CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2019, n. 15170
Straniero non iscritto nei registri anagrafici del Comune – Revoca dell’assegno sociale – Difetto di prova del regolare soggiorno
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 4 febbraio 2014, in riforma della decisione di primo grado ha rigettato la domanda svolta da B. S. – titolare di carta di soggiorno, non iscritto nei registri anagrafici del Comune di Carpenedolo nel quale risiedeva la figlia presso la quale dimorava – avverso la revoca, disposta dall’INPS, dell’assegno sociale, liquidato con decorrenza dal 10 giugno 2008, e la ripetizione della somma indebitamente percepita, nel periodo giugno 2008 – marzo 2011, in difetto di prova del regolare soggiorno sul territorio nazionale in maniera non transitoria o occasionale.
2. La Corte di merito, premessa l’inapplicabilità, ratione temporis, dell’art. 20, comma 10, d.l. n.112 del 2008, trattandosi di domanda amministrativa per il riconoscimento dell’assegno sociale proposta (il 30 maggio 2008) in epoca antecedente all’entrata in vigore della predetta disciplina più restrittiva (il 10 gennaio 2009), riteneva che non potesse godere della provvidenza il clandestino o colui che avesse violato le norme per l’ingresso sul territorio dello Stato e che non potesse prescindersi, tra i requisiti costitutivi della prestazione, dall’iscrizione anagrafica dello straniero extracomunitario, requisito implicitamente richiesto dalla legge e alla cui mancanza non era possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio italiano; inoltre, poiché per fruire della medesima prestazione il cittadino italiano avrebbe dovuto essere residente in Italia, riteneva che pretendere lo stesso requisito per lo straniero non potesse ritenersi discriminatorio.
3. Riteneva, in particolare, la Corte del gravame che, dovendo ritenersi costituzionalmente illegittimo il richiamo alla carta di soggiorno all’esito di alcune pronunce della Corte costituzionale (in particolare, Corte Cost. nn. 306 del 2008 e 187 del 2010), il soggiorno legale dello straniero extracomunitario in Italia, in modo non episodico e di non breve durata, potesse essere formalmente provato solo dalla residenza e con l’iscrizione anagrafica in un comune italiano, e che la presenza stabile e continuativa in Italia, introdotta dalla riforma applicabile dal gennaio 2009, costituisse un requisito ulteriore e diverso dalla residenza.
4. Avverso tale sentenza ricorre B. S., con ricorso affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS.
5. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso, deducendo plurime violazioni di legge – art. 3, comma 6, legge n.335 del 1995, artt. 37,49, primo comma, legge n. 40 del 1998, artt. 9, 41 d. Igs. n. 286 del 1998, art. 80, comma 19, legge n. 388 del 2000 – anche in relazione all’art. 12 delle preleggi al codice civile, agli artt. 2, 3, 10, 38 Cost., ai principi affermati dalla Corte costituzionale sull’equiparazione tra lo straniero e il cittadino italiano nell’accesso alle prestazioni assistenziali e al principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 CEDU, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere preteso, per il riconoscimento del diritto all’assegno sociale da parte di straniero extracomunitario legalmente soggiornante nel territorio italiano perché titolare della carta di soggiorno, il requisito della residenza, al momento della relativa domanda amministrativa, in aggiunta al possesso della carta di soggiorno o di altro titolo comunque legittimante la presenza legale nel territorio italiano.
7. Assume il ricorrente che, per il beneficio in questione, è già richiesto dal legislatore il possesso, da parte dello straniero, di un titolo comprovante la presenza stabile e non episodica sul territorio italiano, titolo che ha e deve avere lo stesso valore della residenza per il cittadino italiano, da ritenersi alternativo e non aggiuntivo, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale ad avviso della quale solo la residenza costituisce titolo legittimante imprescindibilmente l’accesso all’assegno sociale anche da parte dello straniero extracomunitario e costituisce un requisito implicitamente richiesto dalla normativa speciale per gli stranieri.
