CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2018, n. 8422
Nullità del licenziamento – Esistenza di un collegamento economico-funzionale tra le società – Unico centro di imputazione del rapporto di lavoro – Interposizione fittizia di manodopera – Individuazione formale del destinatario dell’ordine di ripristino del rapporto di lavoro
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 844/2014 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia emessa in data 16.7.2014 dal Tribunale di Chieti con cui, previa declaratoria del carattere unitario dell’attività di impresa svolta dalla A. Corporation srl in liquidazione, dalla C. srl e dalla A. Broker, aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato dalla A. Company in liquidazione a I.P. il 31.1.2013, con conseguente affermazione della attuale esistenza del medesimo rapporto di lavoro e condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato nonché al pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione di fatto nel giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, oltre accessori.
2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha rilevato che: 1) l’appello era ammissibile ai sensi dell’art. 434 cpc; 2) la questione del rito applicabile nel caso di specie non risultava oggetto di impugnazione da nessuna delle parti e, comunque, il provvedimento di trasformazione del rito speciale ex lege n. 92/2012 in rito lavoro, ai sensi dell’art. 426 cpc, non era illegittimo, non comportava nullità della sentenza e non vi era stata alcuna lesione del diritto di difesa e del contraddittorio; 3) i testi D.P., A. e I. non dovevano considerarsi inattendibili; 4) era corretta la individuazione della esistenza di un collegamento economico-funzionale tra la società sì da costituire un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio; 5) risultava inammissibile per carenza di interesse la questione relativa alla nullità della sentenza, che aveva disposto la condanna in solido al ripristino del rapporto di lavoro, avendo la lavoratrice esercitato il diritto di opzione di cui al terzo comma dell’art. 18 legge n. 300/1970, chiedendo il pagamento dell’indennità sostitutiva.
3. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione le tre società indicate in epigrafe, affidato a quattro motivi.
4. I.P. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo le ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 1 commi 47-48 legge 92/2012, la falsa applicazione dell’art. 426 cpc (art. 360 n. 3 cpc) nonché l’erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione: sostengono che l’art. 426 cpc, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, regola solo il passaggio dal rito ordinario a quello speciale, ma non anche quello dal rito speciale o sommario a quello generale; che vi era un pregiudizio patito consistito nel fatto che l’accoglimento dell’eccezione di erroneità del rito applicato avrebbe comportato l’inammissibilità della domanda e che la corretta applicazione delle norme di rito costituiva comunque un interesse dei contendenti alla trattazione esatta del procedimento.
2. Con il secondo motivo si censura la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cc (art. 360 n. 3 e n. 4 cpc) nonché l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) costituito dal mancato esame, da parte della Corte distrettuale, della contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione, relativamente alla condanna al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno disposto nei confronti delle tre società mentre il centro di imputazione del rapporto in contestazione era stato rilevato nella persona fisica di tale P.I. e dei suoi familiari, e perché era aberrante la condanna di soggetti non vincolati dal contratto di lavoro in contestazione (società di capitale) e tenuti fuori i soggetti individuati come effettivamente responsabili.
3. Con il terzo motivo le ricorrenti si dolgono dell’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cpc) in relazione all’art. 244 cpc per avere la Corte territoriale omesso qualsiasi considerazione sulla ribadita eccezione di inammissibilità dei capitoli di prova, limitando la propria attenzione sulla sola eccezione di inattendibilità dei testi escussi.
4. Con il quarto motivo lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (art. 360 n. 5 cpc) in relazione anche agli artt. 116 e 115 cpc e all’art. 18 legge n. 300/1970 per avere la Corte territoriale omesso qualsiasi considerazione sulle difese di esse società circa il governo delle risultanze istruttorie da parte del giudice di prime cure.
5. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
6. In primo luogo, va evidenziato che l’affermazione dei giudici di seconde cure, circa la mancata impugnazione – in quel grado – della questione attinente al rito applicabile, non è stata oggetto di specifica censura in questa sede di talché sul punto deve ritenersi formato un giudicato interno, su una ratio da sola sufficiente a sorreggere la decisione, che preclude l’esame di ogni ulteriore problematica.
7. In secondo luogo, deve evidenziarsi che non risultano specificamente criticate le diverse rationes decidendi poste a fondamento del rigetto, da parte della Corte territoriale, dell’argomentazione circa la omessa pronuncia di inammissibilità o di improcedibilità che avrebbe dovuto adottare il giudice di prime cure a seguito della formulazione di domande incompatibili con il cd. Rito “Fornero”. In particolare le suddette rationes sono state individuate:
a) nella portata generale dell’art. 426 cpc; b) nella assenza di lesione del diritto al contraddittorio per le parti; c) nella impossibilità di rilevare, in ordine alla trasformazione del rito da speciale in ordinario, la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice; d) nel fatto che l’art. 4 del d.lgs n. 150/2011 (sulla semplificazione dei riti) detti analogo principio in ordine ai rapporti tra rito ordinario, rito lavoro e rito sommario di cognizione; e) nella circostanza che la legge Fornero preveda espressamente la conservazione degli effetti della domanda riconvenzionale inammissibile.
