CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 febbraio 2020, n. 2477
Tributi – IRPEF – – Accertamento induttivo – Cessione a titolo oneroso della licenza taxi – Plusvalenza tassabile
Fatti di causa
1. Con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Napoli con cui è stata rigettata l’impugnativa proposta dal ricorrente avverso l’accertamento induttivo IRPEF (n. REF011003312) notificato per omessa denuncia di ricavi per l’anno 2004 derivanti dalla plusvalenza connessa alla cessione a titolo oneroso di una licenza taxi.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.N., affidato a due motivi.
3. L’Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello abbia ritenuto di poter avallare l’impostazione adottata dall’Agenzia delle entrate, con motivazioni non conformi a diritto, benché egli, in tutti i gradi di giudizio, avesse costantemente eccepito di avere esercitato la propria attività in qualità di socio-lavoratore di una cooperativa di trasporto, cui aveva conferito, in comodato d’uso, la propria autovettura di servizio e la relativa licenza d’esercizio; lamenta, inoltre, che la predetta Agenzia abbia potuto procedere all’emissione dell’avviso di accertamento senza aver prima effettuato la verifica della sussistenza dell’azienda; evidenzia, poi, quale ulteriore motivo di nullità dell’avviso, non rilevato dalla CTR, la contrarietà del procedimento seguito per l’accertamento della presunta evasione di imposta agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, non essendovi alcuna prova del valore della plusvalenza; lamenta, ancora, che la CTR abbia interpretato restrittivamente l’art. 7, comma 1, lett. b), della legge 15 gennaio 1992, n. 21, «al punto che la motivazione offerta in sentenza dalla CTR di Napoli finisce per costituire, non solo, una forzatura, quanto pure un’errata interpretazione, se non una violazione o falsa applicazione della legge, la quale non escluderebbe che l’attività di trasporto pubblico, non di linea, possa essere esercitata anche da non imprenditori»; si duole, infine, che la CTR abbia affermato la sussistenza, in via di fatto, di un’azienda facente capo al contribuente.
2. Con il secondo motivo – denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella introdotta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – lamenta che la CTR abbia, da un lato, ammesso la possibilità, da parte del socio di una cooperativa di trasporto, di svolgere, contemporaneamente, l’attività in modo autonomo ed in rapporto di dipendenza, e, dall’altro, impropriamente assimilato la trasferibilità della licenza di esercizio taxi prevista dalla legge al diverso concetto di una libera commerciabilità di detta autorizzazione per asseverare la tesi della cessione a titolo oneroso.
3. Il primo motivo è inammissibile, poiché il richiamo, in rubrica, alla «violazione o falsa applicazione di norme di diritto», prelude, mediante rilievi volti a rinnovare le censure già formulate per tacciare di illegittimità il provvedimento impositivo, ad una generica critica, avverso la sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati (cfr., tra le altre, in tema, Cass. 14/05/2018, n. 11603), in violazione del principio di specificità e di chiarezza (v., su tale ultimo profilo, tra le altre, Cass. 11/04/2008, n. 9470).
4. Il secondo motivo è altresì inammissibile, in quanto, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, anche nel processo tributario è applicabile (e v., sul punto, Cass. Sez. U. 7/04/2014, n. 8053) la nuova versione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che ha introdotto nell’ordinamento il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; sicché il motivo avrebbe dovuto essere articolato in conformità al nuovo parametro normativo (cfr., ancora, Cass. Sez. U. n. 8053/2014, cit., secondo cui «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie»).
5. Non vi è luogo per una pronuncia sulle spese, non avendo l’Agenzia delle entrate partecipato all’udienza di discussione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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