CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2018, n. 14192
Riqualificazione licenziamento – Da licenziamento per giusta causa a licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Rettifica indennità sostitutiva del preavviso
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Bergamo, in accoglimento del reclamo proposto da L. P. avverso la sentenza con la quale il giudice del lavoro aveva confermato la ordinanza che aveva riqualificato il licenziamento intimato al P. dalla società V. L. A., da licenziamento per giusta causa a licenziamento per giustificato motivo soggettivo e rettificato la indennità sostitutiva del preavviso in € 25.327,01( in luogo di quella pari a 23.327,01 liquidata con l’ordinanza), in riforma della decisione, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva quantificata in 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto nonché al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Ha respinto il motivo di reclamo attinente alla misura della retribuzione globale di fatto, avanzato dalla società.
1.1. La Corte di merito, per quel che ancora rileva, ha ritenuto l’intimato licenziamento non proporzionato ai fatti addebitati; invero, pur riconoscendo che le frasi profferite dal P. nei confronti della superiore gerarchica R. avevano un indiscutibile carattere ingiurioso, offensivo e di disprezzo ha ritenuto che tale condotta non rivestiva un carattere di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva, specie sotto il profilo dell’elemento soggettivo; ciò sia in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari nell’ambito del rapporto di lavoro durato oltre venticinque anni sia in considerazione del fatto che il comportamento del dipendente appariva frutto di momentanea insofferenza verso la collega divenuta suo superiore e risultava ridimensionato, nei suoi connotati di gravità, anche dalla eccessiva insistenza della R. nel cercare in quel frangente un chiarimento che il P. non era disposto a dare.
1.2. In merito alla tutela applicabile il giudice di appello, esclusa la possibilità di reintegrazione ex art. 18 comma 4 Legge 300/1970 nel testo risultante dalla modifica introdotta dall’art. 1 comma 42 Legge 92/2012 in assenza di tipizzazione da parte del contratto collettivo della condotta in oggetto come punibile con una sanzione conservativa, ha condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria omnicomprensiva nella misura minima di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, con esclusione del diritto alla indennità sostitutiva del preavviso.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso L. P. sulla base di due motivi. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e contestuale ricorso incidentale affidato ad un unico motivo ; L. P. ha depositato controricorso avverso ricorso incidentale.
2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’art. 18 commi 4 e 5 Legge 300/1970. Premesso che dalla ricostruzione fattuale del giudice del reclamo era emersa una condotta solo parzialmente corrispondente a quella contestata in quanto non risultava dimostrato che vi fossero state, come contestato, urla o toni minacciosi, sostiene che la fattispecie concreta andava ricondotta all’ambito della previsione di “insussistenza del fatto” che giustificava l’applicazione della tutela reintegratoria; analogamente sostiene in relazione al rilevato difetto di proporzionalità.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’art. 18 comma 5 Legge 300/1970 e all’art. 2118 cod. civ., censurando la decisione per avere ritenuto che la indennità risarcitoria fosse comprensiva anche della indennità sostitutiva del preavviso.
3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società Volvo Lastvagnar Aktiebolag deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in relazione all’art. 7 Legge n. 300 del 1970.Assume che nel ritenere il difetto di proporzionalità la sentenza impugnata non aveva considerato il protrarsi dell’aggressione nei confronti della R. che, secondo le deposizioni testimoniali, era durato dal mattino alla pausa pranzo; ciò connotava la condotta del dipendente non come frutto di momentanea insofferenza bensì come vera e propria insubordinazione nei confronti del superiore; sotto altro profilo critica l’applicazione quasi meccanica del principio di graduazione delle sanzioni sotteso all’art. 7 cit. osservando che lo stesso non è da ricollegare solo al numero dei precedenti disciplinari bensì all’obiettiva gravità della condotta.
4. Il motivo di ricorso incidentale, che per ragioni di ordine logico- giuridico viene esaminato per primo, è da respingere.
