CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2019, n. 6260
Esposizione lavorativa all’amianto – Risarcimento del danno biologico – Accertamento del medico legale – Nesso causale tra la malattia denunciata e l’esposizione
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Massa, con separate sentenze nn. 337- 376-353-384 e 354 del 2014, aveva accolto le domande proposte da F.D.A., A.B., V.T., M.L. e L.B., già dipendenti della società N.P. spa, tese ad ottenere il risarcimento del danno morale derivato ai ricorrenti dalla esposizione lavorativa all’amianto; inoltre aveva riconosciuto a F.D.A., V.T., M.L. e L.B. il diritto al risarcimento del danno biologico a seguito di accertamento medico legale del nesso causale tra la malattia denunciata e l’esposizione all’amianto e rigettato le analoghe domande del B. perché la c.t.u. aveva negato la presenza di patologie anche solo psichiche derivanti da tale esposizione. Aveva, infine, rigettato le domande di tutti i ricorrenti relative al risarcimento del danno esistenziale perché prive di specifiche allegazioni e di prova.
2. La Corte d’appello di Genova con la sentenza n. 119 del 2015, su appello principale della datrice di lavoro ed incidentale degli ex lavoratori, ha riformato in parte le sentenze impugnate, rigettando le domande di risarcimento del danno morale; ciò dopo aver condiviso quanto ritenuto dal Tribunale in ordine alla affermazione che il danno esistenziale va distinto da quello morale stante la diversità e specificità del pregiudizio realizzato nelle due ipotesi, ma rilevando l’assenza di sufficiente allegazione e prova dell’effettiva sussistenza di tale posta di danno.
3. La Corte ha, in sintesi, ritenuto che: a) doveva escludersi la sussistenza di danno morale da reato (artt. 2059 cod. civ. e 185 c.p.) in ragione del definitivo accertamento della mancanza di lesione della integrità psicofisica dei ricorrenti pur essendo integrata la condotta colposa della datrice di lavoro che aveva violato le regole precauzionali di cui agli artt. 4, 19 e 21 del d.P.R. n. 303 del 1956 e, quindi, l’art. 2087 cod.civ.; b) i ricorrenti si erano limitati a dedurre la sofferenza e, quindi, il danno morale, facendoli derivare tanto dalla consapevolezza di avere lavorato in un ambiente nocivo che dalla malattia e dalla morte dei colleghi di lavoro, ma tale sofferenza, neanche in via di mera allegazione, era stata affermata come concretamente generatrice di effettiva compromissione dei beni primari della persona per cui il danno morale era stato prospettato erroneamente come inevitabile conseguenza della mera violazione del disposto dell’art. 2087 cod.civ.; c) analogamente, quanto alle domande di risarcimento del danno esistenziale, difettavano le necessarie allegazioni, oltre che le prove, dell’effettivo sconvolgimento delle normali abitudini di vita e della perdita di concentrazione e svogliatezza lamentata nei ricorsi, risultando non utili neanche in via di mera presunzione; d) le decisioni del Tribunale relative alle domande di risarcimento del danno biologico laddove integralmente respinte ovvero accolte solo in parte, dovevano essere confermate in piena condivisione con gli accertamenti medico legali espletati in primo grado che erano stati correttamente valutati.