8. Il motivo è da accogliere.
9. Si controverte esclusivamente dei requisiti costitutivi del diritto all’assegno sociale per lo straniero extracomunitario e, in particolare, della necessità che al momento della domanda amministrativa per il riconoscimento del beneficio, domanda proposta e beneficio riconosciuto, nella specie, da epoca antecedente al 1° gennaio 2009, lo straniero debba dimostrare anche di avere la residenza in Italia, al pari del cittadino italiano aspirante al medesimo beneficio, ovvero se il requisito costitutivo sia soddisfatto dal possesso di idonea carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo).
10. La legge n. 335 del 1995, art. 3 comma 6, ha introdotto l’assegno sociale (in luogo della preesistente pensione sociale) riservandone il diritto ai soli cittadini italiani, residenti in Italia.
11. Successivamente, l’art. 39 della legge n. 40 del 1998 ha disposto, al primo comma, che: «Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».
12. Si è quindi effettuata la equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e gli stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali, senza invero richiedere, in aggiunta, il requisito della stabile dimora in Italia, ravvisato come necessario dalla giurisprudenza costituzionale (fra le tante, Corte Cost. nn. 306 del 2008 e 187 del 2010).
13. Per l’assegno sociale l’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», subordina il diritto a percepire il beneficio, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo) e dispone: «ai sensi dell’articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno».
14. La carta di soggiorno è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (id est, soggiornanti da almeno cinque anni), di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e ha, quindi, assunto la denominazione di «permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo», a seguito della modifica, in tal senso apportata, alla rubrica dell’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 dalla disposizione finale di cui all’art. 3 del decreto legislativo 13 febbraio 2014, n. 12 (Attuazione della direttiva 2011/51/UE, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale).
15. E’ quindi stato introdotto, nell’ordinamento, l’art. 20, comma 10, del decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112 (recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha dettato nuove condizioni per fruire della prestazione, nel senso che «a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale».
16. Come già enunciato nei paragrafi che precedono la vicenda ora all’esame si snoda in epoca anteriore al discrimine temporale appena richiamato per l’applicazione delle nuove regole fissate dal legislatore del 2008 che, a decorrere dal 2009, ha richiesto, per gli «aventi diritto», un oggettivo criterio di radicamento temporale al territorio, sintetizzato dal soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.
17. In riferimento alla disciplina anteriore alla predetta riscrittura degli elementi costitutivi dell’assegno sociale, che permea la vicenda all’esame, il tema e la necessità del radicamento territoriale per l’aspirante al beneficio erano comunque emersi sia per la peculiare prestazione in cui si risolve l’assegno sociale sia quanto al soggiorno legale in Italia dello straniero extracomunitario aspirante alla prestazione.
18. Vale ricordare, fra tante, Cass. n. 24981 del 2016 che, in continuità con principi enunciati da Cass. n. 22261 del 2015 e, in precedenza, da Cass. n. 3521 del 2014 e Cass. n. 10460 del 2013, ha ritenuto non irragionevole la previsione di cui all’art. 80 comma 19, legge n. 388 del 2000, che subordina il godimento dell’assegno sociale per gli stranieri legalmente residenti in Italia alla titolarità della carta di soggiorno, indicativa del radicamento sul territorio, trattandosi di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e, pertanto, non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza»
19. Tale principio è stato confermato da questa Corte anche alla luce della coeva ordinanza della Corte costituzionale, n. 180 del 2016, che, nel riaffrontare la questione di legittimità costituzionale del citato art. 80, comma 19, della citata legge n. 388 «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da almeno dieci anni, del beneficio dell’assegno sociale previsto dall’art. 3, comma 6, della legge n. 335/1995 e successive integrazioni», ha rilevato e ribadito che l’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133 «appare comunque indicativo dell’orizzonte entro il quale il legislatore ha ritenuto di disporre in una materia del tutto singolare come questa dell’assegno sociale, dal momento che il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo – stando allo stretto tenore letterale della norma – agli stessi cittadini italiani (Corte cost. n. 197 del 2013).
20. La recente sentenza della Corte Costituzionale, n. 50 del 2019, ha nuovamente affrontato i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di lungo soggiorno) e ha ritenuto il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario non irragionevole in virtù del fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche.