4.1. E’ innanzitutto infondata la censura secondo la quale la sentenza impugnata, violando il disposto dell’art. 7 Legge n. 300/1970, avrebbe fatto un’applicazione quasi automatica del principio di graduazione delle sanzioni ricollegandole al numero dei procedimenti disciplinari nei quali il lavoratore sarebbe stato in ipotesi coinvolto; il giudice del reclamo è, infatti, pervenuto all’accertamento del difetto di proporzionalità del recesso datoriale sulla base di una complessiva considerazione delle circostanze concrete alla stregua delle quali ha ritenuto non giustificata la sanzione espulsiva. In particolare ha sottolineato la non particolare intensità dell’elemento soggettivo, configurandosi la condotta del P. frutto di momentanea insofferenza verso la collega divenuta suo superiore gerarchico, della delusione per la propria posizione lavorativa e anche della insistenza della superiore R. nella ricerca di un chiarimento in un contesto già connotato da particolare tensione. Il riferimento all’assenza di precedenti disciplinari, nell’ottica del giudice del reclamo, è, quindi, funzionale alla conferma che solo la particolarità della concreta situazione aveva determinato la reazione del dipendente – che per questo veniva connotata come meno grave sotto il profilo soggettivo (e della sua idoneità a ledere il vincolo fiduciario)- ma non ha affatto costituito, come sembra adombrare parte ricorrente, il parametro decisivo al quale, in maniera pressocchè automatica, sarebbe stata ancorata la valutazione di non proporzionalità.
4.1. La censura con la quale si denunzia, sotto il profilo del vizio di motivazione, la valutazione di non proporzionalità del recesso datoriale rispetto all’entità dell’addebito è anch’essa da respingere. Premesso, infatti, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di licenziamento disciplinare spetta al giudice del merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ( v. tra le altre, Cass. 25/05/2012 n. 8293, Cass. 19/10/2007n. 21965), nel caso di specie non è ravvisabile l’omesso esame del fatto storico, indicato come decisivo, rappresentato dal protrarsi della condotta del P.. Tale circostanza, infatti, è stata tenuta ben presente dalla sentenza impugnata, come reso palese dalla puntuale ricostruzione dello sviluppo degli accadimenti ed in particolare della evoluzione del contrasto tra il P. e la superiore R., culminato con la pronunzia delle espressioni offensive da parte del primo nei confronti della seconda. Ciò denota la piena consapevolezza da parte del giudice di appello del quadro complessivo, anche temporale, nel quale si sono sviluppati gli eventi, con implicita valutazione di irrilevanza del protrarsi della condotta del lavoratore, valutazione non sindacabile in sede di legittimità.
5. Il primo motivo di ricorso principale è infondato. Il giudice di appello ha premesso che “l’addebito disciplinare quale cristallizzato nella contestazione non attiene unicamente a condotte minacciose o irruente tenute dal dipendente nei confronti del superiore gerarchico ma riguarda una condotta ben più ampia consistita anche nella pronuncia, a prescindere dall’atteggiamento minaccioso, irritato, furioso o intimidatorio, di frasi ingiuriose ed offensive alla presenza di altri colleghi di lavoro”. Tale ricostruzione del contenuto complessivo del fatto addebitato non è validamente censurata dall’odierno ricorrente il quale non contrasta affatto l’assunto che la complessiva condotta contestata concerneva anche la pronunzia di frasi offensive ed ingiuriose all’indirizzo della collega; tantomeno contrasta l’assunto, presupposto implicito della sentenza impugnata, che la pronunzia di tali frasi era di per sé sola astrattamente idonea ad integrare un fatto sanzionabile sul piano del rapporto di lavoro. Ne deriva che la fattispecie in esame non appare riconducibile alla ipotesi di “insussistenza del fatto” ai fini della tutela reintegratola invocata dal ricorrente.
