CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 febbraio 2020, n. 2475
Tributi – IVA – Fornitura di materiali per l’esecuzione di lavori in subappalto – Detrazione – Illegittimità
Fatti di causa
1. Con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Roma, è stata rigettata l’impugnativa proposta dalla M.P. S.p.A. (esercente attività di lavori di installazione) avverso l’avviso di accertamento (n. RCB030400364/2007) con il quale erano state contestate, per l’anno di imposta 2004, violazioni in materia di IVA (per operazioni imponibili non fatturate, pari ad € 246.672,74, e mancata regolarizzazione delle fatture ricevute, per un importo di € 256.036,58) ed IRAP (per una somma pari ad € 52.426,00), sul presupposto che – nell’ambito del contratto di subappalto intercorso tra la ricorrente, cui T. aveva commissionato lavori per la costruzione di una rete telefonica, e varie società – la fornitura di materiali per l’esecuzione dei lavori fosse avvenuta, a vantaggio delle predette società, a titolo di cessione in proprietà e non “in conto lavorazione”, così realizzandosi una operazione “permutativa” (ossia una compensazione finanziaria).
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società, affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la M.P. S.p.A. – denunciando violazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello non abbia considerato che, ai sensi della predetta disposizione, l’omessa regolarizzazione di fatture passive ricevute da un committente nell’esercizio di impresa comporta, al più, l’applicazione di una sanzione amministrativa, ma non anche l’obbligo di versamento dell’IVA, gravante sull’emittente la fattura irregolare e, quindi, sull’altro contraente.
2. Con il secondo motivo – denunciando omessa ed insufficiente pronuncia su un aspetto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nonché violazione della disposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice abbia, da un lato, omesso di esplicitare i motivi per cui essa ricorrente avrebbe dovuto fatturare alle ditte subappaltatrici i materiali che, invece, venivano fatturati direttamente alla committente T. ogni qual volta essa accettava il “S.A.L.”, e, dall’altro, trascurato di considerare che la citata disposizione prevede che la stessa imposta non possa essere applicata più volte in dipendenza del medesimo presupposto.
3. Con il terzo motivo – denunziando violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – si duole che la CTR abbia omesso di esaminare l’eccezione formulata in punto di IRAP, in base alla quale – anche ipotizzando l’esistenza di un rapporto “permutativo” – il maggior ricavo sarebbe stato neutralizzato dai maggiori costi necessariamente sostenuti da essa società per il riacquisto dei materiali dai subappaltatori.
4. Con il quarto motivo – denunziando insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – lamenta che la CTR abbia, per un verso, trascurato di indicare la prova diretta della cessione, e, per un altro, affermato che dalla documentazione della contabilità di magazzino era apparsa evidente la volontà di fornire i materiali ai subappaltatori “in conto lavorazione”, salvo poi aggiungere, contraddittoriamente, che in fattura tale trasferimento era stato considerato quale cessione.
5. Con il quinto motivo – denunziando violazione degli artt. 2 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto che «non sono gli atti di autonomia dei soggetti privati a condizionare gli adempimenti tributari, ma è il vincolo dei contribuenti a rispettare le norme tributarie che li deve indurre a modellare l’esercizio della loro autonomia privata», così invertendo la tradizionale impostazione secondo cui il giudice tributario deve vagliare l’effettiva volontà negoziale delle parti onde applicare la corretta norma tributaria.
6. Il primo motivo è inammissibile, per novità della questione concernente la illegittimità della richiesta dell’importo, per IVA, relativo all’omessa regolarizzazione delle fatture, non risultando la predetta questione trattata nella sentenza impugnata o dedotta nei giudizi di merito.
7. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile nella parte in cui è denunziato il vizio di violazione di legge in relazione alla questione dell’applicazione per più volte della stessa imposta in dipendenza del medesimo presupposto, non risultando alcuna deduzione o trattazione al riguardo nei gradi di merito.
