CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 ottobre 2019, n. 24678
Tributi – Accisa – Energia elettrica – Esenzione – Energia utilizzata in opifici industriali – Superamento del plafond mensile – Irrogazione sanzioni
Fatti di causa
La s.r.l. S.C.S.I. proponeva innanzi alla CTP di Roma ricorso avverso il provvedimento di contestazione di sanzioni amministrative N.1530/2010, notificatole il 27.12.2010, con il quale l’Agenzia delle Dogane di Roma 1 aveva irrogato sanzioni per violazione dell’art.53 co.8° e 59 co.1 ° D. Lgs. n.504/1995 e per violazione dell’art. 53 co.1° lett. a) e b), punita ai sensi dell’art. 59 co.3° stesso Decreto; in particolare la Società ricorrente deduceva di possedere i requisiti per beneficiare dell’agevolazione prevista dalla lett.f dell’art. 52 co.3° D. Lgs. n. 504/1995, in quanto unico consumatore dell’energia finale, posta in parte a disposizione di altre società cessionarie di rami d’azienda, collocate in unico comprensorio e vincolate alla prestazione di servizi unitari, rispetto ai quali le varie strutture produttive sono articolate ma funzionalmente integrate. Sotto diversi profili eccepiva violazione dell’art.10 co.2° Legge n.212/2000, poiché essa contribuente si era attenuta alle prescrizioni rese dall’Ufficio in sede di verbalizzazione il 4.10.2005, ed incompetenza dell’Ufficio che aveva emesso il provvedimento.
Prima la CTP adìta, con sentenza n. 7/36/2014, poi, su appello della Società, la CTR del Lazio, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, hanno respinto, nel costituito contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le censure della ricorrente, condannandola alla rifusione delle spese di lite.
In particolare il giudice d’appello ha ritenuto che le censure circa la sussistenza delle violazioni contestate sarebbero inammissibili in ragione del giudicato esterno formatosi giusta la sentenza n. 43/37/2012 della CTP di Roma, non impugnata, con la quale era stato respinto analogo ricorso della Società contro l’avviso di accertamento n. 57/2011 ed era stata esclusa la sussistenza dei requisiti per fruire dell’esenzione prevista dall’art. 52 co. 3° lett. f) D.Lgs. n. 504/1995, essendo stato accertato che il plafond minimo veniva raggiunto dalla Società sommando ai suoi i consumi di altre imprese che svolgevano attività diverse; donde l’automatica ricaduta di tale accertamento sull’applicabilità delle sanzioni. La CTR ha poi confermato l’insussistenza del dedotto rispetto delle prescrizioni dell’UTIF, avendo invece la Società sempre cumulato i consumi delle varie società ed avendoli riportati nel quadro L/LB nella casella usi propri; infine ha respinto l’eccezione di incompetenza per la genericità della sua formulazione, anche sotto il profilo della mancata indicazione del pregiudizio che avrebbe subìto dalla presunta incompetenza.
La S.C.S.I. ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 24.12.2015 ed articolato su 4 motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha notificato e depositato controricorso.
Il febbraio 2019 la Società ricorrente ha depositato memoria illustrativa dei motivi e di replica al controricorso.
Nella pubblica udienza del 21.02.2019 il P.G. e le parti hanno discusso oralmente la causa ed all’esito della camera di consiglio la Corte ha deciso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la S.C.S.I. denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1° n.4 c.p.c., dell’art.2909 c.c.: la norma sul giudicato sarebbe stata impropriamente applicata, poiché la ritenuta non spettanza dell’esenzione ex art. 52 D. Lgs. n.504/1995 non pregiudicherebbe l’applicabilità dell’esimente prevista dall’art.10 co.2° del medesimo decreto né l’esame della questione circa la competenza dell’organo irrogante le sanzioni.
L’Agenzia sul punto ha replicato evidenziando che la pronuncia si fonda su plurime rationes decidendi, tra le quali anche quella relativa al giudicato.
Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
In primo luogo la ricorrente non ha individuato le parti della sentenza costitutiva dell’affermato giudicato con le quali la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione si porrebbe in contrasto, così violando il principio di autosufficienza del ricorso, rendendo impossibile alla Corte di pronunciare sul punto senza ricorrere alla ricerca del documento; in secondo luogo la sentenza impugnata non ha affermato una preclusività del rilevato giudicato sull’intera materia controversa, ma esclusivamente sulla questione della sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per ottenere l’esenzione invocata, esplicitandone peraltro le ragioni. Tanto risulta del resto confermato dalla circostanza che la CTR ha poi esaminato puntualmente, disattendendole, anche le altre censure svolte dalla Società appellante, la quale ha articolato il 2° motivo di ricorso proprio per censurare l’altra ratio decidendi della motivazione.
Donde l’assenza di qualsivoglia violazione dell’art. 2909 c.c. in ordine al rispetto dei limiti del giudicato esterno.
Il terzo motivo di ricorso, che appare logicamente pregiudiziale siccome potenzialmente assorbente degli altri, introduce, ai sensi dell’art. 360 co.1° n.3 c.p.c., la pretesa illegittimità del provvedimento di contestazione sanzioni impugnato per violazione dell’art.19 co.1° D. Lgs. n.504/1995 come modificato dal D. Lgs. n.48/2010, per essere lo stesso stato emesso dal Direttore dell’Agenzia Prov.le di Roma 1 anziché dal Direttore Regionale dell’Agenzia, che sarebbe esclusivo titolare del potere di irrogazione, non delegabile ad altri soggetti o articolazioni dell’Ente se non a costo di violazione anche del principio di legalità ex art.3 D. Lgs. n. 472/1997. Nelle memorie illustrative corrobora la tesi già sviluppata anche attraverso l’esame delle successive modifiche apportate all’art.19, che ritiene sintomatiche della particolare tassatività dell’attribuzione di competenza.
