CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2018, n. 24361
Rapporto di lavoro – Responsabile della logistica – Lettera di assunzione – Periodo di prova – Mancanza di pattuizione scritta – CCNL
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 797/17 del 13.1.2017, questa Corte, per quel che rileva nella presente sede, rigettava i motivi del ricorso incidentale proposti dalla s.r.l. S. avverso la decisione della Corte di appello di Roma, che, in parziale accoglimento del gravame, aveva dichiarato nullo il patto di prova intercorso tra la società e S. Andrea e condannato la società a pagare al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso e le differenze retributive concernenti il mese di ottobre 2006, confermando la reiezione della domanda di indennità supplementare di cui all’art. 30 c.c.n.I. dirigenti del settore commercio.
2. La Corte di cassazione rilevava l’Infondatezza dei motivi dell’impugnazione incidentale, contenenti la denuncia di violazione dell’art. 1321 c.c. in relazione all’art. 2096, co. 1, c.c., sul rilevo che la sentenza impugnata aveva trascurato che, con l’indicazione dell’assunzione dello S. quale responsabile della logistica, era stato sufficientemente soddisfatto per relationem il requisito della forma scritta del patto di prova, e la denuncia di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo. In particolare, all’esito dell’esame congiunto delle censure, la Corte osservava che la sentenza impugnata aveva accertato che il CCNL richiamato nella lettera di assunzione non prevedeva affatto né la necessità di un periodo di prova (la cui pattuizione era prevista come meramente eventuale) né la sua durata e che la forma scritta non poteva ravvisarsi in base alla mera proposta contrattuale scritta proveniente al ricorrente principale nel momento in cui questi si era proposto per l’assunzione come responsabile della logistica, poiché ciò non implicava nessuna indefettibile pattuizione d’un periodo di prova, né una sua determinata durata. Aggiungeva che ogni ulteriore deduzione fatta valere nel ricorso incidentale e nelle osservazioni ex art. 379 ult co. c.p.c. circa la sufficienza a tal fine del riferimento all’incarico di responsabile della logistica, oltre a non smentire la accertata mancanza di pattuizione scritta del patto, finiva con lo scivolare sul piano dell’apprezzamento di merito estraneo al giudizio di legittimità.
3. Venivano, invece, accolti il primo ed il quarto motivo del ricorso principale dello S. in ordine alla ritenuta esistenza della giustificatezza del recesso della società e, cassata la decisione in parte qua, la causa era rimessa alla Corte d’appello di Roma per la sola quantificazione dell’indennità supplementare.
4. Di tale decisione domanda la revocazione la società S. a r.l. assumendo che la stessa sia fondata sulla supposizione, dovuta sostanzialmente ad una svista, della inesistenza nella lettera di assunzione in data 27.3.2006 di una clausola contenente un patto di prova, circostanza risultante come smentita, per tabulas, dalla semplice lettura della lettera stessa e dal non avere costituito la stessa un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata. Riporta il contenuto della lettera di assunzione laddove era espressamente previsto che il rapporto di lavoro si intendeva costituito a tempo indeterminato “dopo il periodo di prova contrattuale”. Sostiene la società che nel giudizio di cassazione la materia controversa sottoposta all’esame della Corte aveva ad oggetto la validità o meno del patto di prova, quanto a specificazione delle mansioni e durata, e non già l’esistenza o meno di un patto di prova scritta, avendo il giudice del gravame ritenuto come consentita l’ammissibilità del rinvio per relationem solo per l’ipotesi di esplicito riferimento ad altro atto scritto, espressamente individuato nel contratto il cui contenuto fosse tale da consentire l’integrazione in termini oggettivi e predeterminati del regolamento negoziale.
5. La società sottolinea di avere nel ricorso rilevato che l’annuncio di ricerca del personale, le indicazioni contenute nella lettera dello S. in data 20.2.2006, avente sostanzialmente il valore di proposta contrattuale, ed il contenuto del successivo colloquio preassuntivo, ove si era parlato del contenuto dell’incarico di responsabile della logistica, erano erroneamente stati considerati come non idonei ad integrare il contenuto della lettera d’assunzione. Ribadisce che pertanto nessuna delle doglianze aveva mai riguardato neppure indirettamente la sussistenza o meno di un patto di prova scritto, muovendo, anzi, le stesse dal presupposto della sua esistenza.
6. Al ricorso resiste lo S. con controricorso.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è inammissibile, non denunciando un errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, il quale, secondo consolidata giurisprudenza, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; sicché detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione.
2. In particolare, resta fuori dell’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (Cass. 14 aprile 2017, n. 9673 e la più recente Cass., Sez. U., 27 dicembre 2017, n. 30994).
3. Così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per l’erronea comprensione del contenuto giuridico-concettuale delle difese (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198) e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti (Cass. 10 giugno 2009, n. 13367 ovvero per l’errato apprezzamento di un motivo di ricorso (Cass. 15 giugno 2017, n. 14937).
4. La combinazione dell’art. 391 bis e dell’art. 395 n. 4) cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione il presunto errore di diritto sostanziale o processuale e il presunto errore di giudizio o di valutazione e comunque rende inammissibile un ricorso che sia fondato sulla mancata considerazione di un fatto che tuttavia non si riveli decisivo.
5. Nella specie il fatto che si suppone ritenuto, per errore di fatto, inesistente, ossia la clausola contenente un patto di prova nella lettera di assunzione in data 27.3.2006, in realtà non è stato individuato correttamente dalla società che agisce in revocazione, posto che è da escludere che la Corte abbia negato tale esistenza o presupposto l’inesistenza della clausola, avendo piuttosto affermato che la esistenza di patto scritto dovesse essere valutata anche con riferimento al completamento dello stesso patto attraverso ulteriori pattuizioni scritte (intese a delinearne l’esatta portata), che non potevano essere ravvisate nella proposta contrattuale scritta proveniente dallo S., la quale non conteneva alcun riferimento sia ad un periodo di prova, che ad una sua durata determinata.
6. Peraltro, e in maniera dirimente, deve ritenersi idonea ad escludere la configurabilità di un errore revocatorio la mancanza di decisività della circostanza indicata, in quanto, anche ove ritenuta la sussistenza di pattuizione scritta del patto (circostanza, come sopra detto, non negata se non nei sensi indicati), non potrebbe derivarne automaticamente la diversità della decisione assunta dalla Corte, essendo necessario, per quanto ammesso dalla stessa società, valutare, comunque, se l’indicazione delle mansioni e del termine fosse nello specifico sufficiente ai fini considerati. Ciò in quanto, posto che la causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro, per evitare la sua illegittimità, per incoerenza con la suddetta causa, è necessario che esso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi.
7. Deve, pertanto, pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ.;
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano in dispositivo.
9. Non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente per responsabilità aggravata, come richiesto dallo S. con richiamo a Cass. 20.1.2018 n. 2040, posto che la fattispecie quale descritta non consente di ritenere che la società non abbia osservato un grado minimo di diligenza nel proporre il mezzo di impugnazione, del quale non può sostenersi che potesse facilmente essere avvertita l’inammissibilità.
10. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il conte al pagamento delle spese del presente giudizio di revocazione, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
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