CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2020, n. 24377

Avvocati – Espresso mandato conferito dal cliente – Comportamenti non confacenti ai doveri di correttezza, dignità e diligenza – Infermità – Carattere impeditivo

Fatti di causa

1. A seguito di esposto presentato da C.M. il 3 dicembre 2014 il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Perugia contestava all’Avvocato A.R. di aver tenuto comportamenti non confacenti ai doveri di correttezza, probità, dignità, decoro e diligenza, dichiarando di aver svolto attività stragiudiziale e giudiziale nell’interesse del signor M. senza averla effettivamente mai effettuata nonostante l’espresso mandato conferito dal cliente: comunicando circostanze non vere in merito all’andamento dei procedimenti, sia civile che penale, comunicando l’intervenuto stralcio della posizione nel procedimento penale e consegnando il relativo provvedimento;

proponendo di incardinare un giudizio per “equa riparazione” senza mai provvedervi così incorrendo nella violazione degli artt. 9 e 26 del nuovo Codice deontologico. Di aver omesso di emettere il prescritto documento fiscale per ogni importo percepito ed aver omesso di emettere fattura per la somma di € 3.204,50 in violazione dell’art. 29 comma 3 dello stesso Codice Deontologico. Di essere incorso nella violazione dell’art. 64 del nuovo Codice Deontologico omettendo di restituire al M. le somme oggetto di ricognizione di debito redatta e sottoscritta in data 28.4.2014.

2. All’esito del procedimento disciplinare, nel corso del quale veniva sentito sia l’esponente che l’incolpato, assunti testi ed acquisita documentazione, all’avvocato R. era irrogata la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per un anno.

3. In esito all’impugnazione proposta dall’avvocato R. il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 194 del 19 dicembre 2019, ha confermato la sanzione disciplinare.

3.1. Il C.N.F. ha in primo luogo escluso di dover differire l’udienza di discussione del ricorso escludendo che il ricorrente avesse documentato l’esistenza di un legittimo impedimento a comparire. In particolare ha osservato che la certificazione medica allegata all’istanza di differimento, fatta pervenire a mezzo pec in data 15.5.2019, con la quale erano richiesti quattro giorni di riposo assoluto, non indicava quei sintomi specifici che avrebbero consentito di classificarla effettivamente come la sindrome influenzale denunciata. Rilevava inoltre che dalle difese del C.D.A. di Perugia e dalla requisitoria del P.M. non erano emersi elementi di novità rispetto a quanto già dedotto nel corso del procedimento dove l’avv. R. si era diffusamente difeso.

3.2. Nel merito poi nella sentenza è stato ritenuto che le circostanze emerse dall’istruttoria svolta aveva confermato la fondatezza degli addebiti contestati. Il C.N.F., condividendo la ricostruzione effettuata già dalla Commissione di Disciplina di Perugia, ha evidenziato che proprio la documentazione prodotta dall’incolpato aveva minato la credibilità delle sue difese ed avvalorato invece la fondatezza delle incolpazioni elevate. In conclusione, quindi, ha ritenuto adeguata la sanzione irrogata della sospensione dall’esercizio della professione per un anno.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Avv. A. R. affidato a due motivi ed ha chiesto anche la sospensione della sentenza del C.N.F.. Gli intimati non hanno opposto difese.

Ragioni della decisione

5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen. e la conseguente nullità del procedimento davanti al CNF.

5.1. Sostiene il ricorrente che il CNF, nel motivare l’insussistenza del legittimo impedimento a comparire all’udienza, sarebbe incorso nella denunciata violazione di legge atteso che, a prescindere dalla completezza della difesa articolata dall’avvocato R., questi avrebbe avuto pieno diritto ad illustrare oralmente in sede di discussione i motivi di ricorso replicando alle argomentazioni in quella sede esposte dal Procuratore generale.

5.2. Inoltre evidenzia che l’interpretazione data dal C.N.F. all’art. 420 ter cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con gli orientamenti espressi dalla Cassazione che ha più volte ribadito che nel valutare il certificato medico il giudice deve attenersi alla natura della infermità denunciata valutandone il carattere impeditivo e tenendo conto del fatto che il grado di febbre è già di per sé essenziale ai fini della valutazione della gravità dell’impedimento.

