CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2019, n. 11652
Reddito d’impresa – Imposte indirette – IVA – Accertamento – Frode carosello – Fatture soggettivamente false
Fatti di causa
Multi S. s.r.l., esercente l’attività di commercio al dettaglio di materiale elettrico e di articoli di illuminazione, ha impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale:
l’avviso di accertamento n. TF9030705177/2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito di impresa per l’anno 2005 da € 16.918,00 a € 222.831,00 e recuperava € 37.702,70 di imposta IVA indebitamente detratta; e l’avviso di accertamento n. TF9030705185/2010 con il quale l’Ufficio recuperava i.v.a. per € 3.480,00 indebitamente detratta nell’anno 2006.
Gli accertamenti traevano origine dal p.v.c. della Guardia di Finanza di Salerno, relativo ad una “frode carosello” contestata alla SICE s.r.l., ritenuta, sulla base di elementi rivelatori (quali l’assenza di struttura commerciale, mancato versamento delle imposte, la vendita di merci a prezzi inferiori a quelli correnti) mera intermediaria in acquisti da fornitori intracomunitari e acquirenti nazionali ed emittente quindi di fatture soggettivamente false.
Con l’impugnazione la Multi S. s.r.l. lamentò il difetto assoluto di motivazione, per avere l’accertamento riportato acriticamente gli esiti del processo verbale di constatazione senza alcuna indagine in fatto sugli elementi segnalati dalla GdF né sulle valutazioni dei fatti medesimi, e sottolineando l’impossibilità di richiamare il principio di “motivazione per relationem”; l’incompetenza territoriale, per appartenersi la stessa all’Ufficio di Verona; la nullità dell’atto amministrativo in ordine alla deducibilità dei costi ex art. 75 comma 4 D.P.R. 917/’86 stante la effettività dei rapporti sottostanti; infine la detraibilità dell’I.V.A. alla luce della esiguità e della entità dei rapporti con la SICE, la oggettiva esistenza degli stessi, siccome trattavasi di merci regolarmente trasportate, consegnate, con pagamenti tracciati e rivendita ai prezzo di mercato.
La Commissione Tributaria Provinciale di Salerno ha rigettato il ricorso e compensato le spese con sentenza che, appellata alla Commissione Tributaria Regionale, è stata confermata sulla base delle seguenti considerazioni.
– Gli accertamenti erano stati adeguatamente motivati per relationem, avendo l’ufficio indicato la fonte delle proprie informazioni, l’ammontare delle operazioni imponibili, il reddito conseguenziale e la sua qualificazione ai fini fiscali, i rilievi mossi e le violazioni commesse, dando, in tal modo, tutti gli elementi per definire l’ambito della lite tributaria e per consentire al contribuente la migliore difesa.
– L’avviso di accertamento ha natura di “provocatio ad opponendum” nel senso che soddisfa l’obbligo della motivazione ogni qual volta l’A.F. abbia messo il contribuente in condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e – quindi di contestarne efficientemente l’an e il quantum debeatur e a consentire al giudice di entrare nel merito della valutazione.
– L’avviso di accertamento motivato per relationem soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qual volta il p.v.c. sia stato regolarmente notificato o consegnato al contribuente così da consentirgli di conoscere la pretesa tributaria.
Nel merito, la Commissione si è collegata all’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, “spetti al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza della detrazione e, quindi, l’effettività del rapporto sottostante, ovvero che la controparte venditrice appariva legittimata a ricevere il pagamento dell’IVA in base a circostanze univoche”.
Ha osservato in fatto che mentre l’Ufficio aveva dimostrato, sulla base dell’esame documentale e dei controlli effettuati dalla Guardia di Finanza, l’inesistenza delle operazioni contestate, la contribuente non aveva contrastato con prove certe e documentali quanto sostenuto dall’Ufficio. Con p.v.c. del 10/09/2010, infatti, la Guardia di Finanza aveva accertato che la società “Sice S.r.l.”, dopo essere stata la diretta destinataria delle fatture di vendita emesse dai fornitori esteri aveva, successivamente, emesso fatture soggettivamente false nei confronti di diverse imprese nazionali coinvolte nella frode, tra cui la MultiS. S.r.l., che negli anni in questione aveva sede in Salerno, dove i militari avevano rinvenuto quattro fatture emesse, appunto dalla “Sice S.r.l.”, ed una nota di credito: cosa questa che, secondo la Commissione Tributaria Regionale, avrebbe portato ad affermare, sulla base del diretto contatto con la Sice s.r.l., la sua piena consapevolezza della frode.
