CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2022, n. 7268
Licenziamento disciplinare – Falsa attestazione di trasferte – Abuso nell’utilizzazione della carta di credito aziendale – Canoni di correttezza e buona – Valutazione probatoria giudiziale
Fatto
1. Con sentenza 22 febbraio 2019, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo di L.M. avverso la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare con decorrenza dal 4 novembre 2016 intimatogli da F.C.A. I. s.p.a. sulla base della lettera di contestazione del 4 novembre 2016.
2. Essa condivideva la valutazione del Tribunale, in riferimento alla ricorrenza della giusta causa del licenziamento, adeguatamente motivato sulla scorta della lettera di contestazione e delle giustificazioni del lavoratore, in merito alla comprovata commissione degli addebiti di falsa attestazione di trasferte e di abuso nell’utilizzazione della carta di credito aziendale.
3. Con atto notificato il 18 aprile 2019, il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui la società resisteva con controricorso.
5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale la mancata rilevazione della condotta datoriale in termini di inadempimento scriminante, non avendo la Corte territoriale valutato le due circostanze decisive dell’impegno della società al rimborso delle spese anticipate in termini prestabiliti e per essere dipesa la sopravvenuta complessità della procedura di rimborso da una scelta aziendale unilaterale.
2. Esso è inammissibile.
3. Non si configura il vizio di motivazione denunciato, ricorrendo nel caso di specie un’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, non avendo il ricorrente in cassazione, come avrebbe dovuto per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994).
4. In ogni caso, neppure l’omissione denunciata verte su un fatto storico (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), consistendo piuttosto nella critica di una valutazione di circostanze, che la Corte territoriale ha peraltro compiuto, anche per relationem al Tribunale di cui ha condiviso pienamente la valutazione, con adeguati, ancorché concisi, passaggi argomentativi (all’ultimo capoverso di pg. 6 e all’ultimo di pg. 8, anche in riferimento al p.to 1. e all’ultimo capoverso d pg. 4, nonché al primo capoverso di pg. 5 e al primo periodo di pg. 6 della sentenza).
4.1. Il giudice del gravame ha così dato conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione, in modo che dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass. 5 novembre 2018, n. 28139; Cass. 5 agosto 2019, n. 20883), così risultando una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame (Cass. 3 febbraio 2021, n. 2397).
5. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2 l. 604/1966, 2119 c.c., 1460 c.c., 1175, 1375 c.c., 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto ingiustificati i prelievi addebitati, senza osservare i canoni di correttezza e buona fede: non reputando poi detti prelievi scriminati dall’eccezione di inadempimento della società nel ritardo dei rimborsi, così ingiustificatamente assumendo un’appropriazione indebita del lavoratore inesistente, essendosi piuttosto trattato di una modalità di gestione di reciproche partite debitorie e creditorie, in assenza di saldi passivi.
6. Esso è infondato.
7. Giova subito ribadire che una corretta applicazione dell’eccezione prevista dall’art. 1460 c.c. postula la sua legittima opponibilità nel caso in cui il rifiuto di adempimento, oltre a trovare concreta giustificazione nei legami di corrispettività e interdipendenza tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, non sia contrario a buona fede (nell’insufficienza del solo inadempimento datoriale: Cass. 11 maggio 2018, n. 11408; Cass. 13 agosto 2019, n. 21391): ossia non determinato da motivi che non corrispondano alle finalità per le quali esso è concesso dalla legge, come quando l’eccezione sia invocata, non già per stimolare la controparte all’adempimento, ma per mascherare la propria inadempienza (Cass. 3 novembre 2010, n. 22353; Cass. 15 novembre 2017, n. 26973).
7.1. E la Corte territoriale ha qui espressamente escluso la buona fede del lavoratore, in quanto consapevole della violazione (dal terzo al quinto alinea di pg. 7 e dal quinto al settimo alinea di pg. 9 della sentenza), richiamando anche precedenti di legittimità, con un apprezzamento in fatto del comportamento del medesimo insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente argomentato (Cass. 8 febbraio 2018, n. 3117).
8. Non si configura allora la violazione di norme di diritto solo apparentemente denunciata, in quanto non integrata dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; posto che, nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., qui non ricorrente.
9. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione degli art. 5 l. 604/1966, 115 c.p.c. e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2729 c.c., avendo la Corte d’appello invertito l’onere della prova, a carico datoriale, in ordine alle false dichiarazioni al sistema telematico per la rilevazione delle presenze (S.) e alle ore di viaggio effettuate (secondo e terzo addebito), così erroneamente essa utilizzando un indizio non univoco, senza considerare l’allegazione del lavoratore, né valutando correttamente la prova orale.
10. Esso è inammissibile.
11. Nel caso di specie, non sussiste inversione dell’onere della prova, quanto piuttosto una contestazione da parte del lavoratore della valutazione probatoria giudiziale, congruamente argomentata (in particolare al p.to 2. di pg. 7 e al p.to 3. di pg. 8 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 13 gennaio 2020, n. 331).
12. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale la mancata considerazione della allegazione del lavoratore, neppure contestata, di un anomalo funzionamento del sistema S.
13. Anch’esso è inammissibile.
14. Come per il primo motivo, non si configura il vizio di motivazione denunciato, per effetto della novellazione del testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), per la ricorrenza nel caso di specie di ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis.
15. Con il quinto, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di statuire sull’eccepita tardività della contestazione disciplinare, oggetto di uno specifico motivo di reclamo (violazione dell’art. 7 l. 300/1970), avendo il Tribunale assunto a fondamento della tempestività della contestazione la complessità del sistema di riscontro aziendale, eventualmente valevole per le pratiche di rimborso, ma non per le assenze dal lavoro, immediatamente rilevabili, in assenza nella lettera di contestazione di riferimenti all’esigenza di tempi così prolungati di accertamento di fatti avvenuti tra giugno e agosto 2016 e la contestazione a novembre 2016.
16. Esso è infondato.
17. Al di là dell’erronea deduzione di un vizio motivo per denunciare un’omessa pronuncia su un’eccezione, quale quella di tardività della contestazione, integrante error in procedendo, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia (della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero) del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (Cass. 18 giugno 2014, n. 13866; Cass. 5 marzo 2021, n. 6150), la violazione denunciata non sussiste.
17.1. La Corte territoriale ha infatti implicitamente rigettato l’eccezione di tardività (Cass. 21 ottobre 1972, n. 3190; Cass. 2 aprile 2020, n. 7662), avendo pronunciato nel merito degli addebiti contestati e dato esplicito atto del suo rigetto dal Tribunale (ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza) e della sua reiterazione dal lavoratore con il reclamo (primo periodo di pg. 6 della sentenza).
18. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce infine violazione degli artt. 18 l. 300/1970, 33 Titolo III CCSL, per inadeguatezza o difetto di proporzionalità della sanzione.
19. Esso è inammissibile.
20. È noto che la valutazione di proporzionalità della sanzione inflitta, implicando la considerazione di ogni aspetto concreto della vicenda, spetti al giudice di merito, con giudizio che, qualora sia sorretto da una motivazione adeguata e logica, come nel caso di specie, per la ribadita integrazione degli addebiti di una giusta causa di licenziamento (dal secondo al quinto alinea di pg. 9 della sentenza), è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 16 aprile 2018, n. 9396; Cass. 17 ottobre 2018, n. 26010; Cass. 20 maggio 2019, n. 13534).
21. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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