6. La censura è infondata.

6.1. Va rammentato che nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero allorché sorga la necessità, come è nel caso del legittimo impedimento a partecipare all’udienza disciplinare, di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale (Cass. Sez. U. 14/01/2020 n. 412 e successivamente in motivazione anche Cass. Sez. U. 28/02/2020 n. 9556 ed ivi le richiamate Cass. n. 19705 del 2012, n. 23287 del 2010 e n. 10692 del 2010).

6.2. Deve essere poi evidenziato che, in linea di principio, l’incolpato ha diritto ad ottenere il rinvio dell’udienza disciplinare davanti al Consiglio Nazionale Forense purché alleghi e dimostri di trovarsi in una situazione di legittimo impedimento. Tale si deve, però, considerare solo l’ impedimento assoluto a comparire e non una qualsiasi situazione di difficoltà (cfr. Cass. Sez. U. 24/01/2013 n. 1715). La comparizione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense per la discussione del ricorso è atto del professionista incolpato ricollegabile non all’esercizio dell’attività professionale, ma alla personale posizione di questi quale soggetto sottoposto alla giurisdizione disciplinare (cfr. Cass. Sez. U. 20/09/2013 n. 21591).

6.3. L’impedimento a comparire, previsto dall’art. 420-ter cod. proc. pen., norma di riferimento applicabile al procedimento disciplinare, concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi dignitosamente e attivamente per l’esercizio del diritto costituzionale di difesa. Tuttavia esso non può derivare in via automatica dall’esistenza di una patologia più o meno invalidante. Si deve determinare un’impossibilità effettiva ed assoluta, e perciò legittima, riferibile ad una situazione non dominabile né contenibile ed a lui non ascrivibile, al fine di garantire il necessario bilanciamento con il principio di ragionevole durata del processo. In sostanza l’impedimento che impone il rinvio dell’udienza è solo quello cogente in termini assoluti e che, alla stregua della valutazione del  giudice, risulti positivamente in giudizio (cfr. Cass. 24/02/2020 n. 15407, Stretti).

6.4. Il giudice, nel valutare l’ impedimento a comparire dell’imputato attestato da certificato medico, deve attenersi alla natura dell’infermità e valutarne il carattere impeditivo. Può pervenire ad un giudizio negativo circa l’assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia attestata (cfr. Cass. Sez. U. 27/09/2005 n. 36635, Gagliardi). In sostanza deve trattarsi di un impedimento con carattere dell’assolutezza; deve essere effettivo, legittimo nonché riferibile ad una situazione non dominabile e non ascrivibile al soggetto che lo allega (Cass. 05/12/2018 n. 11460 ).

6.5. A tali principi si è attenuta la sentenza del C.N.F. che ha motivatamente respinto la richiesta di differimento avendo verificato, sulla base di specifici protocolli scientifici ( Protocollo operativo sorveglianza epidemiologica e virologica dell’influenza dell’Istituto Superiore di Sanità), che la certificazione medica era priva dell’ l’attestazione anche solo di uno dei sintomi respiratori (tosse, mal di gola, respiro affannoso) che sono espressione del carattere acuto della patologia denunciata (sindrome influenzale) e che, insieme allo stato febbrile attestato, avrebbero potuto convincere dell’effettività ed assolutezza dell’impedimento. Come osservato dal C.N.F., si tratta di elementi essenziali per la valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento, non riscontrabili laddove ci si trovi in presenza di una diagnosi e di una prognosi che, secondo nozioni di comune esperienza, denotino l’insussistenza di una condizione tale da comportare l’impossibilità di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute (cfr. Cass. 19/11/2014 n. 3558, Margherita per un caso in cui la certificazione indicava una prognosi di quattro giorni senza precisare l’ attitudine dello stato febbrile a determinare l’impossibilità a lasciare l’abitazione; 05/03/2004 n. 12948, L. per un caso in cui non risultava attestata l’impossibilità di deambulazione e lo stato febbrile avrebbe potuto essere risolto con antipiretici e 07/06/2018 n. 26024). La necessità del rinvio dell’udienza non insorge infatti per qualsiasi difficoltà ma solo nel caso in cui si accerti un impedimento assoluto a comparire (Cass. sez. un. n. 1715/2013 e 9558/2018).