Quanto poi al mancato riconoscimento della deducibilità dei costi, ha ritenuto di affidarsi alla sentenza n. 9138 della Corte di Cassazione che avrebbe precisato che nell’ipotesi operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione non sorge per il solo fatto della corresponsione dell’imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì che il committente cessionario che invoca la detrazione fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, che non possono esaurirsi nell’avvenuta consegna della merce, nell’avvenuto pagamento detta stessa nonché dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alla peculiarità del meccanismo IVA e dei relativi possibili abusi.
Contro la sentenza ricorre la Multi S. s.r.l., deducendo:
<<Mancanza o insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla dedotta eccezione di deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi (art. 360 n. 5 c.p.c). Violazione per falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 75 DPR n. 917/1986 e 19 DPR n. 633/1972 (artt. 360 nr. 3 c.p.c.)>>, avendo la Commissione Tributaria Regionale confuso fra deducibilità di costi e detraibilità dell’I.V.A.;
<<Violazione per falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 42 del DPR n. 633/1972 in relazione alla dedotta nullità degli avvisi di accertamento per mancanza C/”v di motivazione (art. 360 n. 3 e n. 4 c. p. c.)>>, in quanto il P.V.C. della Guardia di Finanza di Salerno, richiamato dagli atti impugnati, non conteneva gli accertamenti a carico della Sice s.r.l. e dai quali sarebbe emerso la natura fittizia dell’Ente, ma richiamava un P.V.C. del Gruppo della Guardia di Finanza di Roma, richiamato sommariamente;
<<Mancanza di motivazione sulle questioni delle fatture ritenute soggettivamente inesistenti e della detraibilità dell’imposta IVA (art. 360 n. 5 c. p. c.)>>, in quanto la Commissione Tributaria Regionale non aveva indicati gli elementi in forza dei quali le fatture emesse da Sice s.r.l. fossero soggettivamente inesistenti;
<<Violazione per erronea interpretazione e falsa applicazione di legge, nella specie degli artt. 19 del DPR 633/72, 2697 cod. civ.. in relazione agli artt. 167, 168, lettera a), 178, lettera a), 220, punto 1, 226 e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (art. 360 n. 3 c. p. c.)>> per violazione dei principi di diritti enunciati dalle decisione c 142/11 e c 80/11 della Corte di Giustizia della Comunità Europea in tema di coinvolgimento del soggetto passivo nelle frodi i.v.a.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che, riguardo alla detraibilità dei costi rappresentati dalle fatture relative alle operazioni soggettivamente inesistenti, ha richiamato il D.L. 167’2012, art. 8, che ammette la deducibilità dei costi sostenuti a fronte di fatture emesse per operazioni solo soggettivamente inesistenti; riguardo alla motivazione per relationem, ha richiamato la giurisprudenza formatasi su questa materia e il testo dell’art. 42 del D.P.R. 600/’73 e ha ricordato che il processo verbale è stato debitamente notificato al rappresentante legale della società; riguardo all’indetraibilità dell’i.v.a. siccome riferita ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha richiamato i principi giurisprudenziali, nazionali e comunitari, formatisi in materia, in base ai quali spetta al contribuente, che domanda la detrazione i.v.a. sulla base di fatture emesse da soggetti fittizi, la dimostrazione dell’avvenuta ricezione della merce, del pagamento dell’i.v.a. in fattura e della sua estraneità all’operazione fraudolenta; estraneità esclusa anche nel caso in cui gli operatori non adottino tutte le misure che possano agli stessi essere ragionevolmente richieste al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode e non si risolvano in un abuso del diritto.
Ragioni della decisione
1. – Il primo motivo è fondato.
In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della I. n. 537 del 1993 (nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. in I. n. 44 del 2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale “jus superveniens” con efficacia retroattiva “in bonam partem”, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite o meno in una “frode carosello) per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (cass., ord. N. 17788/’18; cass., sent. 27566/’18; cass., 13803/14). La diversa opinione espressa dalia Commissione Tributaria Regionale è frutto o di un fraintendimento con la disciplina della detraibilità dell’i.v.a. o dell’applicazione della giurisprudenza formatasi prima dell’intervento legislativo di cui sopra.
In ogni caso, la decisione non è fondata sulla non inerenza del costo, mai contestata dall’Amministrazione Finanziaria né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale.
2. – Il secondo motivo è infondato.
È incontroverso che alla contribuente sono stati notificati, assieme agli accertamenti, anche i processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza di Salerno e dalla Guardia di Finanza di Roma. L’indagine sulla Sice s.r.l. furono compiuti da quest’ultima, che segnalò a quella di Salerno la presenta della Multi S. s.r.l. fra i clienti della Sice s.r.l.
