CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2019, n. 9604
Tributi – IRPEF – Redditi di lavoro dipendente – “Stock option” – Assoggettabilità del valore ricevuto all’esito dell’opzione – Regime di tassazione
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate con due motivi ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 69/06/11, depositata il 9.11.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che, in parziale accoglimento dell’appello proposto da F.B.S., riconosceva le ragioni del contribuente avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Ufficio sulla richiesta di rimborso di € 225.802,64. L’istanza di rimborso era stata inoltrata dal contribuente con riguardo alle ritenute alla fonte eseguite dalla società A. spa, di cui era dipendente, per la tassazione di operazioni di assegnazione di azioni a seguito dell’esercizio di una stock option.
La vicenda traeva origine dal conseguimento nell’anno 2004 di diritti di opzione, non cedibili, per l’acquisto di azioni della società lussemburghese A.I. spa, controllante dell’A., al prezzo corrispondente al valore delle azioni al momento dell’offerta della stock option, ossia € 148.750,00, con possibilità di esercizio del suddetto diritto ad una certa scadenza.
Nel corso dell’anno 2005, avvalendosi della disciplina prevista dall’art. 5 della I. n. 448/2001, e dell’art. 11 quaterdecies co. 4 del d.l. n. 203 del 2005, conv. in I. 248 del 2005, il contribuente aveva provveduto anche alla rivalutazione del valore delle azioni inerenti il diritto di opzione, riconosciuto ai fini fiscali con apposita perizia di stima in € 202.692,00.
Il 15.12.2006, in occasione del trasferimento del pacchetto di maggioranza della A.I. ad un terzo, il contribuente esercitava l’opzione sul pacchetto azionario, vendendo contestualmente le azioni al prezzo di € 864.568,78 (pari al valore delle azioni al momento di esercizio del diritto di opzione). Il datore di lavoro, assoggettando l’operazione al regime fiscale più rigoroso vigente a quella data, ossia il d.l. n. 262 del 2006 (con conseguente applicazione dell’aliquota Irpef al reddito di lavoro dipendente del F.B.), eseguiva le ritenute, versate poi all’Erario, sull’importo di € 715.818,78 (corrispondente alla differenza tra il valore delle azioni al momento del conseguimento delle stock option, e quello al momento della loro cessione a terzi dopo l’esercizio dell’opzione).
Il contribuente, che sosteneva invece l’applicabilità del regime fiscale antecedente, con condizioni meno rigorose, e dunque l’esenzione dalla tassazione della differenza di valore tra il prezzo versato al momento dell’esercizio del diritto d’opzione e dell’assegnazione delle azioni oggetto dell’esercizio del diritto d’opzione e il valore effettivo delle azioni al momento dell’assegnazione medesima, nonché l’applicazione dell’aliquota del 12,50% sulle plusvalenze conseguite al momento della successiva cessione a terzi, quali capitai gains, chiedeva il rimborso delle imposte, cui seguiva il silenzio rifiuto dell’Agenzia e il contenzioso oggetto del presente giudizio.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino rigettava il ricorso con sentenza n. 54/23/09 depositata il 21.05.2009. Questa sentenza era impugnata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che con la pronuncia oggetto del presente ricorso accoglieva parzialmente l’appello. In particolare il giudice regionale riteneva applicabile la disciplina introdotta dal d.l. n. 262 del 2006, rilevava la carenza delle condizioni più restrittive da questa richieste, affermava pertanto che non spettasse l’esenzione prevista dall’art. 51 cit., ma considerava che tali conseguenze avessero riguardo al solo valore della opzione alla data di assegnazione (dunque sul valore di € 151.130,00 da sottoporre pertanto all’aliquota gravante sul contribuente, quale lavoratore dipendente, per l’anno d’imposta 2006, pari al 44,43%). Quanto invece alla plusvalenza realizzata con la contestuale cessione di quelle azioni a terzi, riconducendo questa operazione nell’alveo delle operazioni finanziarie, applicava ad esse l’aliquota del 12,50%, tenendo conto anche della rivalutazione esercitata nel 2005 ai sensi del d.l. n. 203 del 2005, ordinando in conclusione il rimborso di € 186.594,00.