5.1. Per esigenze di logica, prima ancora che di coerenza con l’impianto normativo scaturito dalla novella di cui alla Legge n. 92/2012 in tema di diversificazione del regime delle tutele connesse all’illegittimo recesso datoriale, ed in particolare con la natura residuale della tutela reintegratoria come prevista dall’art. 18 novellato, così già interpretato da questa Corte (Cass. 08/07/2016 n. 14021), deve ritenersi, infatti, che in caso di contestazione di pluralità di addebiti o, come avvenuto nel caso di specie, di un’unica articolata condotta, la “insussistenza del fatto” si configuri solo qualora sul piano fattuale possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotta – fra i fatti oggetto di contestazione – di per sé solo astrattamente idoneo a giustificare la sanzione espulsiva, oppure, specularmente, secondo quanto già ritenuto, qualora si realizzi l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (Cass. 20/09/2016 n. 18418).
5.1. Quanto ora osservato costituisce sviluppo, nel contesto del novellato art. 18, del principio ripetutamente affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento” (Cass.28/07/2017 n. 18836; Cass. 30/05/2014 n. 12195 ; Cass. 31/10/2013 n.24574; Cass. 14/01/2003 n. 454).
5.2. La ulteriore censura formulata con il motivo in esame, con la quale si assume che il difetto di proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione espulsiva, comporta la tutela reintegratoria di cui al comma 4° del novellato art. 18, è da respingere alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, sicché ogni valutazione che attenga al profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della condotta contestata non è idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro (Cass. 06/11/2014 n. 23699)
6. Il secondo motivo del ricorso principale è fondato.
6.1. Preliminarmente va affermata la ammissibilità del motivo in esame, così disattendendosi la eccezione della parte controricorrente . Invero, non è in discussione che, come riconosciuto nel controricorso e anche desumibile dallo storico di lite della sentenza impugnata, il P., con il ricorso ex art. 1 comma 48 Legge 92/2012, ha formulato specifica domanda di condanna della Volvo Lastvagnar Aktiebolag all’indennità sostitutiva del preavviso; tale richiesta era stata accolta con l’ordinanza della prima fase e confermata all’esito del giudizio di opposizione ove si era proceduto alla rettifica della somma a tale titolo originariamente liquidata. Da quanto sopra scaturisce che il P., in sede di reclamo, non era tenuto a formulare alcuna ulteriore richiesta di attribuzione dell’emolumento che gli era già stato riconosciuto; né siffatta necessità discendeva come pure prospettato dalla società, dalla richiesta di applicazione del comma 5° del novellato articolo 18 Legge 300/1970 non essendo la tutela richiesta incompatibile, secondo quanto si andrà ad esporre, con il diritto alla indennità in oggetto.
6.2. A riguardo va data continuità al precedente di questa Corte, le cui argomentazioni sono qui richiamate, secondo il quale la tutela indennitaria-risarcitoria, di cui al novellato art. 18 Legge n. 300/1970, non esclude il diritto del lavoratore a percepire anche l’indennità di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno, anche all’esito delle modifiche apportate dalla Legge 92/2012, quelle esigenze proprie dell’istituto, di tutela della parte che subisce il recesso, volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita dell’occupazione, né autorizzando la lettera e la “ratio” della disposizione una opzione ermeneutica restrittiva (Cass. 21/09/2016 n. 18508).
7. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della decisione e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 cod. proc. civ. stante la non contestazione sul quantum debeatur, la condanna della società al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso nella misura di € 25.327,01, determinata dal Tribunale con la sentenza emessa in sede di opposizione.
8. Il regolamento sulle spese di lite nei gradi di merito è confermato.
8.1. Atteso l’esito del giudizio di legittimità le relative spese sono compensate nella misura della metà e il residuo, liquidato come da dispositivo, posto a carico della società Volvo Lastvagnar Aktiebolag.
9. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale . Accoglie il secondo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna Volvo Lastvagnar Aktiebolag al pagamento in favore di L. P. della indennità sostitutiva del preavviso nella misura quantificata dal Tribunale con la sentenza oggetto di reclamo. Conferma la statuizione sulle spese di lite dei gradi di merito. Compensa per metà le spese del giudizio di legittimità che liquida per l’intero in 5.000,00 per compensi professionali, 200,00 per esborsi, oltre spesse forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori come per legge e condanna la società controricorrente-ricorrente incidentale alla rifusione della residua metà.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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