CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 novembre 2019, n. 28295
Lavoro – Nullità della clausola di apposizione del termine – Conversione a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. P.A. era stato dipendente a tempo determinato della società T.P. S.p.A. dal 20 settembre 2002 al 30 novembre 2005. Il Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 23 aprile 2010 dichiarava la nullità della clausola di apposizione del termine, la conversione a tempo indeterminato del rapporto fino dal 20 settembre 2002 e la conseguente prosecuzione senza soluzione di continuità del medesimo rapporto di lavoro con inquadramento nel VI livello del CCNL del commercio, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni a far data dal 10 giugno 2006 (data della costituzione in mora).
2. In data 30 giugno 2010 l’A. stipulava una transazione con la società già datrice di lavoro nella quale, a fronte della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in pari data, la società si impegnava a regolarizzare la sua posizione previdenziale ed a pagare la somma di € 45.000,00 a definizione della controversia.
3. L’Inps a seguito dell’avvenuta regolarizzazione contributiva per l’intero periodo lavorativo, con comunicazione dell’8 ottobre 2010 contestava la natura indebita della somma di € 16.511,21 percepita titolo di indennità di disoccupazione nel periodo dal 1.1.2005 al 1.1.2009 e ne chiedeva la restituzione.
4. P.A. adiva il Tribunale di Ascoli Piceno al fine di ottenere l’accertamento negativo della fondatezza della pretesa restitutoria dell’Inps.
5. La Corte d’ appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale che aveva accolto il ricorso dell’A., ritenendo dovuto il trattamento di disoccupazione.
6. La Corte argomentava che nel periodo di riferimento l’A. non era mai stato reintegrato nel posto di lavoro e neppure aveva ricevuto spettanze retributive, ricevendo soltanto l’importo stabilito in transazione a titolo di danno non patrimoniale, sicché sussistevano i requisiti per la richiesta disoccupazione.
7. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui P.A. ha resistito con controricorso.
8. L’Inps ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
9. La difesa del controricorrente ha preliminarmente eccepito la nullità del ricorso per cassazione per carenza della procura speciale nella copia notificata, essendo quella ivi apposta a margine priva della sottoscrizione del legale rappresentante dell’istituto e per autentica del difensore.
10. L’eccezione non è fondata.
L’orientamento di legittimità può dirsi in proposito ormai consolidato nel senso che: “qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purché la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (v. da ultimo Cass. n. 1981 del 26/01/2018 e precedenti conformi ivi richiamati).
11. Nel caso di specie, risulta dall’esame degli atti che la copia notificata del ricorso reca a margine la procura speciale rilasciata al difensore – pur mancante della riproduzione delle sottoscrizioni – nonché in calce la sottoscrizione del difensore medesimo, le firme sono regolarmente apposte nell’originale del ricorso e dall’attestazione sulla ricevuta sottoscritta dall’ufficiale giudiziario risulta che il ricorso è stato presentato per la notifica dal difensore cui il mandato speciale è stato conferito. Non vi è pertanto motivo di dubitare che il ricorso notificato provenisse dal difensore già munito di mandato speciale.
12. A fondamento del ricorso l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 45 III comma del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito con modificazioni nella I. 6 aprile 1936 n. 1155 vigente ratione temporis, con riferimento agli articoli 2033 e 1372 c.c. Sostiene che la soluzione adottata dalla Corte d’appello marchigiana si porrebbe in contrasto con i principi normativi e giurisprudenziali in tema di indennità ordinaria di disoccupazione e con quelli afferenti all’efficacia (dichiarativa, ex tunc) della conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a seguito dell’illegittima apposizione del termine; sostiene che l’accertamento giudiziale circa la sussistenza di un valido rapporto di lavoro a tempo indeterminato per lo stesso periodo escluderebbe lo stato di disoccupazione, con conseguente indebita erogazione del relativo trattamento.
13. Il ricorso non è fondato.
A mente dell’art. 45 del R.D.L. 04/10/1935, n. 1827, l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di un’indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro. Occorre dunque che sussista in esito alla perdita del lavoro uno stato di disoccupazione, per tale intendendosi, secondo la previsione dell’art. 1, comma 1, lettera c) del d.lgs n. 181 del 2000, applicabile ratione temporis, “la condizione del soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità definite con i servizi competenti”.