L’Agenzia sostiene in controricorso che la delega in base alla quale il Direttore Prov.le ha emesso l’atto di contestazione non viola né le norme sulla competenza né il principio di legalità.
La censura è infondata. In realtà parte ricorrente non deduce da quale parte del provvedimento di delega scaturirebbe la violazione della riserva di competenza del Direttore Regionale o Interregionale, né contesta la circostanza che l’attività accertativa e di irrogazione delle sanzioni sia stata svolta sì dall’Agenzia delle Dogane di Roma 1, ma sulla base di delega conferita dal Direttore Interreg.le dell’Agenzia del Lazio. Ne consegue che, poiché l’art.19 invocato non prevede alcun divieto di delega interna dell’attività sanzionatoria, l’attività da questa svolta nell’ambito della delega è perfettamente riconducibile alla competenza sanzionatoria della Direzione Reg.le; del resto gli Uffici periferici non sono che articolazioni territoriali della Direzione Regionale (o Interreg.le), sì che il Direttore Regionale può delegare qualsivoglia funzionario dipendente all’esercizio dei poteri a lui spettanti. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione, ai sensi dell’art.360 co.1° n.3 c.p.c., dell’art.10 co.2° Legge n.212/2000: la CTR avrebbe erroneamente affermato che la Società non si era adeguata alle indicazioni operative fornite dall’UTIF nel verbale 4.10.2005, dalle quali dovrebbe invece ricavarsi che l’Ufficio aveva riconosciuto l’esenzione prevista dall’art.52 co.2° lett.o-bis D. Lgs. N.504/1995; impostazione riconoscibile dal raffronto tra i prospetti mensili dell’energia venduta dalla Società nel 2004 e quelli recanti anche l’imposta maturata, e che essa ricorrente avrebbe rispettato conformandosi alle prescrizioni sancite a pag.9 del menzionato verbale.
Con il 4° motivo, infine, la Società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art.360 co.1° n.3 c.p.c., degli artt.5 e 6 co.5-bis D. Lgs. n.472/1997, poiché la CTR avrebbe affermato che la violazione contestata, avendo determinato la dichiarazione di una minore imposta, avrebbe natura sostanziale; laddove l’aderenza del comportamento della contribuente alle indicazioni espresse dall’UTIF nel menzionato verbale escluderebbe qualsiasi colpevolezza in capo alla stessa e la stessa natura sostanziale della violazione.
L’Agenzia rileva l’inammissibilità del 2° motivo per difetto di autosufficienza e nel merito deduce che vi si prospetta come violazione di legge un’effettiva censura di merito tendente ad ottenere la rivalutazione della prova documentale e logica; conseguirebbe altresì l’infondatezza del 4° motivo, il cui presupposto fattuale contrasta con l’accertamento compiuto dalla CTR.
I due motivi, da esaminare unitariamente per la stretta connessione logica che li unisce, non meritano accoglimento. La Corte ritiene che, mentre non possa parlarsi di difetto di autosufficienza in relazione alla integrale trascrizione nel corpo dell’atto di un solo documento, peraltro accompagnata da richiami dei passaggi puntuali nei quali emergerebbero le circostanze utili a valutare la fondatezza del 2° motivo, questo ed il 4° siano effettivamente inammissibili in quanto, come esattamente rilevato dalla controricorrente, vi sono articolate non già censure attinenti all’erronea interpretazione della norma contenente la pretesa esimente (il motivo non richiama neppure l’ipotesi di una falsa applicazione) o quelle che regolano il regime di punibilità delle violazioni accertate, nel senso cioè di aver attribuito alle stesse un significato diverso da quello che dovrebbe emergere dall’applicazione di corretti canoni ermeneutici; bensì piuttosto l’enunciazione di alcuni dati fattuali asseritamente emergenti dalla lettura del riprodotto p.v. che smentirebbero l’asserzione in fatto sulla cui base la CTR ha considerato insussistente l’invocata esimente e, rispettivamente, affermato la punibilità delle violazioni accertate (peraltro in patente contrasto con quanto dai verbalizzanti a pagg.9-10 dell’invocato verbale, ove espressamente gli accertatori dichiarano, per quanto di loro competenza, di non riconoscere la spettanza delle autoapplicate agevolazioni e di provvedere – pagg.13-14 – ad attivare la procedura di recupero dell’imposta indebitamente detratta); in altre parole la Società ricorrente, senza denunciare errori nell’esercizio del potere di valutazione delle prove, sostiene che il Giudice d’appello avrebbe male interpretato od omesso di valutare i rilievi e le prescrizioni dell’Amm.ne inseriti nel predetto verbale, nonché le caratteristiche e gli effetti delle violazioni, che invece avrebbero autorizzato l’atteggiamento dichiarativo della contribuente, rendendolo suscettibile di giustificazione ai sensi dell’art.10 co.2° Legge n.212/2000 e/o non punibile ai sensi delle norme invocate. Entrambe le censure, che presuppongono una ricostruzione degli elementi di prova diversa da quella effettuata dal Giudice d’appello„ sottendono una rivalutazione di puro fatto inammissibile ai sensi del n.3 dell’art.360 c.p.c. ed eventualmente censurabile ai sensi del n.5 del medesimo comma (cfr. da ultimo Cass. Sez.I ord. 13.10.2017 n.24155; Cass. Sez.II ord. 28.09.2017 n.22707; Cass. Sez.V 30.12.2015 n.26110; Cass. Sez.V 4.04.2013 n.8315).
Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo, nonché quelle prenotate a debito, vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la S.C.S.I. s.r.l. alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in €.7.000,00, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13 co.1quater DPR n.115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del co. 1bis del medesimo art.13.
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