura ci si limita a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle risultanze di causa, non possibile in sede di legittimità.
12. Il terzo motivo è, invece, fondato.
13. Pur essendo stata accolta la domanda subordinata proposta da T.S. in prime cure, a seguito del parziale accoglimento del reclamo proposto dalla società, con condanna di quest’ultima a riassumere il lavoratore ovvero a risarcirgli il danno nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la Corte distrettuale ha ritenuto di compensare le spese dei due gradi di giudizio “in considerazione della natura della causa e dell’esito complessivo del giudizio”.
14. Osserva il Collegio che trattasi di determinazione errata ai fini della applicabilità del disposto dell’art. 92 cpc, vigente ratione temporis, perché le “gravi ed eccezionali ragioni” da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che legittimano appunto la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica, come riportata nella gravata pronuncia, inidonea a consentire il necessario controllo (cfr. Cass. 25.9.2017 n. 23310; Cass. 14.7.2016 n. 14411).
15. In conclusione, rigettati i primi due motivi, va accolto il terzo con rinvio della causa alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, la quale, alla stregua del principio di cui sopra, dovrà limitarsi alla determinazione di un motivato governo delle spese dei gradi di merito, nonché a provvedere a quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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