CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 marzo 2021 , n. 5831
Rapporto di lavoro – Personale dipendente delle Camere di commercio – Accertamento del diritto alla inclusione, nella base di computo dell’indennità di anzianità
Fatti di causa
1.La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 10 luglio 2014 n. 6275, confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta dagli attuali ricorrenti e da altri litisconsorti, tutti già dipendenti della Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato di Roma (in prosieguo: Camera Di Commercio), per l’accertamento del diritto alla inclusione, nella base di computo dell’indennità di anzianità, di quanto percepito a qualsiasi titolo nell’ultimo anno di servizio.
2. La Corte territoriale faceva applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, ribaditi dalla ordinanza nr. 10654/2012, secondo cui: in tema di indennità di anzianità per il personale dipendente delle Camere di commercio assunto anteriormente al primo gennaio 1996, la cui unica fonte di disciplina è costituita — ex art. 2, comma 7, decreto interministeriale 12 luglio 1982 — dalla contrattazione collettiva, alla stregua dell’interpretazione letterale e logico-sistematica del CCNL Regioni e Autonomie locali del 14 settembre 2000 e, in particolare, dell’allegata dichiarazione congiunta n. 3, che ha confermato espressamente la perdurante vigenza del D.I. 12 luglio 1982 e successive modifiche, deve escludersi l’onnicomprensività dell’indennità di anzianità e il computo, nell’ultima retribuzione, delle voci retributive considerate pensionabili a fini diversi dalla Legge n. 335/1995, art. 2, comma 9, dovendosi ritenere una diversa interpretazione confliggente con i principi di parità di trattamento tra appartenenti al medesimo comparto e di armonizzazione ed equiparazione tra dipendenti pubblici e privati, oltrechè idonea ad inficiare la disposizione contrattuale “de qua” per il maggiore e significativo onere di spesa che essa implicherebbe.
3. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza i ricorrenti in epigrafe indicati, prospettando tre motivi di censura. Ha resistito la Camera di commercio con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 cod.proc.civ., censurando l’omesso rilievo da parte del giudice dell’appello delle gravi ed eccezionali circostanze che avrebbero consentito la compensazione delle spese, a fronte degli orientamenti non univoci emersi nella giurisprudenza di legittimità sulla questione oggetto di causa.
2. Il motivo è inammissibile.
3. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (per tutte: Cass. sez. VI 26 aprile 2019, n.11329).
4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione del D.I. 12 luglio 1982 e del CCNL 14 settembre 2000 del Comparto Regioni ed Autonomie Locali, articolo 49 e dichiarazione congiunta n. 3; si censurano i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, richiamati nella sentenza impugnata.
5. I ricorrenti hanno dedotto che:
– ai sensi della legge nr. 125/1968, articolo 3, comma 2, il trattamento economico, assistenziale e previdenziale del personale delle Camere di commercio è disciplinato da apposito regolamento, pacificamente individuato nel decreto interministeriale 12 luglio 1982. L’ articolo 77 del suddetto D.I. fissa come base di calcolo dell’indennità di anzianità l’ultima retribuzione corrisposta a titolo di: stipendio, tredicesima mensilità ed «altri assegni pensionabili e quiescibili».
– Detta disciplina è rimasta ferma dopo la privatizzazione (legge 680/1993, art. 19).
– La legge n. 335 del 1995, art. 2, comma 9, ha reso pensionabili per i pubblici dipendenti anche le voci retributive accessorie; pertanto le stesse, ai sensi dell’articolo 77 del D.I. del 12 luglio 1982, vengono a far parte della base di calcolo della indennità di anzianità (che comprende qualsiasi elemento retributivo «pensionabile e quiescibile»).
– Il successivo CCNL del comparto Regioni ed Autonomie Locali del 14.9.2000, articolo 49, aveva introdotto nuove modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto, in termini meno favorevoli di quelli previsti dal decreto interministeriale del 1982. In ragione di ciò, la dichiarazione congiunta nr. 3 del medesimo CCNL prevedeva la salvezza per i dipendenti della Camera di Commercio in servizio alla data di entrata in vigore del DPCM 20.12.1999 ( pubblicato sulla GU 15 maggio 2020) delle disposizioni di cui al DI 12 luglio 1982 relativamente alla indennità di anzianità.
6. Con il terzo mezzo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 81 Cost. e dell’articolo 2697, comma 2, cod.civ. nonché degli articoli 1362 e 1367 cod.civ.
