CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 luglio 2019, n. 17956
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazioni fiscali – Riscossione – Cartella di pagamento – Istanza di rimborso
Fatti di causa
1. A. De A. ricorre con un unico motivo avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.403 della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, emessa il 24/10/2013, depositata in data 26/11/2013 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia relativa all’impugnativa del silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso dell’Irpef relativa all’anno di imposta 2005 e della cartella di pagamento notificata al contribuente all’esito del controllo automatizzato della dichiarazione.
2. Con la sentenza impugnata, la C. T. R. dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (di seguito C.T.R.), con riferimento al diniego di rimborso, ha ritenuto che “il contribuente, avvedutosi dell’omessa deduzione dei contributi previdenziali dal reddito imponibile relativo al periodo di imposta 2005, avesse l’onere, a pena di decadenza, di produrre dichiarazione integrativa entro il 31 ottobre 2007, ai sensi dell’art.2, comma 8 bis , d.P.R. n. 322/1998”.
Secondo il giudici di appello, la disposizione del citato art.2, comma 8 bis, “si riferisce testualmente alle ipotesi di errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito, o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, ma è suscettibile di venire estesa ai casi di minor debito o del maggior credito (come nella specie)”, stante la eadem ratio, consistente nel consentire l’emendabilità della dichiarazione entro il termine di presentazione della dichiarazione per il periodo di imposta successivo.
3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1. Con l’unico motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n.602/73, 2, comma 8 bis, d.P.R. n. 322/1998, in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che non sia possibile per il contribuente emendare la propria dichiarazione, inficiata da un errore in proprio danno (nella specie, l’omessa indicazione nel quadro RP, rigo RP 19, degli oneri contributivi versati per euro 9.747,00, con conseguente maggiore Irpef per euro 3.890,00), oltre il termine previsto dall’art. 2, comma 8 bis, d.P.R. n.322/1998 per la dichiarazione integrativa.
1.2. Il motivo è fondato e va accolto.
1.3. invero, con la sentenza n. 13378/2016, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato i principi secondo cui “la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n.322/1998. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 D.P.R. n.322/1998 e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 D.P.R. n.602/1973, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”.
Nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite (pag.7, par.26, 27, 28 e 29) si legge che “la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente – secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede- nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano poi l’inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa. Oggetto del contenzioso giurisdizionale è infatti l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. E’ agevole rilevare che, in tal caso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., onde non può escludersi, sulla base dei suesposti principi, il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale. Va quindi condiviso l’orientamento espresso dalla Quinta sezione laddove ha riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato- allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui all’art. 2 cit.. (v. Ord. 21740 del 26/10/2015; Sent. 26198/2014; Ord. 10775 del 25/5/2015, Ord. n. 3754 del 18/02/2014; Sent. n. 2226 del 31/01/2011)”.
Di recente, un’altra pronuncia di questa Corte ha ulteriormente chiarito i limiti all’emendabilità della dichiarazione, enunciando il principio secondo cui “il contribuente, che abbia dichiarato redditi superiori a quelli dovuti, può opporre in sede giudiziale alla pretesa dell’Amministrazione l’erroneità, in fatto o in diritto, della dichiarazione, attesa l’emendabilità della stessa, solo ove non abbia provveduto al pagamento della maggiore imposta, mentre, qualora abbia adempiuto, non può far valere il relativo credito nel giudizio contro l’atto impositivo, in ragione del carattere impugnatorio del processo tributario, potendo, peraltro, esperire le procedure di rimborso, nel rispetto delle modalità e dei termini di decadenza previsti” (Cass. sent. n. 5728/2018).
Nel caso di specie, il contribuente ha dedotto di aver omesso, nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2005, l’indicazione nel quadro RP, rigo RP 19, degli oneri contributivi versati per euro 9.747,00, con conseguente maggiore Irpef per euro 3.890,00 ed addizionale regionale per euro 88,00; il ricorrente, quindi, in data 8/4/2008, ha presentato istanza di rimborso della maggiore imposta versata ed ha impugnato il silenzio rifiuto che si è formato sulla stessa a seguito dell’inerzia dell’Amministrazione.
Il giudice d’appello ha affermato che “l’appellante, anziché presentare la dichiarazione integrativa entro l’indicato termine, con istanza in data 8 aprile 2008 ha chiesto il rimborso della maggiore imposta pagata, così eludendo l’applicazione dell’art.2, comma 8 bis, d.P.R. n.322/1998”.
Il giudice del merito, quindi, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati, in base ai quali avrebbe dovuto esaminare l’istanza di rimborso e valutarne la tempestività e fondatezza, non trovando ostacolo nel fatto che il contribuente avesse presentato la dichiarazione integrativa tardivamente, oltre i termini di cui all’art.2, comma 8 bis, d.P.R. n.322/98.
Sostiene l’Amministrazione che, nel caso in esame, l’istanza di rimborso non era, comunque, ammissibile, poiché la dichiarazione per l’anno 2005 si era chiusa “a credito” per il contribuente; né poteva avere alcun rilievo, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di rimborso, l’avvenuto pagamento della cartella, volta al recupero del minor credito d’imposta dell’anno 2005, derivante dall’aver utilizzato in compensazione un credito di imposta dell’anno 2004 in misura superiore rispetto a quanto dichiarato nel quadro RN.
Ritiene, invece, il Collegio che non possa escludersi, in linea generale ed in conformità con i principi enunciati dalle Sezioni Unite (sent. n. n. 13378/2016, sopra citata), che il contribuente abbia diritto a contestare il provvedimento impositivo, con la possibilità, in sede contenziosa, di opporsi alla pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori od omissioni incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine per la presentazione e la rettifica della dichiarazione fiscale.
L’emersione dei diritti fiscali del contribuente, quindi, può avvenire anche nel caso in cui sia stata emessa una cartella esattoriale a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis d.p.r. n. 600/1973, conformemente a quanto è stato affermato, per il caso di omessa dichiarazione annuale in materia di Iva, dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il fisco può operare, con procedure automatizzate ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione d’imposta riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Sez. U, Sentenza n. 17757 del 08/09/2016; Sez. U, Sentenza n. 17758 del 08/09/2016).
Nel caso di specie, ai fini della valutazione dell’eventuale diritto al rimborso, va considerato l’intero importo corrisposto dal contribuente per l’annualità in contestazione, quale risulta anche a seguito dell’avvenuto pagamento della cartelle esattoriale.
Ciò in quanto il contribuente può comunque dimostrare, mediante la produzione di idonea documentazione, l’effettiva esistenza del diverso credito (derivante dall’omessa deduzione dei contributi dall’imponibile), in tale modo venendosi a trovare nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse presentato correttamente la dichiarazione.
Tale conclusione costituisce un’applicazione del principio più generale, secondo cui “in disparte i casi di decadenza o prescrizione, è da escludere l’assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi diversi, e più gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico (Cass. Sez. U, n. 15063 del 2002), essendo egli titolare di posizioni di diritto soggettivo perfetto verso il fisco (C. cost. n. 178 del 1984) che non possono certo dirsi recessive rispetto alle esigenze erariali di cassa (C. cost. n. 21 e n. 79 del 1961)” (vedi S.U. n. 17757 del 08/09/2016 in motivazione).
La sentenza impugnata, quindi, va cassata, con rinvio alla C.T.R. dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, affinché proceda a nuovo esame del merito, per verificare, adeguatamente motivando sul punto, la tempestività e fondatezza dell’istanza di rimborso della maggiore imposta non dovuta, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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