Avverso la sentenza della CTR piemontese l’Agenzia formula due motivi di ricorso: con il primo per violazione dell’art. 51 co. 2 lett. g) bis e co. 2 bis del TUIR, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente riconosciuto una “scissione” nella formazione della fattispecie impositiva, tra differenza di valore delle azioni al momento del riconoscimento del diritto di opzione e quello al momento dell’esercizio della stock option, con assegnazione delle azioni, e tra quest’ultimo momento e la cessione a terzi, cesura inesistente nella disciplina impositiva prevista dalla normativa invocata;
con il secondo per falsa applicazione dell’art. 81 (ora 67) co. 1, lett. c) e c) bis del TUIR e degli artt. 5 I. n. 48 del 2001, 11 quaterdecies co. 4 del d.l. n. 203 del 2005, conv. in I. n. 248 del 2005, per aver erroneamente riconosciuto la rivalutabilità delle stock option previo pagamento di imposta sostitutiva.
Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza con ogni conseguenza.
Si è costituito il contribuente, contestando i motivi del ricorso avverso, del quale ha chiesto il rigetto. Con ricorso incidentale ha a sua volta impugnato la sentenza, censurata con un unico motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1 e 3 co. 1, secondo periodo, della I. n. 212 del 2000, perché erroneamente il giudice regionale ha ritenuto applicabile al caso di specie la disciplina dell’art. 51 co. 2 lett. g) bis, come modificata con il d.l. 262 del 2006, conv. in I. 286 del 2006.
L’Ufficio ha contestato il motivo con controricorso, chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 17 gennaio 2019, dopo la discussione, il P.G e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione. Risultano depositate tempestivamente memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
Per ordine logico vanno trattati unitariamente il primo motivo di ricorso proposto dalla Agenzia, ed il motivo del ricorso incidentale spiegato dal contribuente. In entrambi i casi le censure sono infatti dirette alla individuazione della normativa applicabile al caso concreto ed alla interpretazione data dalla Commissione regionale.
L’Agenzia delle Entrate si duole dell’errore di diritto commesso dal giudice d’appello nel ritenere scindibili i due momenti, quello dell’acquisto delle azioni, mediante l’esercizio dell’opzione concessa dalla A. spa, quello della rivendita del medesimo pacchetto azionario a terzi, seppur temporalmente contestuale all’esercizio della stock option ed all’assegnazione delle azioni. A tal fine ritiene che manchi un riscontro normativo su cui fondare un diverso regime impositivo, atteso che l’art. 51 co 2 lett. g) bis e co. 2 bis del TUIR, come modificato dal d.l. n. 262 del 2006, era finalizzato ad incentivare l’opera svolta dal dipendente per la società, sottoponendo il reddito derivante dalla acquisizione del pacchetto azionario – previo esercizio dell’opzione attribuitagli dalla società medesima mediante la concessione delle stock option – a tassazione ordinaria per redditi da lavoro dipendente, salvo la deroga premiale prevista dalla disciplina al verificarsi di determinate condizioni.
Secondo la prospettazione della difesa del contribuente invece sarebbe applicabile tout court la disciplina anteriore alla introduzione del d.l. n. 262 del 2006, meno restrittiva quanto ai vincoli prescritti per fruire del trattamento agevolato, e ciò perché la regolamentazione introdotta con il d.l. 262 cit. sarebbe applicabile per le operazioni compiute dall’anno d’imposta 2007, successivo a quello di entrata in vigore del suddetto d.l., in forza dei principi contenuti negli artt. 1, co. 1 e 3 co. 1, secondo periodo, della I. n. 212 del 2000.
Perimetrate le critiche mosse da entrambe le parti alla sentenza, è fondata quella formulata dalla Agenzia mentre non trova accoglimento quella del contribuente.