8. Il secondo motivo, nella parte in cui è denunziato il vizio di omessa ed insufficiente pronuncia su un aspetto decisivo della controversia, ed il quarto sono, da un lato, inammissibili, poiché con essi si tende, in buona sostanza, al conseguimento di una revisione del giudizio valutativo compiuto dal giudice di merito, in contrasto con i noti limiti del giudizio di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 7/01/2014, n. 91: «Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, né porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito»; cfr., altresì, Cass. 24/05/2018, n. 12967: «Risulta integrato il vizio di omessa o insufficiente motivazione, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, quando, dal compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione o sia evincibile un’obiettiva carenza dell’ “iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata, mentre, a sua volta, il vizio di contraddittorietà si rende ravvisabile solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio deciderteli posta a fondamento della decisione adottata». V., ancora, Cass. Sez. U. 25/10/2013, n. 24148, ove è precisato che la motivazione omessa o insufficiente non è configurabile quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione).
8.1. I motivi in questione sono, dall’altro lato, infondati, poiché, nel caso, il giudice di merito, nel pervenire alle criticate conclusioni, ha valorizzato, quale elemento probatorio decisivo attestante la cessione dei materiali necessari all’esecuzione dei lavori, la detrazione, in sede di fatturazione, ad opera dei subappaltatori, dell’intero valore dei materiali stessi; l’elemento in questione è stato reputato incompatibile con un trasferimento di fatto in “conto lavori”, non essendo stata ravvisata alcuna plausibilità nella ricostruzione prospettata dalla società, incentrata sulla necessaria inclusione nella fatturazione del costo di detti materiali quale mera operazione finalizzata ad armonizzare i contratti di subappalto con quello di appalto (la cui affermata peculiarità non è in alcun modo evincibile, non essendo riportata la fonte contrattuale, nelle sue linee almeno essenziali, in ricorso, sicché non è dato apprezzarne l’incidenza sui contratti derivati).
8.2. Un tal nitido quadro è stato reputato sufficiente, a supportare le illustrate conclusioni, dal giudice di merito, il quale, dalla situazione di fatto accertata, ha tratto un giudizio logicamente corretto ed immune dalle critiche contenute in ricorso, giacché sostanzialmente imperniate sulla mancata estensione della valutazione ad ulteriori profili, quali quello della affermata previa cessione dei beni alla committente T. (peraltro non automaticamente attestata dal fatto che il corrispettivo integrale dell’appalto, versato dalla predetta committente, fosse “comprensivo dei materiali utilizzati nei cantieri”, ben potendo riferirsi il corrispettivo in questione al servizio in senso complessivo, ivi incluso il rimborso del costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei materiali).
8.3. Inoltre, non è affetta da contraddittorietà l’affermazione che il materiale, al momento del trasferimento fosse considerato quale oggetto di cessione in conto lavorazione, e, poi, al momento della fatturazione, di una cessione in proprietà; infatti, l’espressione è chiaramente da intendersi nel senso che, al di là della veste formale dell’operazione, attraverso la detrazione in sede di fatturazione, nella sostanza, veniva a perfezionarsi un passaggio dei beni.
9. Va rigettato il terzo motivo, poiché quella del “riacquisto” dei materiali dai subappaltatori, da parte della società, è stata fatta valere quale mera ipotesi – su cui non risulta esservi stato esame in primo grado – non coerente con la ricostruzione operata nella pronuncia (onde l’ipotesi deve ritenersi implicitamente disattesa) nonché con quella configurata nello stesso ricorso, ove è affermato che la società avrebbe ceduto i materiali prima a T. e poi ai subappaltatori, sicché l’ipotetico riacquisto non troverebbe giustificazione alcuna.
10. E’ infine inammissibile il quinto motivo, già sol perché non sono riportate in ricorso le clausole contrattuali che avrebbero dovuto evidenziare la sussistenza di una volontà delle parti in contrasto con quanto accertato nella sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. 15/11/2013, n. 25728, secondo cui, in ossequio al principio di autosufficienza, occorre la trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa).
11. Al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in € 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.
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