CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2021, n. 31454

Pensione di anzianità – Riliquidazione – Diritto – Accertamento – Principio del pro- rata

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 31.3.2015, rigettava l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo che aveva accolto la domanda di M. G. volta all’accertamento del diritto alla riliquidazione della pensione di anzianità sulla base del principio del pro- rata (puro, senza coefficiente dì neutralizzazione) previsto dall’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995; ha spiegato la Corte che nel caso in esame l’appellata aveva maturato il diritto alla pensione con decorrenza dall’ 1.1.2007 a seguito  di domanda presentata il 29.12.2006 e, pertanto, la stessa doveva essere liquidata secondo quanto stabilito dall’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 nella formulazione originaria, che prevedeva l’applicazione rigorosa del principio del pro-rata, risultando irrilevanti tanto la modifica apportata alla suddetta norma dalla legge n. 296 del 2006, quanto l’interpretazione datane dall’art. 1, comma 488, della legge n. 147 del 2013; per la cassazione della sentenza ricorreva la Cassa con due motivi, cui resisteva la G..

Con ordinanza 11.3.19 n. 8022, questa Corte osservava che col primo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006, in relazione all’art. 1, comma 488, della legge n. 147 del 2013, contestando l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto l’illegittimità, per violazione del principio del pro-rata, delle delibere assunte dalla stessa Cassa di previdenza il 22.6.2002, il 7.6.2003 ed il 20.12.2003, dopo che nella stessa sì era precisato che queste ultime delibere non erano state fatte salve dalla legge finanziaria n. 296/06; inoltre, secondo il presente assunto difensivo, l’erroneità dell’impugnata decisione trovava conferma nel fatto che il trattamento pensionistico in esame decorreva dal 1° gennaio 2007 e, quindi, allo stesso era pienamente applicabile, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, lo ius superveniens introdotto dall’art. 1, comma 763, della legge n. 296/06; col secondo motivo la ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 in relazione al cosiddetto coefficiente di “neutralizzazione”, assumendo che la decisione doveva essere cassata nella parte in cui la Corte d’appello di Venezia aveva dichiarato l’illegittimità della delibera del 7 giugno 2003 che aveva introdotto, per le sole pensioni di anzianità, il predetto coefficiente, senza avvedersi del fatto che quest’ultimo era stato previsto dal Regolamento del 2003 con riferimento esclusivo alle pensioni liquidate sotto la vigenza delle delibere del 7 giugno 2003 e del 20 dicembre 2003; in realtà, secondo la ricorrente, il coefficiente di neutralizzazione (la cui applicazione comportava la riduzione della quota retributiva) non rientrava nel novero dei provvedimenti contemplati dall’art. 3, comma 12, della legge n. 335/95, essendo stato introdotto dall’art. 53, quarto comma, del Regolamento di Esecuzione del 2004, nel quale erano confluite le delibere del 7.6.2003 e del 20.12.2003, per cui la sua applicazione non implicava alcuna violazione del principio del pro-rata.

Riteneva tuttavia questa Corte (con la ridetta ord. n.8022/19) che, attraverso il successivo deposito di memoria la Cassa ricorrente avrebbe rinunziato al primo motivo di censura, incentrato sulla contestazione concernente l’applicazione del principio del pro-rata, dichiarando di prestare adesione alle statuizioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite (sentenza n. 18136 del 16.9.2015) nel frattempo pubblicata, sentenza in cui sono state fissate le linee guida in tema di applicazione del suddetto principio a seconda del periodo di maturazione delle pensioni, per cui è venuto sostanzialmente a mancare in corso di causa l’interesse della Cassa di previdenza alla coltivazione della censura di cui trattasi, con conseguente inammissibilità di quest’ultima; l’ordinanza n. 8022/19 riteneva altresì inammissibile il secondo motivo, attraverso il quale la ricorrente sì era lamentata della mancata applicazione nella specie del coefficiente di neutralizzazione dì fonte regolamentare, posto che dagli atti dì causa non emergeva che tale questione fosse stata dedotta in primo grado, così come non risultava che la stessa fosse stata trattata nella successiva fase d’appello, per cui si era in presenza di una censura che veniva per la prima volta prospettata in sede di legittimità.

La Corte dichiarava dunque inammissibile il ricorso.

