CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2020, n. 10572
Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Tributi – Vendita di immobili – Mancata contabilizzazione dei ricavi
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale della Toscana, per quel che ancora qui rileva, accoglieva solo in parte l’appello proposto dalla I.A. s.r.l., società di costruzione posta in liquidazione, che non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pistoia che aveva rigettato i ricorsi, prima riuniti, della contribuente contro i due avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle entrate per l’anno 2002 (uno ai fini Irpeg-Irap e l’altro ai fini Iva), per un maggiore corrispettivo derivante dalla vendita di un immobile a Carmignano, per spese indeducibili per difetto di competenza, per l’omessa contabilizzazione di ricavi per € 92.966,00, risultanti dal confronto con le rimanenze finali del periodo di imposta precedente (2001), oltre che per recupero Iva nella misura del 20% invece che in quella praticata del 10 %.
Il giudice di appello confermava le statuizioni del giudice di prime cure, ad eccezione della riconosciuta deducibilità, in appello, delle spese relative alle attività inerenti l’impianto elettrico. Inoltre, rilevava che era onere della contribuente superare la presunzione che il corrispettivo della cessione corrispondesse al valore venale, valido ai fini dell’imposta di registro. Peraltro, la ricorrente non aveva dimostrato l’effettivo corrispettivo incassato. Quanto alle rimanenze di magazzino, per quel che ancora qui rileva, non risultava provata la contabilizzazione nelle vendite.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, depositando memoria scritta.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3 per violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ed in particolare violazione art. 2495 comma 2 c.c., d.lgs. 17-1-2003, n. 6 art. 4; per nullità della sentenza o del procedimento; 5)per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto gli avvisi di accertamento sono stati notificati alla società in data 24-7- 2007, e ricevuti dal liquidatore G.P.A.,quando la società era già estinta per cancellazione avvenuta il 14-2-2003. Nell’atto di appello la società ha dedotto la nullità degli avvisi di accertamento e delle relative notifiche effettuate alla società dopo che era stata cancellata dal registro delle imprese e, quindi, era estinta. Su tale questione sia la Commissione provinciale, che avrebbe potuto farlo d’ufficio, sia la Commissione regionale non si sono pronunciate. Tuttavia, in un precedente analogo, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c. il difetto di legittimazione attiva del liquidatore, essendo venuto meno, a seguito della estinzione, anche il suo potere rappresentativo, sicché la causa avrebbe dovuto ritenersi insuscettibile di proposizione. Poiché la cancellazione è avvenuta nel 2003, l’estinzione si è prodotta a decorrere dal 1 gennaio 2004 per gli effetti della riforma dell’art. 2495 c.c., introdotta dal d.lgs. 6/2003.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “ai sensi dell’art. 360 c.p.c. 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto, in realtà, la società ha fornito la prova dell’avvenuto pagamento del prezzo dell’immobile, sito in Carmignano, come da estratto conto bancario al 31-5-2002, per la somma di € 49.580,00.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto l’immobile è stato acquistato nel 1998 al prezzo di € 38.734,27, al grezzo, senza pavimenti e privo di rifiniture, mentre solo quattro anni dopo, nel 2002, era stato rivenduto alla E. s.r.l., ancora allo stato grezzo. L’Ufficio del Territorio ha attribuito la rendita catastale quando l’immobile seminterrato non poteva averla perché era privo di tutti i servizi. Non è corretta, quindi, la rideterminazione del valore effettuata solo sulla rendita catastale.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole ella “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare violazione art. 15 d.l. 41 del 23-2-1995, art. 52 comma 4 d.p.r. n. 131/1986, art. 54 d.p.r. 633/1972, art. 39 d.p.r. 600/1973, art. 70 e 73 direttiva 2006/12/CE e art. 35 d.l. 223/06, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. 3; 5) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto l’accertamento basato esclusivamente sul valore derivante dalla rendita catastale è incompatibile con la normativa UE, tanto che la Commissione Europea solleva forti critiche sui metodi italiani di accertamento del valore degli immobili, ed in particolare sul d.l. n. 223/2006.
Occorre, invece, tenere conto dell’importo effettivamente ottenuto dalla vendita sul mercato.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “ai sensi dell’art. 360 c.p.c. 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto, trattandosi di periodo di liquidazione, le rimanenze finali all’esercizio 2001 e iniziali per il periodo di liquidazione, sono state valutate al “prezzo di realizzo”. Le rimanenze iniziali di liquidazione del 2002 sono state caricate all’inizio della stessa al conto dei profitti e delle perdite, sicché la mancata riscossione delle prestazioni di servizi non comportava alcuna rilevazione contabile a carico del conto economico. Quanto alla costruzione di fabbricato sito in Chiazzano, l’importo di € 74.966,0, dopo la contestazione con la committente, era oggetto di rinuncia. Tali fatti non sono stati esaminati dal giudice di appello.
6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “ai sensi dell’art. 360 c.p.c. 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare violazione d.p.r. n. 633/1972 allegata Tabella A, parte terza, punto 127 – quaterdecies; 5) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto l’Agenzia delle entrate ha calcolato l’iva al 20 %, anziché con aliquota al 10 %, spettante a chi appalta la costruzione di una seconda casa di abitazione, come previsto dalla tabella A, parte terza, punto 127, quaterdecies allegata al d.P.R. 633/1972. Su questo specifico motivo di ricorso il giudice di appello non si è pronunciato.
