CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2022, n. 13982
Rapporto di lavoro – Plurimi contratti di somministrazione a temine – Illegittimità – Genericità delle causali
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della decisione del locale Tribunale, respingeva la domanda proposta da G. G. nei confronti dell’INPS (ex INPDAP), intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità di plurimi contratti di somministrazione a temine sottoscritti con varie agenzie, quali aggiudicatarie della gara di appalto indetta dall’INPDAP, l’assunzione a far data dall’1/6/2004 o da diversa data eventualmente accertata, l’inquadramento nel livelli B1 del c.c.n.l. enti pubblici e le conseguenti differenze retributive o in subordine il risarcimento del danno.
2. Rilevava la Corte territoriale il giudicato di rigetto sulla domanda del G. intesa ad ottenere l’assunzione, non avendo il lavoratore proposto appello a tale riguardo.
Disattendeva l’eccepita inosservanza dell’art. 434 cod. proc. civ.
Quanto al merito dell’illegittimità dei contratti a termine (dichiarata dal Tribunale che aveva anche condannato al risarcimento del danno pari a 12 mensilità) riteneva che:
– nel ricorso ex art.414 c.p.c. non vi era stata una allegazione sufficientemente specifica in ordine alla genericità delle causali apposte ai contratti di lavoro somministrato succedutisi nel tempo essendosi il ricorrente limitato a dedurre l’invalidità di tali contratti per l’insussistenza del carattere temporaneo ed eccezionale e per essere stato egli impiegato alle dirette dipendente dell’utilizzatore con inserimento nella struttura organizzativa di quest’ultimo;
– in ogni caso risultavano sufficientemente indicate le ragioni del ricorso da parte dell’INPDAP alla somministrazione a termine (“punte di intensa attività”); – la transitorietà dell’esigenza si evinceva dalla documentazione in atti e dalla istruttoria che aveva evidenziato che il G. era stato assunto ed utilizzato insieme ad altri per far fronte alla gestione del patrimonio immobiliare ed alla dismissione progressiva dello stesso; – in materia di somministrazione non sussisteva un limite temporale alla successione dei contratti, a differenza di quanto avviene per i contratti a termine (tanto era stato precisato dalla l. n. 247/2007 e già dall’art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003; inoltre, anche a seguito della riforma c.d. Fornero, l’obbligo per le aziende di tener conto nel computo dei 36 mesi anche dei contratti di somministrazione aveva tuttavia tenuto ferma la disciplina delle due tipologie).
3. Per la cassazione della sentenza G. G. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
4. L’INPS ha resistito con controricorso.
5. La causa, dopo la trattazione in adunanza camerale della sezione sesta, è stata rimessa alla pubblica udienza.
5. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per l’accoglimenti del ricorso.
6. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 e 21 del d.lgs. n. 276/2003 in ordine ai requisiti formali del contratto di somministrazione.
Rileva che il riferimento alla “gestione del patrimonio immobiliare, al processo di dismissione dello stesso, alla sostituzione del personale” era contenuto solo nel quinto e nel settimo contratto e non negli altri, che non contenevano alcuna specificazione.
Trascrive, nella parte di interesse, il contenuto degli altri contratti: il primo stipulato per “punte di intensa attività”; il secondo per “ragioni legate all’organizzazione interna” con due proroghe che richiamano le clausole del contratto; il terzo per “maggiori volumi di attività presso l’ufficio patrimoniale”; il quarto per “uso di qualifiche non previste in assetto normale”; il quinto per “temporaneo utilizzo di professionalità per esigenze straordinarie connesse alla gestione del patrimonio immobiliare, al processo di dismissione dello stesso, alla sostituzione del personale assente ed altre esigenze non programmabili”; il sesto per “esigenza organizzativa della struttura!”, poi prorogato; il settimo come il quinto, poi prorogato; l’ottavo per “ragioni di carattere organizzativo – temporanee esigenze dovute a riorganizzazione dei servizi”.
Evidenzia che le causali indicate non davano conto di quale fosse la temporaneità delle esigenze e sostiene, pertanto, che sussisteva la violazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 276/2003 e dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 e 22, comma 2 del d.lgs. n. 276/2003. Censura la sentenza impugnata per aver affermato la ripetibilità senza limiti dei contratti di lavoro somministrato “a catena”.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 della l. n. 276/2003.
Ricollegandosi al rilievo di cui al secondo motivo sostiene che l’utilizzo dei contratti di somministrazione “a catena” vanifica lo scopo e la funzione sociale del contratto di lavoro somministrato.
4. Sono fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, il che determina l’assorbimento del primo.
5. Questa Corte ha già affermato (v. Cass. 13 gennaio 2021, n. 446) che, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima o abusiva successione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, pur essendo esclusa, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 86, comma 9, del d. lgs. n. 276 del 2003, la trasformazione in un rapporto a tempo indeterminato, si verifica in ogni caso la sostituzione, della pubblica amministrazione utilizzatrice, nel rapporto di lavoro a termine e il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno parametrato alla fattispecie di portata generale di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto. Tale disciplina appare conforme allo scopo della direttiva 2008/104/CE, la quale, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia (sentenza del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18), è finalizzata a far sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per uno stesso lavoratore (principio affermato in una fattispecie in cui, essendosi concluso il rapporto dopo l’entrata in vigore della direttiva n. 2008/104/CE, ma prima della scadenza del termine fissato per la sua trasposizione nell’ordinamento interno, la S.C. ha affermato che il giudice nazionale era tenuto ad applicare il diritto interno, ma senza poterne dare un’interpretazione difforme dagli obiettivi della direttiva).