4. F.D.A., A.B., V.T., M.L. e L.B. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi comuni a tutti i ricorrenti ed un terzo relativo alle posizioni di B. e L., al quale ha opposto difese la società N.P. s.p.a con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 32 Cost., degli artt. 2043, 2059, 2087, 2727 cod.civ., dell’art. 5 DPR 27/2009 e dell’art. 1 DPR 181/2009, per aver la Corte d’appello negato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale vantato dai ricorrenti, escludendo la sussistenza sia del danno morale che di quello esistenziale. Si assume che la sentenza impugnata, nel ritenere omessa la allegazione di specifici elementi oggettivi da cui ricavare il peggioramento della propria vita e generici e comunque irrilevanti i capitoli di prova, non ha considerato che: a) le allegazioni contenute in ricorso erano puntuali e concludenti (i dipendenti avevano svolto le loro mansioni per l’intero periodo lavorativo in un ambiente inquinato e la consapevolezza di ciò e l’aver visto morire i numerosi colleghi di lavoro aveva generato incertezza del proprio vivere;b) la apprensione iniziale era degenerata in angoscia ed in prostrazione fisica e morale sia per chi non aveva ancora contratto malattia correlata all’esposizione all’amianto che per T., B., D.A. e L., i quali avevano avuto riconosciuto il danno biologico per aver contratto tale malattia; c) la c.t.u ambientale aveva dimostrato che i lavoratori di N.P. s.p.a. avevano operato in un ambiente altamente inquinato;d) la condotta del datore di lavoro aveva prodotto una lesione dei diritti costituzionalmente garantiti dagli articoli 3, 4, 32, 38 e 41 della Costituzione ovvero dall’insieme delle norme che tutelavano la personalità non solo fisica ma anche morale del lavoratore e le allegazioni dimostravano il danno attraverso presunzioni semplici; e) la Corte di merito nel rilevare la mancata allegazione di una malattia psichica aveva operato una indebita sovrapposizione tra danno biologico e danni morale ed esistenziale ritenendo la mancanza di prova del danno morale e del danno esistenziale per la mancata allegazione di circostanze obiettive, dotate di un sufficiente grado di specificità, sintomatiche del danno .
2. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2087, 2059 e 2697 cod.civ. quanto al mancato riconoscimento del danno biologico per avere la Corte omesso di considerare che la rilevanza causale esclusiva dell’esposizione all’aminato e ad analoghi fattori morbigeni (fumi, polveri etc..) era stata provata e documentata così come l’esistenza delle malattie indicate e provate attraverso certificai medici e violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. sempre con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. Si sostiene che la sentenza non ha esaminato le specifiche critiche formulate alla c.t.u. quanto alla valutazione delle certificazioni mediche attestanti la presenza di patologie rilevanti e viene riportato stralcio dell’appello incidentale proposto dal B. e dal L..
3. Con il terzo motivo, relativo ai solo B. e L., si denuncia la violazione degli artt. 2087, 2059, per il mancato riconoscimento del danno biologico, e 2697 cod. civ. con riferimento all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ. in relazione al travisamento delle risultanze processuali provate e documentate attraverso certificazioni o refertazioni di ASL o INAIL attestanti le malattie per cui l’informazione probatoria del Ctu medico legale risulterebbe inconciliabile con l’evidenza documentale.
3. Il primo motivo è infondato.
Le questioni poste sono state già esaminate da questa Corte di cassazione sia con la sentenza n. 27324 del 17 novembre 2017 che dalle più recenti ordinanze nn. 32663, 31784, 31785, 31786, 31787, 31788, 31789, 31789, 31790 e 31791 del 2018.
Tali precedenti, a cui si intende dare continuità, hanno respinto analoghi ricorsi proposti da altri numerosi lavoratori della società odierna contro ricorrente, sulla base delle seguenti osservazioni:
a) le Sezioni Unite dell’11 novembre 2008 n. 26972, nel definire la consistenza e le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale, dopo avere chiarito che, al di fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge, il danno non patrimoniale è risarcibile unicamente se derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, ha respinto tanto la tesi che identifica il danno nella lesione stessa del diritto (danno- evento) che la variante costituta dalla affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa; inoltre, si è osservato che entrambe le tesi snaturerebbero la funzione del risarcimento in quella di una pena privata per un comportamento lesivo;
b) riguardo ai mezzi di prova del danno, le Sezioni Unite hanno precisato che mentre per il danno biologico comunemente si ricorre all’accertamento medico legale, per il pregiudizio non-biologico, in quanto relativo a beni immateriali, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo; a tale rilievo non va disgiunto, però, il principio che «il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto» (punto 4.10 sent. cit.);
