CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 settembre 2018, n. 21633
Licenziamento collettivo – Anzianità di servizio maturata alla luce di precedente accordo conciliativo stipulato tra le parti – Interpretazione delle disposizioni di un contratto individuale costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice di merito – Ricorso inammissibile
Fatti di causa
1. Con sentenza del 22.12.2015, la Corte d’appello di Milano, ha respinto il reclamo proposto ex art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012 da S. C. avverso la sentenza con cui il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato legittimo il licenziamento collettivo intimato da Istituti di Vigilanza R. d. s.p.a. (IVRI) il 18.3.2014.
2. La Corte, in particolare, riteneva che l’anzianità di servizio del C. dovesse farsi risalire all’1.12.2012 alla luce dell’accordo transattivo stipulato tra le parti nel corso di un precedente giudizio instaurato in occasione dell’impugnazione di un licenziamento per giusta causa e rilevava la genericità ed approssimazione dei motivi di impugnazione del licenziamento collettivo.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre il C. affidandosi a otto motivi di ricorso. Resiste la società con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 della legge n. 223 del 1991, 1362, 1363, 1367, 1365, 1366 cod.civ., 18 della legge n. 300 del 1970, 3 Cost. nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.) per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato l’accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti il 22.11.2012 (di cui viene riportato uno stralcio) in quanto non solo il senso letterale delle parole utilizzate ma il comportamento successivo adottato (nella specie, l’indicazione, nelle prime buste paga compilate dalla società di una data di assunzione corrispondente a quella originaria, ossia 7.9.1976) faceva chiaramente intendere che il lavoratore conservasse tutta l’anzianità di servizio maturata in precedenza. Aggiunge che debbono rinvenirsi gli estremi di un licenziamento collettivo discriminatorio e illegittimo posto che uno dei criteri di scelta della procedura era rappresentato proprio dall’anzianità di servizio.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale omesso di considerare che il C., con il verbale di conciliazione, aveva rinunciato a percepire le retribuzioni maturate dopo il licenziamento individuale, che il C. aveva mantenuto “le medesime condizioni contrattuali”, che le buste paga immediatamente successive alla sottoscrizione del verbale di conciliazione riportavano l’anzianità di servizio risalente al settembre 1976.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo con riguardo all’onere di motivazione (art. 132 cod.proc.civ.) e violazione e/o falsa applicazione dell’art. Ili Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, commesso un grave errore nell’interpretazione del verbale di conciliazione alla luce della compilazione delle buste paga successiva alla stipulazione dell’accordo ed alla successiva correzione da parte della società, correzione effettuata “in tempi sospetti e precisamente quando IVRI era già in procinto di intraprendere procedure di esubero”.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 223 del 1991 e 18 della legge n. 300 del 1970, 3 Cost. nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.) per avere la Corte territoriale sottovalutato l’arbitraria modalità di scelta dei lavoratori da porre in mobilità effettuata dalla società ricorrente, consistente nel criterio relativo alle esigenze tecniche-produttive di attribuzione di punteggi a seconda dei reparto di assegnazione (zona, centrale operativa o clienti primari). Invero, il criterio relativo all’assegnazione del lavoratore a “clienti primari”, in mancanza dell’indicazione degli stessi, era del tutto arbitrario.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, omesso di esaminare la comunicazione di chiusura della procedura di mobilità, ex art. 4, comma 9 della legge n. 223 del 1991, ove – in base al criterio delle esigenze tecnicoproduttive ed organizzative – si ripartivano i dipendenti in tre categorie (personale operante sulla zona, in centrale operativa o in postazione su “clienti primari”) attribuendo a ciascuna categoria un punteggio da 0 a 10, senza individuazione della categoria dei “clienti primari”. Aggiunge che il C. lavorava presso clienti i cui contratti di appalto sono tuttora in essere e che osservava orari di lavoro di gran lunga superiori rispetto al limite di cui al C.C.N.L.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia error in procedendo con riguardo all’onere di motivazione ex art. 132 cod.proc.civ. nonché violazione dell’art. Ili Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 cod.proc.civ.) non avendo, la Corte distrettuale, disposto l’acquisizione dei contratti di appalto stipulati dalla società ed ancora in essere al momento del licenziamento collettivo, nonché il libro unico del lavoro e ogni altra documentazione equipollente né ha ammesso le prove testimoniali articolate sugli atti discriminatori subiti dal C..
7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1336, 1337 cod.civ. nonché 2 e 3 Cost. e 18 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, trascurato il comportamento del datore di lavoro che, riassumendo ex novo il C. con l’accordo di conciliazione, ha assunto una condotta contraria a buona fede sapendo che di lì a poco avrebbe avviato una procedura di mobilità collettiva.
8. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) per avere la Corte territoriale trascurato di valutare che il C.era stato licenziato pretestuosamente nel marzo 2012, che il 22.11.2012 il datore di lavoro aveva sottoscritto il verbale di conciliazione sottacendo la circostanza che l’andamento economico dell’impresa era pessimo, che le buste paga inizialmente elaborate dalla società riportavano ancora l’originaria data di assunzione (del settembre 1976), che successivamente era stata avviata la procedura di mobilità collettiva, che il C. era adibito ad appalti ancora in essere, che il criterio delle esigenze tecnico-produttive non era stato precisato con particolare riguardo al punteggio attribuito per l’assegnazione a “clienti primari”.