7. La censura afferisce all’assunto della sentenza impugnata secondo cui la dichiarazione congiunta nr. 3 non potrebbe interpretarsi nel senso da essi sostenuto, in quanto avrebbe introdotto un maggior costo economico di cui il CCNL non prevedeva le fonti di copertura.
8.1 ricorrenti hanno dedotto che il CCNL 14 settembre 2000 non recava alcuna indicazione di spesa e che, comunque, la dichiarazione congiunta nr. 3 non determinava una nuova spesa, limitandosi a confermare la disciplina previgente. In ogni caso, sarebbe stato onere della amministrazione dimostrare che la interpretazione della norma invocata ex adverso avrebbe determinato una spesa non inclusa nella copertura finanziaria.
9. Hanno sostenuto che la interpretazione della dichiarazione congiunta nr. 3 al CCNL 2000 accolta nella sentenza impugnata disattenderebbe i canoni ermeneutici di cui agli articoli 1362 e 1367 cod.civ. e giungerebbe a privare di effetto utile la disposizione contrattuale.
10. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
11. La sentenza impugnata si è conformata alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (da ultimo, Cass. 16 gennaio 2018 nr 852), secondo la quale per i dipendenti della Camera di Commercio assunti anteriormente al primo gennaio 1996 deve escludersi l’onnicomprensività dell’indennità di anzianità ed il computo, nell’ultima retribuzione, delle voci retributive considerate pensionabili a fini diversi dalla citata L. n. 335, art. 2, comma 9 (ex aliis: Cass. n. 18288 del 2009; conf. Cass. n. 18382 e n. 20037 del 2009 nonchè Cass. n. 10654 del 2012; n. 20753 del 2013; n. 20527 del 2014; n. 20525 del 2014, n. 3149 del 2016, n. 4817 e n. 30229 del 2017).
12. La richiamata giurisprudenza ha preso le mosse dalla sentenza n. 18288 del 2009, con la questa Corte ha proceduto all’interpretazione diretta del CCNL Regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000 e dell’allegata dichiarazione congiunta n. 3 ed ha confermato la decisione della Corte territoriale che aveva escluso il computo, nell’ultima retribuzione utile alla determinazione della indennità di anzianità, del compenso per lavoro straordinario, del compenso incentivante e dell’indennità ex art. 36 del CCNL di comparto.
13. Con le suddette sentenze la Corte ha motivatamente disatteso le precedenti pronunce di legittimità n. 10437 e n. 11519 del 2006 nonché n. 3189 del 2009 ed ha respinto la tesi dei dipendenti secondo cui, essendo dopo la legge 335/1995 tutte le voci retributive pensionabili, tutte confluirebbero nella base di calcolo della indennità di anzianità, giacchè l’art. 77 del decreto del 1982 vi include le indennità pensionabili.
14. Si è posto in evidenza che le parti sindacali con la dichiarazione congiunta n. 3 allegata al CCNL Regioni e Autonomie locali del 14 settembre 2000 hanno espressamente confermato la perdurante vigenza del decreto interministeriale del 1982 e del D.I. 20 aprile 1995, n. 245 — (relativamente agli istituti della indennità di anzianità e dei fondi di previdenza)— per i dipendenti delle Camere di commercio in servizio alla data di entrata in vigore del DPCM 20 dicembre 1999 ( disciplinante il passaggio dei dipendenti pubblici al regime del TFR).
15. La comune volontà delle parti era semplicemente quella di confermare la vigenza della norma regolamentare, comprensiva delle voci stipendiali che nel corso del tempo vennero considerate pensionabili e quiescibili dalla contrattazione collettiva. Le parti, cioè, non intesero includere nella indennità di anzianità anche le voci denominate pensionabili e quiescibili non già dalla contrattazione collettiva, ma da una fonte “eteronoma” come quella regolatrice della retribuzione contributiva e pensionabile, destinata a spiegare effetti non già tra lavoratore e datore di lavoro, ma tra datore ed ente previdenziale, quanto all’onere contributivo, e tra lavoratore ed ente previdenziale, quanto all’onere pensionistico.
16. A tale orientamento si intende assicurare continuità in questa sede, perché il ricorso non offre argomenti ulteriori rispetto a quelli già esaminati e disattesi nelle pronunce citate.
17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
18. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 8.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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