14. L’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103). La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell’art. 38 II comma della Costituzione.
15. Tale presupposto si verifica anche nel caso di scadenza del termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non deriva da iniziativa del lavoratore.
16. E’ stato altresì chiarito che la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione “non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo”, mentre “l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell’atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento” (v. anche Cass. 11. 6.1998 n. 5850, Cass. n. 4040 del 27/06/1980).
17. Solo “una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione” le indennità di disoccupazione “potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti”, così non potendo, peraltro, le stesse “essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18” (v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n. 9418 del 20/4/2007).
18. A tali assunti deve darsi continuità anche in relazione al caso in esame, in cui all’esito della scadenza del termine contrattuale si è determinata una situazione di disoccupazione del lavoratore, non ostandovi il fatto che in presenza di una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del detto termine contrattuale e di conversione del rapporto a tempo indeterminato ex tunc, sia intervenuta tra le parti una transazione prevedente la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la regolarizzazione previdenziale e l’erogazione di un importo a titolo di danno non patrimoniale.
19. Deve premettersi che l’Inps, sul presupposto dell’inopponibilità all’istituto della transazione intervenuta tra le parti in ordine agli effetti della risoluzione del rapporto per scadenza del termine, non discute in causa in ordine alle ripercussioni del contenuto dell’accordo transattivo, ma valorizza ai fini dell’esclusione di una situazione di disoccupazione involontaria (e dunque della spettanza della relativa indennità) la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno del 23 aprile 2010 il cui contenuto è stato riferito nello storico di lite, nonché del comportamento del lavoratore che colpevolmente non l’avrebbe posta in esecuzione.
20. Deve in proposito rilevarsi in primo luogo che l’impugnazione giudiziale della legittimità del recesso datoriale costituisce un diritto, ma non un obbligo del lavoratore, e che l’intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi alla stregua e al momento dell’atto risolutivo. Diversamente opinando, non spetterebbe l’indennità di disoccupazione ogni qual volta il lavoratore omettesse di impugnare un licenziamento che pur si presentasse manifestamente illegittimo oppure ogni qual volta transigesse la lite prima ancora della (possibile) sentenza di reintegra.
21. Neppure può ritenersi idonea ad escludere l’indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l’effettività della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege.
22. In coerenza con tali premesse, deve aggiungersi – in dissenso rispetto alla soluzione adottata da questa Corte negli arresti n. 9109 e 9418 del 2007, resi all’esito della stessa udienza e relativi a medesima vicenda, in cui è stata esclusa la spettanza dell’indennità speciale di disoccupazione prevista dalla L. n. 1115 del 1968 per alcuni lavoratori che avevano ottenuto la declaratoria d’invalidità del licenziamento e l’ordine di reintegra ex art. 18 della l. n. 300 del 1970 – che neppure rileva in senso ostativo alla percezione dell’indennità in discussione un’eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un’esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell’evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all’art. 1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d’una prestazione assistenziale prevista per legge. Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe) circa le ragioni e l’imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l’esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali.
23. Invero, la causa della disoccupazione resta l’atto risolutivo del rapporto, non la mancata strenua opposizione ad esso (che è un post factum, in quanto tale eziologicamente ininfluente).
24. Anche qualora sia stata resa in sede di impugnativa del termine contrattuale una sentenza di conversione ex tunc del rapporto di lavoro, elemento ostativo alla percezione dell’indennità di disoccupazione sarebbe dunque l’effettiva ricostituzione del rapporto, nei suoi aspetti giuridici ed economici, che nel caso non si è realizzata, atteso che la sentenza oggi impugnata ha accertato che il lavoratore non è mai stato reintegrato e che per il periodo in contestazione non ha ricevuto le proprie spettanze retributive.
25. Sulla base di tali premesse risulta ininfluente il sopravvenire, nelle more della lite avente ad oggetto l’impugnativa del termine contrattuale, dell’art. 32 co. 5° della l. n. 183 del 2010, c.d. Collegato Lavoro, che – al più – può aver pesato sulla trattativa che ha preceduto la conciliazione in sede sindacale, ma che non ha inciso sulla (in)volontarietà dello stato di disoccupazione, né sulla materiale percezione di retribuzioni.
26. Segue il rigetto del ricorso.
27. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
28. L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.