c) nel caso di specie, la Corte territoriale non ha negato la rilevanza, ai fini della prova del danno non-biologico, delle presunzioni ma ha affermato che nella concreta fattispecie di causa non erano stati allegati elementi obiettivi, dotati di un sufficiente grado di specificità, sulla base dei quali risalire alla sofferenza ed al cambiamento delle abitudini di vita derivati dalla consapevolezza della esposizione lavorativa ad agenti nocivi;
d) il ragionamento della Corte di merito, che ha evidenziato che la mancata allegazione di elementi obiettivi specifici impediva di inferire la prova per presunzioni, appare, pertanto, corretto in punto di diritto; tra le possibili circostanze indizianti, la cui allegazione ha ritenuto carente, la sentenza impugnata ha effettivamente indicato, come il ricorrente lamenta, le malattie psicosomatiche – che hanno autonoma valenza di danno risarcibile per violazione dell’articolo 32 C. piuttosto che rilievo indiziante – ma trattasi di un richiamo meramente esemplificativo e contenuto in un passaggio della motivazione (pagine 11-12 della sentenza impugnata) in cui la Corte di merito in premessa ha correttamente ribadito il principio della risarcibilità del danno morale soggettivo anche in mancanza di una lesione della integrità psicofisica;
e) la decisione risulta, dunque, corretta e fondata in punto di diritto, mentre, il giudizio di fatto circa la genericità delle allegazioni e dei capitoli di prova ed il mancato raggiungimento della prova è impugnabile in questa sede unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione ovvero con la allegazione di un fatto specifico non esaminato nella sentenza impugnata, cosa non avvenuta nel caso di specie.
4. Va, infatti, considerato che nel caso di specie si deduce che il giudice non abbia proceduto all’applicazione di un ragionamento presuntivo che invece risultava giustificato secondo i paradigmi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., posto che nel materiale istruttorio erano presenti i fatti noti costituiti dalla conoscenza di aver lavorato in ambiente inquinato e dalla consapevolezza che la malattia e la morte di numerosi colleghi derivavano da tale ambiente, che avrebbero dovuto giustificare la positiva valutazione del generarsi del danno morale.
5. Questa Corte di legittimità (Cass. n. 17720 del 2018) ha rilevato che, in tale ipotesi, non è possibile denunciare il vizio di violazione dell’art. 2729 cod. civ., posto che l’eventuale vizio della sentenza andrebbe denunciato esclusivamente attraverso il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. articolandolo nei termini e con i requisiti indicati dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 per la deduzione del vizio di cui a detta norma. Dunque, il fatto secondario non deve essere stato esaminato, cioè fatto oggetto di argomentazioni e considerazioni nella motivazione dal giudice di merito ed il suo omesso esame deve risultare decisivo, cioè tale che, se fosse stato considerato, l’esito della controversia sarebbe stato diverso. Quindi, sotto tale profilo, deve emergere che il fatto ignoto alla cui conoscenza si sarebbe pervenuti sarebbe stato decisivo per una diversa soluzione della lite.
6. Tali condizioni, a prescindere dalla corretta enunciazione del motivo di ricorso, non ricorrono nel caso di specie poiché nessun fatto secondario decisivo è stato allegato e non esaminato dalla Corte territoriale.
7. Il secondo ed il terzo motivo, connessi e dunque da trattare congiuntamente, sono pure infondati. Le censure – seppure articolate sub specie di violazione di norme e travisamento di risultanze processuali ex articolo 360 nn. 3 e n. 4 cod. proc. civ. – nei contenuti contesta l’accertamento di merito, compiuto in sentenza, in adesione alle conclusioni del c.t.u, circa il quadro patologico e la dipendenza di alcune malattie dei lavoratori dalla esposizione lavorativa.
8. Tale accertamento è censurabile in questa sede unicamente con la deduzione di un vizio di motivazione ex articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. la cui deducibilità è, tuttavia, esclusa, ai sensi dell’articolo 348 ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ. dalla pronuncia conforme, in ordine alle domande di riconoscimento e misura del danno biologico, resa nei due gradi di merito. La mancata adesione del giudicante ai rilievi critici del consulente di parte non consente, infatti, di configurare l’assunto errore di diritto.
9. In definitiva, il ricorso va rigettato.
10. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore della controricorrente. Va dato atto, altresì, della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, per ciascuno, in Euro 4000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
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