Avverso la ridetta ordinanza n.8022/19 proponeva ricorso per revocazione la Cassa, affidato a due motivi; resiste la G. con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo la CNPR denuncia l’esistenza di un errore di fatto risultante dagli atti di causa e determinante ai fini della decisione e cioè l’asserita rinuncia da parte della Cassa al primo motivo di ricorso per cassazione, che invece non risultava dagli atti, tanto meno dalla memoria presentata ex art. 380 bis c.p.c. di cui riporta taluni passi.

Il motivo è fondato.

Nella memoria venivano infatti citate le sentenza rese a S.U. da questa Corte (n. 1742/15 e n,18136/15), secondo cui gli enti previdenziali privatizzati (quale l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali) non possono adottare – in funzione dell’obiettivo, di cui all’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni – provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongono un massimale allo stesso trattamento (quale, nella specie, la delibera 28 giugno 1997 del Comitato dei delegati della Cassa, approvata con decreto 31 luglio 1997 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale) e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del “pro-rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti. Deve qui tuttavia rilevarsi che, sempre secondo le S.U., la liquidazione dei trattamenti pensionistici di anzianità (come nella specie), a partire dal 1° gennaio 2007, è legittimamente operata sulla base dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 riformulato dall’art. 1, comma 763, della l. n. 296 del 2006, che, nel prevedere che gli enti previdenziali adottino i provvedimenti necessari per la salvaguardia deirequilibrio finanziario, impone solo di aver presente – e non di applicare in modo assoluto – il principio del “pro- rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti, e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, con salvezza degli atti approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 e che, in forza dell’art. 1, comma 488, della l. n. 147 del 2013, si intendono legittimi ed efficaci purché siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine (Cass. SU n. 18136/15 e n. 17742/15).

La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 201/15, Cass. n.457/15, Cass. n.844/15, Cass. n.1243/15, etc.) ha del resto più volte ritenuto che per i trattamenti pensionistici di anzianità (e non di vecchiaia) liquidati a partire dal 1 gennaio 2007 trova applicazione il medesimo art.3, comma 12, L. n. 335 del 1995, ma nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in modo assoluto – il principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006; atti e deliberazioni che, in ragione della disposizione qualificata di interpretazione autentica recata dalla L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 488, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine.

In assenza di formale (o anche implicita) rinuncia al primo motivo dell’originario ricorso per cassazione, il primo motivo del presente ricorso va dunque accolto.

2. – Con secondo motivo la ricorrente denuncia un ulteriore errore di fatto (ex art.395, co.l, n.4 c.p.c.) e cioè l’asserita inammissibilità del secondo motivo dell’originario ricorso (circa l’applicabilità del coefficiente di neutralizzazione in luogo del “pro rata”) perché ritenuta dalla ridetta ord. n.8022/19 censura nuova.

Il motivo è inammissibile posto che il secondo motivo dell’originario ricorso per cassazione (conclusosi con l’ord. n.8022/19) risulta irrituale per difetto di autosufficienza, non avendo la Corte d’appello esaminato affatto la questione menzionata, sicché sarebbe stato onere della Cassa ricorrente, al fine dei evitare una statuizione di inammissibilità per novità della questione (e plurimis, Cass. n. 8206 del 22/04/2016) chiarire, nell’originario ricorso per cassazione, “come, dove e quando” la censura sarebbe stata ritualmente sottoposta al giudice d’appello.

Ed invero, nel caso in cui sia accolta la revocazione, il giudice (compresa la Cassazione), rimossa la decisione ritenuta affetta dal vizio revocatorio, per non corrispondere alla realtà dei fatti ed atti processuali che la questione dell’applicazione del cd. coefficiente di rivalutazione fosse nuova, deve nuovamente pronunciare anche sulla ritualità dell’originario ricorso.

3.- Ne consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso e la già accertata inammissibilità del secondo. L’ordinanza impugnata va dunque revocata e, in fase rescissoria, va accolto il primo motivo dell’originario ricorso di legittimità, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, la quale si atterrà al seguente principio di diritto: “In materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), per i trattamenti maturati prima del 1 gennaio 2007 il parametro di riferimento è costituito dal regime originario dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, sicché non trovano applicazione le modifiche “in peius” per gli assicurati introdotte da atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’attenuazione del principio del “pro rata”; invece per i trattamenti pensionistici di anzianità liquidati a partire dal 1 gennaio 2007 trova applicazione la medesima L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ma nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in modo assoluto – il principio del pro- rata.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Revoca l’ordinanza impugnata ed accoglie il primo motivo dell’originario ricorso per cassazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.