La Corte di Giustizia ha concluso che l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il numero di missioni successive che un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale può svolgere presso la stessa impresa utilizzatrice e che non subordina la legittimità del ricorso al lavoro tramite agenzia interinale all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustifichino tale ricorso. Per contro, tale disposizione deve essere interpretata nel senso che essa osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.
6. Si aggiunga che l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, già nella versione di cui all’art. 4, comma 2, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80 aveva previsto: <<1-bis. Le amministrazioni possono attivare i contratti di cui al comma 1 solo per esigenze temporanee ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa valutazione circa l’opportunità di attivazione di contratti con le agenzie di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi>>
Nella versione vigente dall’1/1/2008 al 24/6/2008 era così previsto: «1. Le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità relativamente alle autonomie territoriali. Il provvedimento di assunzione deve contenere l’indicazione del nominativo della persona da sostituire. 2. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l’utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. 3. Le amministrazioni fanno fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali attraverso l’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a sei mesi, non rinnovabile. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva…..».
Nella versione vigente dal 24/6/2008: «2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 3 del decretolegge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.3. Al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell’ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio».
Ancora nella versione vigente dal 5/8/2009 al 30/10/2013: «2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall’articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall’articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile ed il lavoro accessorio di cui alla lettera d), del comma 1, dell’articolo 70 del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. 3. Al fine di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le amministrazioni redigono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato».
In tutte le versioni dell’art. 36, il ricorso al contratto a termine e più in generale a quello ai contratti di lavoro flessibile è consentito solo a fronte di comprovare esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, nel senso che non possono riferirsi ad un fabbisogno ordinario.
6. La somministrazione di lavoro, forma flessibile di lavoro richiamata anche dall’indicato art. 36, già prevista dagli artt. 20 e ss. del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 è ora disciplinata dagli artt. 30-40 del d.lgs. 15 giugno 215, n. 81.
L’art. 20, comma 4 nella versione originaria prevedeva che: «4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368».
L’art. 21, comma 3, nella versione originaria precisava: «3. Le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore».
Le suddette disposizioni sono sostanzialmente rimaste invariate nelle versioni successive delle indicate norme, fino all’abrogazione delle stesse da parte del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
Quest’ultimo, all’art. 30, ha così previsto: «Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore»; all’art. 33: «2. Con il contratto di somministrazione di lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori. 3. Le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile della missione, devono essere comunicate per iscritto al lavoratore da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio in missione presso l’utilizzatore»; all’art. 34: «2. In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina di cui al capo III, con esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore».
7. Ora, se è vero che non si può ricavare un limite temporale che nella legge non c’è (si veda l’espressa esclusione delle disposizioni degli artt. 21, comma 2, 23 e 24), di certo va valorizzato il fatto che con l’introduzione delle variegate forme flessibili di lavoro nelle pubbliche amministrazioni il legislatore ha sempre richiesto la necessità di esigenze temporanee; così ha fatto con l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 (che, nelle varie versioni, al comma 2 ha elencato le tipologie di lavoro flessibile utilizzabili dalla pubbliche amministrazioni: contratti di lavoro a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, somministrazione di lavoro a tempo determinato) e con gli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 276/2003.
8. L’interpretazione delle norme sulla somministrazione nel senso della temporaneità è l’unica conforme al diritto dell’Unione perché evita una contrarietà alla direttiva sulla somministrazione come interpretata dalla Corte di Giustizia. L’obbligo di interpretazione conforme riguarda anche le norme anteriori alla direttiva, come chiarito dalla Corte di giustizia.
9. Alla luce delle precedenti considerazioni deve, dunque, ritenersi che ai sensi del combinato disposto degli articoli 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e del d.lgs. n. 81 del 2015 (già d.lgs. 273/2006), la somministrazione a tempo determinato sia legittima anche nell’ambito della pubblica amministrazione, quando non sia tale da eludere la natura temporanea del lavoro tramite agenzia.
10. Orbene, nel caso di specie, come sopra esposto, il ricorrente è stato assunto dall’agenzia di somministrazione in forza di ben otto contratti di lavoro a tempo determinato, alcuni dei quali oggetto di svariate proroghe, per essere destinato a svolgere le mansioni di B1 sempre a favore dell’INPDAP (come ente utilizzatore), in un arco temporale pressocché ininterrotto che va dal 28.5.2004 al 31.7.2010, con effetti, dunque, che si sono prodotti anche dopo l’entrata in vigore della direttiva 2008/104/CE.
11. La Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se le esigenze fossero o meno temporanee e non fermarsi all’affermazione dell’inesistenza di un limite temporale formalmente previsto.
12. Da tanto consegue che il secondo e il terzo motivo di ricorso devono essere accolti, con assorbimento del primo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione, che procederà a verificare se le esigenze dedotte nei contratti riguardanti il G. fossero o meno temporanee. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
13. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.
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