21. Ha, in particolare, affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza richiamata, che «tali persone ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.)»,
22. Il Giudice delle leggi ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che aveva già chiarito che «entro i limiti consentiti dall’art. 11 della direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), cui ha conferito attuazione il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 […], e comunque nel rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo assicurati dalla Costituzione e dalla normativa internazionale, il legislatore [può] riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di per sé a generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica, e l’erogazione della provvidenza» (sentenza n. 222 del 2013).
23. Ancora il Giudice delle leggi ha ricordato che la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di «un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale» (sentenza n. 222 del 2013), riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona.
24. Il beneficio dell’assegno sociale, come chiarito dalla Corte costituzionale, non costituisce componente dell’assistenza sociale (riservata, dall’art. 38, primo comma, Cost., al «cittadino») sibbene un necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.) e per «la limitatezza delle risorse disponibili, al di là del confine invalicabile appena indicato, rientra dunque nella discrezionalità del legislatore graduare con criteri restrittivi, o financo di esclusione, l’accesso dello straniero extracomunitario a provvidenze ulteriori. Per esse, laddove è la cittadinanza stessa, italiana o comunitaria, a presupporre e giustificare l’erogazione della prestazione ai membri della comunità, viceversa ben può il legislatore esigere in capo al cittadino extracomunitario ulteriori requisiti, non manifestamente irragionevoli, che ne comprovino un inserimento stabile e attivo; in tal modo, le provvidenze divengono il corollario dello stabile inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della società, grazie alla partecipazione alla vita di essa in un apprezzabile arco di tempo».
25. Ha poi precisato che «la titolarità del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, diversamente dalla mera residenza legale in Italia, è subordinata a requisiti (la produzione di un reddito; la disponibilità di un alloggio; la conoscenza della lingua italiana: art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998) che sono in sé indici non irragionevoli di una simile partecipazione; essa perciò rappresenta l’attribuzione di un peculiare status che comporta diritti aggiuntivi rispetto al solo permesso di soggiorno; infatti, consente (art. 9, comma 12, del d.lgs. n. 286 del 1998) di entrare in Italia senza visto, di svolgervi qualsiasi attività lavorativa autonoma o subordinata, di accedere ai servizi e alle prestazioni della pubblica amministrazione in materia sanitaria, scolastica, sociale e previdenziale, e di partecipare alla vita pubblica locale. Il permesso di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, che ha durata indeterminata, consente l’inclusione dello straniero nella comunità nazionale ben distinguendo il relativo status dalla provvisorietà in cui resta confinato il titolare di permesso di soggiorno di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998».
26. Il Giudice delle leggi, con la recente decisione ha, pertanto, ritenuto non discriminatorio, né manifestamente irragionevole che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo sia il presupposto per godere di una provvidenza economica, quale l’assegno sociale, che si rivolge a chi abbia compiuto 65 anni di età, trattandosi di persone che ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.).
27. E’ risultata così confermata la discrezionalità del legislatore nel riconoscere una prestazione economica al solo straniero, indigente e privo di pensione, il cui stabile inserimento nella comunità lo ha reso meritevole dello stesso sussidio concesso al cittadino italiano.
28. Per la Corte costituzionale sotto nessun profilo, pertanto, può ritenersi violato l’art. 3 Cost. con riferimento a quegli stranieri che, invece, tale status non hanno.
29. Prosegue il Giudice delle leggi: «Neppure è convincente il rilievo, secondo il quale sarebbe manifestamente irragionevole subordinare il conseguimento dell’assegno sociale al possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, posto che quest’ultimo viene ottenuto solo se si ha un reddito di importo pari all’assegno sociale stesso. Non è infatti detto che lo straniero, una volta conseguito il permesso di soggiorno di lunga durata, che è di regola permanente (art. 8 della direttiva 2003/109/CE), sia poi in grado di preservare le condizioni economiche che glielo hanno consentito. In tali casi, la vocazione solidaristica dell’assegno sociale torna a manifestarsi, in quanto esso soccorre chi, nonostante l’ingresso stabile nella collettività nazionale, sia poi incorso in difficoltà che ne hanno determinato l’indigenza ed è di tutta evidenza che l’assegno sociale, in questi casi, presuppone la perdita di quel reddito la cui esistenza aveva concorso al perfezionamento dei requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo».