Orbene, per giurisprudenza ormai consolidata (da ult., cass. 32957/2018; cass., 32127/2018; cass., 30560/’2018) in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.
In questo quadro interpretativo, il fatto che la motivazione dell’accertamento tributario sia stata integrata con riferimento a due P.V.C., l’uno richiamante l’altro ed entrambi notificati al contribuente, nulla toglie alla possibilità di impugnare l’accertamento e di contestarne specificamente i presupposti di fatto, anche sollecitando i poteri istruttori della Commissione (art. 7 D.P.R. 546/’92): cosa questa che non risulta sia avvenuta.
3 – 4. – Sono infondati anche il terzo e il quarto motivo.
La ricorrente richiama la motivazione della sentenza impugnata (che a sua volta ha fatto riferimento alla sentenza di primo grado, ritenuta esente da vizi logici e giuridici e sorretta da motivazione congrua e coerente) che, dimostrata l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti, ha ritenuto che la ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova della sua estraneità alla frode commessa dal suo dante causa; prova che non ha ravvisato nel fatto che l’operazione che aveva dato luogo alle fatture era stata documentalmente riscontrata sia nel pagamento del prezzo che nel tracciamento delle merci. Osserva quindi che “in punto di diritto … per potere ritenersi soddisfatto l’onere motivazionale occorre che il giudice indichi gli elementi da cui desuma il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, proceda ad una loro approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito; insomma occorre la chiara e precisa indicazione degli elementi che giustificano il convincimento del giudice e ne rendono possibile il controllo di legittimità”. Infatti, il vizio di mancanza di motivazione rilevabile ai sensi dell’art. 360, comma I, n. 5, cod. proc. civ., sussiste se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, non potendo invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte”. Nello specifico sarebbe stato necessario che il giudice indicasse gli elementi di fatto e la loro portata complessiva, li valutasse attraverso il prisma della certezza, gravità, precisione e concordanza, per infine ritenere, presuntivamente, la interposizione soggettiva fittizia della SICE e la inesistenza soggettiva delle fatture utilizzate dalla Multi S.; spiegando poi, nell’ambito del processo decisionale, anche per argomenti impliciti, la irrilevanza delle deduzioni ed indicazioni di fatto della ricorrente.
La doglianza è infondata perché, al di la dell’enunciazione degli astratti e condivisi principi esposti, nel caso concreto la natura di “cartiera” della Sice s.r.l. è stata ritenuta dai giudici di merito sulla base di fatti emersi dal P.V.C. della Guardia di Finanza (riportati dalla stessa ricorrente); fatti consistenti nella cessione di beni a prezzi inferiori al valore normale, nel mancato versamento delle imposte (non importa se i.re.s. o i.v.a. o entrambe), nell’assenza di struttura commerciale, nell’acquisto da operatori intracomunitari per la rivendita ad operatori nazionali e che – secondo una valutazione non sindacabile in questa sede – costituivano un compendio adeguatamente serio, preciso e convergente che portava a recepire le valutazioni della Guardia di Finanza sulla natura fittizia dell’ente societario.
Non risulta d’altra parte che la contribuente abbia specificamente contestato questi elementi o chiesto al giudice di verificarli o comunque semplicemente chiesto al giudice di acquisire i verbali nella loro interezza.
La doglianza è infondata anche riguardo al “coinvolgimento” della Multi S. s.r.l. nell’operazione fraudolenta.
Bisogna in proposito dare atto che la giurisprudenza di questa Corte si è attestata sul principio secondo cui “in tema d’I.V.A., ove l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una “frode carosello”, ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo l’inesistenza del fornitore, ma anche, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva (o avrebbe potuto sapere), con l’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di detta consapevolezza e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (cass., ord. 21104/’18; cass., sent. 27566//18),
È tuttavia necessario precisare che, secondo la giurisprudenza più recente (cass., 10120/2017; cass., 24426/2013) “quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente- cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta.
Alla luce di questo principio, dato che fra i più significatovi elementi indiziari che hanno indotto i giudici di merito a ritenere Sice s.r.l. una mera intermediaria, v’è la totale assenza di sede operativa, sarebbe stato onere del ricorrente – che ha oltretutto avuto rapporti personali con i rappresentante legale della società interposta – dimostrare la sua buona fede.
Riguardo al motivo accolto, la causa – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – può essere decisa nel merito e la sentenza, nella parte de qua, cassata senza rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso limitatamente alla deducibilità dei costi ai fini I.RE.S. Rigetta gli altri motivi. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
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