9. In via subordinata, il ricorrente – ove si ravvisasse violazione della procedura prevista dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 – chiede l’applicazione dd(l’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 come novellato dall’art. 1 della legge n. 92 del 2012, con conseguente condanna dell’Istituto al pagamento di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto o, in via ulteriormente subordinata, l’applicazione dell’art. 18, comma 6, della legge n. 300 con conseguente condanna dell’Istituto al pagamento di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
10. I primi tre motivi di ricorso, che concernono l’accordo conciliativo stipulato tra le parti, sono infondati.
L’interpretazione delle disposizioni di un contratto individuale costituisce accertamento di fatto ed è riservata al giudice di merito; può essere sindacata in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione (Cass. nn. 2512/2013, 16376/2006); in tal caso, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il punto ed il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente.
Va sottolineato che la sentenza in esame (pubblicata dopo rii.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134). L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”.
Nella presente fattispecie, la Corte territoriale, con interpretazione ermeneutica corretta e con argomentazione logica, ha spiegato che – con riguardo al canone esegetico relativo al tenore lessicale dell’accordo – emergeva chiaramente l’intento delle parti di avviare un nuovo rapporto di lavoro con decorrenza dall’1.12.2012. Invero, “emerge con chiarezza: che le parti concordavano una riassunzione a partire dal 1.12.2012 alle medesime condizioni contrattuali, che venivano conservati gli scatti di anzianità, che era escluso il periodo di prova e che non vi era alcuna riconoscimento di natura economica.” Ciò era reso evidente dall’utilizzo del termine “riassunzione” nel verbale di conciliazione, dalla precisazione della data in cui far decorrere il nuovo rapporto di lavoro, dal fatto che il 31.11.2012 era sottoscritto un nuovo contratto di assunzione, dalla circostanza che il precedente rapporto di lavoro era cessato il 13.3.2012 (con evidente cesura tra i due rapporti lavorativi tant’è che non era stata prevista carico della società alcuna corresponsione economica), dal fatto che la società aveva ribadito, nel verbale di conciliazione, la legittimità del licenziamento intimato per giusta causa al C. il 13.3.2012. Il riferimento, in occasione della nuova assunzione, alle “medesime condizioni contrattuali” faceva riferimento all’inquadramento, alla qualifica, all’orario di lavoro, all’importo della retribuzione ma non poteva ritenersi conservata l’anzianità di servizio. La Corte, inoltre, ha valutato l’indicazione, nelle prime tre buste paga (gennaio, febbraio e marzo 2013), della data di assunzione originaria (7.9.1976 anziché 1.12.2012) ritenendolo un mero errore materiale, confermato dall’assenza di qualsiasi reazione da parte del lavoratore all’atto della consegna della busta paga di aprile 2013 e di quelle successive.
Risulta, pertanto, correttamente interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’ordinamento, l’accordo conciliativo sottoscritto dalle parti in data 22.11.2012 né è rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna anomalia motivazionale che si manifesti come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, o “motivazione apparente” (Cass. S.U. n. 8053 cit.) né alcuna violazione dei canoni di interpretazione negoziale.
10. Il quarto ed il quinto motivo sono infondati.
La domanda avente ad oggetto l’accertamento della illegittimità di un licenziamento collettivo, intimato in sede di procedura di mobilità in forza della legge n. 223 del 1991, deve presentare un minimo di specificità e non già risolversi in una generica contestazione della procedura, con la conseguenza che la “causa pretendi” rimane circoscritta agli specifici motivi di impugnazione addotti in primo grado, né possono esserne proposti altri nel giudizio di appello, e che il giudice di merito non può rilevare d’ufficio eventuali ragioni di illegittimità, incombendo sulla parte l’onere di allegare, tempestivamente, tutte le circostanze che giustificano la proposizione della domanda, inclusi i vizi di forma o di sostanza dei quali intenda avvalersi ai fini della inefficacia o annullabilità della procedura (Cass. n. 3176 del 2017).
Posto che l’esposizione dei motivi deve ritenersi, con riguardo ai requisiti di completezza e specificità richiesti dal combinato disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.proc.civ., al limite dell’ammissibilità, con riferimento alla comunicazione di avvio e di chiusura della procedura di mobilità, la Corte distrettuale si è uniformata all’anzidetto principio di diritto ove ha ritenuto, con riguardo ai motivi tecnici, organizzativi e produttivi, che il lavoratore abbia esposto censure “in maniera estremamente generica ed approssimativa e senza alcun riferimento a violazioni specifiche”.
11. Il sesto, settimo ed ottavo motivo sono inammissibili.
Delle questioni non vi è traccia nella sentenza impugnata, né il ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che termini le questioni stesse siano state eventualmente riproposte in grado di appello.
In tema questa Corte ha ripetutamente affermato che “nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello” (v. Cass. 5-7-2002 n. 9812, Cass. 9-12-1999 n. 13819). Nel contempo è stato anche precisato che “nel caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (v. Cass. 27-8-2013 n. 12571; Cass. 22-1-2013, n. 1435; Cass. 28-7-2008, n. 20518; Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7- 2001 n. 9336).
12. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 200,00 per esborsi ed in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 novembre 2021, n. 34780 - Nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, perché allo stesso non…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 19076 del 14 giugno 2022 - In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 16834 depositata il 13 giugno 2023 - La preclusione in sede di legittimità di nuove questioni di diritto è circoscritta all’ipotesi in cui queste ultime postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 30916 depositata il 19 ottobre 2022 - I motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 novembre 2022, n. 32819 - I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 luglio 2022, n. 22778 - I motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- La scelta del CCNL da applicare rientra nella scel
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Il creditore con sentenza non definitiva ha diritt
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27163 depositata il 22 settembre…
- Impugnazione del verbale di disposizione emesso ai
Il Tribunale amministrativo Regionale della Lombardia, sezione IV, con la senten…
- Valido l’accertamento fondato su valori OMI
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17189 depositata il 15 giugno 2023, in…
- Possono essere sequestrate somme anche su c/c inte
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 34551 depositata l…