30. Ha ritenuto, inoltre, non violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 CEDU, essendo non discriminatorio, per le ragioni enunciate, il criterio adottato quanto alla parificazione dei cittadini stranieri a quelli italiani in una prestazione di welfare sganciata dallo status lavorativo.
31. Continua la sentenza n. 50 cit. : «Come si è detto, l’assegno sociale per chi abbia 65 anni (che dal Io gennaio 2019 spetta a coloro che abbiano raggiunto l’età di 67 anni) è una prestazione sociale riservata a coloro che, privi di reddito adeguato e di pensione, abbiano raggiunto un’età in linea di massima non più idonea alla ricerca di un’attività lavorativa e che mantengano comunque la effettiva residenza in Italia; tale prestazione è pertanto legittimamente riservata ai cittadini italiani, ai cittadini europei e ai cittadini extracomunitari solo se titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo».
32. Infine, il Giudice delle leggi ha ricordato che nella giurisprudenza della Corte costituzionale l’elemento di discrimine basato sulla cittadinanza è stato ritenuto in contrasto con l’art. 3 Cost. e con lo stesso divieto di discriminazione formulato dall’art. 14 CEDU, solo con riguardo a prestazioni destinate al soddisfacimento di bisogni primari e volte alla «garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto» (sentenza n. 187 dei 2010) o comunque destinate alla tutela della salute e al sostentamento connesso all’invalidità (sentenza n. 230 del 2015), di volta in volta con specifico riguardo alla pensione di inabilità, all’assegno di invalidità, all’indennità per ciechi e per sordi e all’indennità di accompagnamento (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 40 del 2013, n. 329 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008) e l’assegno sociale non è equiparabile a tali prestazioni.
33. In conclusione il Giudice delle leggi ha ribadito che il legislatore può legittimamente prevedere specifiche condizioni per il godimento delle prestazioni assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, purché tali condizioni non siano manifestamente irragionevoli né intrinsecamente discriminatorie, com’è appunto nella specie la considerazione dell’inserimento socio-giuridico del cittadino extracomunitario nel contesto nazionale, come certificata dal permesso di soggiorno UE di lungo periodo, al quale l’ordinamento fa conseguire il riconoscimento di peculiari situazioni giuridiche che equiparano il cittadino extracomunitario – a determinati fini – ai cittadini italiani e comunitari (Corte cost n. 50 del 2019 cit.).
34. Va inoltre ribadito, con Cass. n. 1739 del 2016 cit., che la residenza è determinata dalla abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale estrinsecandosi in fatti univoci evidenziane tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass. n. 1739 del 2016 cit. ed ivi i precedenti richiamati nel senso che la stabile permanenza sussiste anche in caso di temporaneo allontanamento sempre che la persona vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali).
35. Nella vicenda ora all’esame del Collegio il giudice del merito ha disapplicato l’art. 80, comma 19, legge n. 388 cit. e, fondando la decisione sulla premessa che della provvidenza non potesse godere il clandestino o comunque colui che ha violato le norme per l’ingresso regolare sul territorio italiano, ha ritenuto imprescindibile, per il cittadino extracomunitario, nella specie titolare di carta di soggiorno a tempo indeterminato, ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, l’iscrizione anagrafica, erroneamente ritenuta, per quanto sin qui detto, requisito costitutivo implicitamente richiesto dalla legge.
36. Rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di censura.
37. La sentenza va, pertanto, cassata e, per essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va rinviata ad altro giudice d’appello, designato in dispositivo, affinché accerti se, al momento della presentazione della domanda amministrativa, sussistevano le condizioni per la concessione della provvidenza richiesta.
38. Alla Corte del rinvio è demandata anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano.
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