7. Il primo motivo è fondato.
7.1. Invero, gli avvisi di accertamento, ai fini Irpeg-Irap ed Iva, sono stati notificati alla società, in persona dell’ex liquidatore G.P.A. il 24-7- 2007, quando la società era stata già cancellata dal registro delle imprese in data 14-2-2003, con estinzione a decorrere dal 1-1-2004.
Infatti, per questa Corte, a sezioni unite, in tema di società di capitali, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che, modificando l’art. 2495, secondo comma, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione: a tale disposizione, infatti, non può attribuirsi natura interpretativa della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge, con la conseguenza che, non avendo essa efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data (Cass., sez.un., 22 febbraio 2010, n. 4060).
7.2. La circostanza che G.P.A. fosse anche socio della società I.A. s.r.l. non consente, comunque, di ritenere sussistente la legittimazione attiva all’impugnazione da parte della società, in base agli insegnamenti di questa Corte a sezioni unite (Cass., sez.un., 6070/2013). Infatti, sia il ricorso di primo grado che quello in appello sono stati proposti dalla I.A. s.r.l., in persona del liquidatore, e non da G.P.A., in proprio, quale socio, e quindi, in qualche misura, “successore” della società ormai estinta.
7.3. Né l’ex liquidatore era legittimato ad impugnare l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società quando la stessa era già estinta.
7.4.Invero, per quanto concerne la legittimazione del liquidatore ad impugnare l’avviso di accertamento notificato alla società già estinta, solo in un remoto precedente citato dalla società si è affermato che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese ne comporta l’estinzione, con la conseguenza che il ricorso presentato dal liquidatore dell’ente avverso una cartella di pagamento emessa nei confronti della società successivamente alla cancellazione, ancorché per tributi sorti in epoca anteriore alla stessa (nella specie, per IRES e IRAP riguardanti l’anno 2004), è improcedibile per difetto, “ab origine”, di legittimazione attiva, dovendosi ritenere l’ammissibilità del ricorso introduttivo – posto che ad un soggetto che venga attinto da un provvedimento astrattamente pregiudizievole va riconosciuto il diritto di difendersi – esclusivamente ai fini della rilevabilità “ex officio” della nullità della cartella di pagamento in quanto emessa nei confronti di un soggetto ormai inesistente (Cass.,17 dicembre 2013, n. 28187).
7.5.Nelle pronunce successive, invece, cui si intende dare seguito, si è ritenuto che l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venisse instaurato il primo grado di giudizio elimina in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione e comporta, a norma dell’art. 382, comma 3, c.p.c. l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione (Cass., 4853/2015; Cass., 21184/2014; Cass., 22863/2011; Cass., 14266/2006; Cass., 2517/2000).
In altra pronuncia si è statuito che l’impugnazione della cartella di pagamento da parte di un’associazione non riconosciuta già estinta al momento della notifica del precedente avviso di accertamento è improponibile, poiché l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio e nel giudizio legittimità la sentenza di merito impugnata va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382, comma 3, secondo periodo, c.p.c.
Ricorre, dunque, un vizio insanabile originario del processo, che da subito avrebbe dovuto condurre a una pronuncia declinatoria del merito (Cass., 15844/2018; Cass., 5736/2016).
7.6.Inoltre, si rileva che la notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società già estinta può essere effettuato presso la sede sociale, solo se non è decorso un anno dalla cancellazione.
7.7. Invero, per questa Corte (Cass., sez.un., 6070/2013), l’art. 2495 c.c. dispone proprio che la domanda proposta dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci possa essere notificata “entro un anno dalla cancellazione della società” dal registro, presso l’ultima sede della medesima società. Pertanto, il legislatore si è palesemente ispirato al secondo comma dell’art. 303 c.p.c., che consente, entro l’anno dalla morte della parte, di notificare l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto (Cass., 27794/2019). Trattasi di una evidente visione in chiave successoria del meccanismo con cui i soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti insoddisfatti della società estinta. La Corte, quindi, ha superato le perplessità sollevate in dottrina quanto all’idoneità di tale disposizione ad assicurare adeguatamente il diritto di difesa dei soci nei cui confronti la domanda è proposta.
Del resto, anche ai fini della dichiarazione di fallimento, poiché il fallimento può essere dichiarato entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 10 l.f., la notifica del ricorso per il fallimento può essere effettuata nei confronti del liquidatore, anche in via telematica, allo stesso indirizzo di posta elettronica dalla società in precedenza comunicato al registro delle imprese, per la fictio iuris della persistenza della società ancora prima del decorso dell’anno (Cass., 12 gennaio 2017, n. 602; Cass., 13 settembre 2016, n. 17946).
7.8.Si deve, quindi, provvedere alla cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c., perché la causa non poteva essere proposta su iniziativa del liquidatore della società estinta. Trattasi, invero, di un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre a una pronuncia declinatoria di merito.
8.1 restanti motivo sono assorbiti in ragione dell’accoglimento del primo motivo.
9.Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti i restanti; dichiara che la causa non poteva essere proposta; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c.; compensa le spese.
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