CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2020, n. 6101
Proclamazione degli eletti in qualità di RSU – Invalidità della procedura di elezione delle R.S.U. – Mancato raggiungimento del quorum – Accordo Interconfederale 20.12.1993
Fatti di causa
1. con sentenza n. 898 del 9.12.2014 la Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di prime cure, ha escluso valenza antisindacale alla comunicazione – effettuata dalla società M. s.p.a. alla Federazione Lavoratori Agroindustria-FLAI CGIL Torino successivamente alla proclamazione degli eletti in qualità di RSU – di invalidità della procedura di elezione delle R.S.U. per mancato raggiungimento del quorum (“più della metà dei lavoratori aventi diritto al voto”) dettato dall’art. 2 dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993;
2. avverso l’anzidetta sentenza, FLAI CGIL Torino ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi illustrati da memoria;
3. la società ha resistito con controricorso;
Ragioni della decisione
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 19 e 20 dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato il comma 2 dell’art. 19 cit. che detta le modalità di ricorso avverso i risultati degli scrutini, modalità da ritenersi esclusive, con il conseguente consolidamento definitivo della proclamazione dei risultati in caso di mancata proposizione di dette modalità e, conseguentemente, l’impossibilità di disconoscerli/contestarli con altre modalità.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 dell’Accordo Interconfederale 20.12.1993 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto che la possibilità, della Commissione elettorale, di derogare la disposizione posta in materia di quorum debba essere effettuata esplicitamente e non possa, invece, ricavarsi anche implicitamente dall’atto di validazione del risultato elettorale.
3. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
L’art. 19 dell’Accordo Interconfederale prevede gli strumenti di impugnazione utilizzabili in caso di contestazione dei “risultati” dello scrutinio elettorali, ai quali il datore di lavoro è – come evidenziato dallo stesso ricorrente – totalmente estraneo (non essendo prevista alcuna ingerenza dell’azienda in tutto l’iter elettivo, dalla presentazione dei candidati, alla formazione delle liste elettorali, alla composizione della Commissione elettorale, alla designazione degli scrutatori e del seggio elettorale, alle modalità di affissione delle liste e della preparazione delle schede elettorali, alle modalità di tempo e di luogo della votazione e dello scrutinio, sino al delicato momento dell’attribuzione dei seggi ossia della proclamazione dei risultati). Il tenore lessicale della suddetta disposizione, da leggersi in combinato disposto con tutte le clausole negoziali precedenti (che evidenziano gli attori di tutta la procedura elettiva), fa chiaramente intendere che la disposizione delinea la modalità di reazione da utilizzare in caso di criticità attinenti all’iter elettorale, e, pertanto, si rivolge ai protagonisti di tale iter (associazioni sindacali che possono presentare le liste nonché candidati, art. 4 dell’Accordo; lavoratori che compongono l’elettorato attivo e passivo, art. 3 del medesimo Accordo) e concerne gli snodi in cui è articolata tutta la procedura; tra questi protagonisti non è inclusa l’azienda, che, infatti, non partecipa in alcun modo alla procedura elettiva.
Correttamente la Corte distrettuale ha evidenziato che “Questo è il quadro normativo in relazione al quale il Tribunale ha condivisibilmente affermato, tra l’altro, che rispetto alle finalità di consentire la massima partecipazione delle associazioni sindacali (art. 2, co. 1) ed offrire agli elettori uno strumento di democratica individuazione dei proprio rappresentanti, il datore di lavoro è mero spettatore onerato di comunicare l’elenco degli aventi diritto al voto, di concordare luogo e calendario delle votazioni (artt. 12, 22) ed è ovviamente tenuto a riconoscere le prerogative sindacali, mentre gli è precluso ogni intervento nelle operazioni di voto essendo estraneo a tale consultazione e mero destinatario della proclamazione degli eletti, non potendo certamente sindacare le candidature, ingerirsi nella presentazione delle liste o sul merito delle decisioni della Commissione elettorale sui ricorsi presentati da altri soggetti” (pagg. 7-8 sentenza impugnata).
Il motivo, pertanto, così come formulato non è accoglibile.
4. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, difettando la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha affermato il divieto di deroga implicita al criterio della partecipazione alle operazioni elettorali del 50% + 1 dei lavoratori aventi diritto al voto (quorum di partecipazione), ma ha precisato che dal verbale redatto dalla Commissione elettorale non emergeva alcun intento di esercitare la facoltà di deroga riconosciuta dall’art. 2, terzo comma, della Parte seconda, dell’Accordo Interconfederale “quanto piuttosto considerazioni che presuppongono una disposizione contrattuale difforme rispetto a quella vigente”.
Il motivo tende a censurare la interpretazione data dalla Corte territoriale al verbale redatto dalla Commissione elettorale (nella persona dell’unico componente) e relativo alla chiusura delle operazioni elettorali. Il motivo è inammissibile perché non impugna (né individua) la regola di ermeneutica contrattuale violata dal giudice del merito e conseguentemente non indica le ragioni per le quali da detta regola quest’ultimo si sarebbe discostato.
5. Il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
6. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’art. 13 comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’art. 13 comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
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