7. Anche il secondo articolato motivo di ricorso formulato dall’Avvocato R. non può essere accolto. Con la censura è denunciata sia l’ omessa e contraddittoria motivazione su punti decisivi ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 cod. proc. civ., 16, 29 comma 3 e 64 della legge professionale.

7.1. In particolare con riguardo al primo capo di incolpazione, avente ad oggetto il mancato svolgimento da parte del ricorrente dell’attività professionale con riguardo all’azione risarcitoria e di equa riparazione della quale era stato incaricato dal cliente e rispetto al quale era stato sempre eccepito che nessuna procura gli era stata mai conferita, rileva il Collegio che la censura si risolve nella proposta di una diversa valutazione delle emergenze istruttorie non consentita davanti a questo giudice.

7.2. E’ appena il caso di rammentare che “il vizio di motivazione denunciabile è quello dell’art. 360 n. 5 novellato dal d.l. n. 83 del 2012 convertito in legge 134 del 2012 e perciò l’impugnazione è consentita soltanto per l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Disposizione, questa, che deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità.

Sicché l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (sul punto, tra varie, Cass., sez. un., 20/10/2015, n. 21216 e 28/10/2015, n. 21948). L’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito. Non è consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale (cfr. Cass. Sez. U. 02/12/2016 n. 24647).

7.3. Nel confermare la decisione del Consiglio di Disciplina il C.N.F. valuta nel suo complesso, anche al di là degli obblighi specifici derivanti dal conferimento di una procura ad agire in giudizio, la condotta trascurata tenuta dall’avvocato nei confronti del suo cliente ed è a tale condotta che attribuisce rilievo disciplinare avendo verificato che l’addebito contestato era risultato confermato nel corso dell’istruttoria espletata.

7.4. Anche i rilievi mossi alla sentenza con riguardo alla decisione sul secondo capo di incolpazione, avente ad oggetto la mancata emissione dei dovuti documenti fiscali con riguardo alle somme percepite dal cliente, pur prospettati ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc.civ. come una violazione degli artt. 29 comma 3 e 16 della legge professionale, si risolvono in una contestazione della ricostruzione del materiale probatorio. Il C.N.F. infatti ha valutato il rilievo probatorio delle fatture tardivamente depositate alla luce delle contestazioni da parte del cliente e della circostanza che le stesse neppure risultavano inserite nel registro fatture, tenendo conto del fatto ulteriore che comunque vi era un residuo mai fatturato. Si tratta di apprezzamento di fatto che è riservato al merito ed è estraneo a questo giudizio.

7.5. Quanto alla mancata restituzione delle somme riportate nella ricognizione di debito sottoscritta il 28 aprile 2014, oggetto del terzo capo di incolpazione in relazione all’art. 64 della legge professionale, rileva il Collegio che la censura si sostanzia in una ricostruzione delle emergenze istruttorie acquisite al giudizio differente rispetto a quella operata dal C.N.F. che, senza trascurare alcun fatto, non è incorso in un vizio di sussunzione della condotta accertata nella fattispecie astratta contestata. L’art. 64 del Codice deontologico, per quanto qui interessa dispone che l’avvocato deve adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi (primo comma).

Orbene la sentenza ha accertato che, a fronte dei reiterati versamenti da parte del cliente di somme a titolo di anticipo per attività mai svolte, l’accordo raggiunto tra le parti in ordine alle restituzioni era rimasto inadempiuto ed ha concluso che la proposizione del procedimento di ingiunzione costituiva la naturale evoluzione dell’inadempimento all’obbligazione assunta. In sostanza nella sede disciplinare si doveva verificare l’esistenza di un inadempimento ad una obbligazione assunta dall’avvocato nei confronti del suo cliente, nello specifico quella di restituire seppur nei limiti concordati le somme indebitamente percepite, ed è tale condotta che la sentenza ha accertato con una articolata ricostruzione dei fatti che non risulta neppure specificatamente censurata.

8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato restando assorbito l’esame della domanda di sospensione della sentenza impugnata. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio in considerazione del fatto che nessuno degli intimati si è costituito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, poi, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.