8. In terzo ed ultimo luogo, va sottolineato che non può costituire di per sé un pregiudizio alle parti la non corretta applicazione delle regole del codice di rito.
9. Al riguardo deve, infatti, osservarsi che: 1) l’art. 111 Cost. assegna rilievo costituzionale al principio di ragionevole durata del processo, al pari del diritto di difesa: il principio di ragionevole durata porta ad escludere interpretazioni che prevedano la regressione del processo per il mero rilievo della mancata realizzazione di determinate formalità dove, in concreto, la omissione della stessa non abbia comportato alcuna limitazione delle garanzie difensive; anche la Corte di Giustizia ha affermato che le modalità di attivazione della tutela giudiziaria non devono rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti (cfr. CGUE 19 settembre 2006 Germany c Arcor, C 392/04 e C- 422/04 punto 57; CGUE Pelati d.o.o. contro Repubblica Slovenia 18.10.2012 n. 603, punti 23 e 25); 3) il pregiudizio delle facoltà difensive va eccepito in concreto e non in astratto; 4) la Corte Costituzionale (sent. n. 77 del 2007 e n. 223 del 2013) ha sottolineato che anche nel caso in cui venga adito un giudice carente di giurisdizione, il legislatore deve prevedere meccanismi che consentano la prosecuzione del processo e la conservazione degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda.
10. Da quanto sopra detto, emerge, pertanto, che un valore fondante dell’ordinamento processuale è quello di attuare il diritto alle parti mediante una pronuncia di merito, che è garanzia di effettività della tutela ai sensi dell’art. 24 Cost., senza che questioni di rito possano pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto stesso.
11. Il secondo motivo presenta anche esso profili di inammissibilità e di infondatezza.
12. E’ inammissibile la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cc in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26.6.2013 n. 16038; Cass. 28.2.2012 n. 3010; Cass. 31.5.2016 n. 12984).
13. E’, altresì, inammissibile l’asserito vizio ex art. 360 n. 5 cpc, per contraddittorietà tra motivazione (in cui il centro di imputazione delle tre società era stato individuato nella persona fisica del sig. P.I. e dei suoi familiari) ed il dispositivo (in cui la condanna al ripristino del rapporto e al risarcimento era stata pronunciata nei confronti delle tre società) in quanto, con l’attuale formulazione della disposizione (a seguito della modifica del D.L. n. 83/2012 convertito nella legge n. 134/2012), applicabile ratione temporis, non è più consentito il controllo di legalità e contraddittorietà della motivazione, bensì solo il controllo relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (cfr. per tutte Cass. Sez. Un. 7.4.2014 n. 8053): ipotesi non ravvisabile nella fattispecie in esame.
14. In ogni caso, la doglianza è infondata non potendosi ravvisare alcun profilo contraddittorio nella gravata pronuncia atteso che l’indagine sulla titolarità sostanziale, ai fini di ravvisare un collegamento societario sussistente nei casi di interposizione fittizia di manodopera, opera su un piano diverso da quello diretto alla individuazione formale del destinatario dell’ordine di ripristino del rapporto di lavoro: destinatario che non può che identificarsi in uno dei soggetti giuridici che compongono ufficialmente la struttura organizzativa comune e non in colui o coloro che, quali persone fisiche, esercitino poteri gestionali di fatto o occulti rivestendo, o meno, cariche ufficiali nell’ambito delle società.
15. Il terzo ed il quarto motivo, formulati in relazione ad un vizio ex art. 360 n. 5 cpc, sono inammissibili perché tendenti a rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le parti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne l’attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 4.8.2017 n. 19547; Cass. 7.4.2017 n. 9097).
16. A ciò si aggiunga che, nella fattispecie in esame, si verte in presenza di una cd. “doppia conforme” per cui, ai sensi dell’art. 348 ter u.c. cpc, le censure poste ex art. 360 n. 5 cpc, come nel caso concreto, inerenti le questioni di fatto, sono inammissibili.
17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
18. Al rigetto del ricorso segue la condanna delle ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore della controricorrente in virtù della dichiarazione da questi rilasciata in sede di memoria ex art. 378 cpc. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Procuratore della controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.