Deve innanzitutto rappresentarsi che la disciplina agevolativa in materia fu originariamente introdotta con l’art. 13, del d.lgs. n. 505 del 1999. Intervennero poi modifiche all’art. 48 (ora 51 del TUIR), e in particolare, per quanto qui interessa, due modifiche normative sul trattamento fiscale di tale tipologia di operazioni: la prima introdotta con il d.l. 223 del 4 luglio 2006 (art. 36 co. 25), conv. con modificazioni in I. 248 del 2006; a distanza di breve tempo quella introdotta con il d.l. n. 262 del 3 ottobre 2006 (art. 2, co. 29), conv. con modificazioni in I. n. 286 del 2006; con esse si aggiungeva il comma 2 bis nell’art. 51, che restringeva l’area applicativa della disciplina agevolativa, richiedendo requisiti più rigorosi per la sua applicazione alle operazioni di stock options (per mera completezza l’art. 82, co. 23 del d.l. n. 112 del 2008, conv. in I. n. 133 del 2008, ha definitivamente abrogato il regime agevolato).
Nello specifico, anteriormente alle modifiche introdotte all’art. 51 cit. dai due d.l. nel 2006, il regime agevolativo prevedeva l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente dell’incremento di valore delle azioni verificatosi tra il momento di attribuzione delle stock options e l’esercizio delle stesse con assegnazione delle azioni. Solo con la successiva vendita della azioni a terzi l’incremento era tassato con l’aliquota del 12,50% quale capital gain. Per fruire tuttavia dell’esenzione dalla tassazione al momento dell’esercizio della opzione erano necessarie due condizioni: a) che il prezzo versato dal titolare della opzione fosse non inferiore al valore che le azioni avevano al momento in cui era attribuita la stock option; b) che le partecipazione possedute dal beneficiario, considerando anche le azioni acquistate con l’esercizio dell’opzione, non superassero il 10% della percentuale dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria, o di partecipazione al capitale o al patrimonio sociale (art. 51 co. 2, lett. g bis).
Con l’introduzione delle novelle del 2006 le condizioni per mantenere il regime agevolato sono divenute più stringenti e in particolare, senza riportare quelle del d.l. n. 223 del 2006, poi superato dal d.l. n. 262 del 2006, alle due già riportate se ne sono aggiunte altre tre: c) l’esercizio della opzione non prima di un triennio dalla sua attribuzione; d) l’esercizio dell’opzione nel momento in cui la società risultasse quotata in mercati regolamentati; e) il mantenimento da parte del beneficiario per almeno un quinquennio, successivo all’esercizio del diritto di opzione, di un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.
Sul piano soggettivo inoltre il regime agevolativo introdotto con il comma 2 bis richiedeva l’applicabilità per le azioni emesse dall’impresa della quale il contribuente fosse dipendente o da società in rapporto di controllo con quella datrice di lavoro del contribuente.
Le modifiche introdotte nel 2006 sono state considerate in dottrina come un mutamento delle finalità perseguite. In particolare l’esenzione originariamente introdotta (nel ’99) perseguiva la finalità di stimolare i dipendenti al miglioramento produttivo della azienda, così che, collegando mediante le stock options parte della retribuzione ad una componente variabile che si incrementava con la crescita di valore della azienda stessa, trovava causa nel maggior impegno profuso dal dipendente, incentivato dalla prospettiva di maggiori guadagni; con i dd.11. del 2006 le finalità perseguite dal legislatore si identificavano nella fidelizzazione del dipendente (di qui l’introduzione dei requisiti più stringenti sotto il profilo della tipologia di società cui applicare la disciplina, e, soprattutto con le modifiche del d.l. 262 del 2006, la previsione di tempi minimi per l’esercizio del diritto di opzione nonché per la cessione delle azioni medesime).
Ebbene, a fronte della disciplina posta a presidio della concreta fruizione del regime agevolativo delle stock options attribuite ai lavoratori dipendenti delle società emittenti o loro controllate, e rispetto alla opposta posizione difensiva assunta dalle parti in causa in ordine alla applicabilità o meno al caso concreto dell’art. 51 come modificato dal d.l. n. 262 del 2006, il giudice regionale ha ritenuto che l’operazione trovasse disciplina nell’art. 51 come da ultimo modificato, e, mancando le condizioni per la fruizione della esenzione, ha sostenuto che l’assegnazione delle azioni con l’esercizio del diritto di opzione fosse sottoposta alla aliquota marginale del 43% (oltre la percentuale per imposte regionali e comunali) applicata al reddito di lavoro del dipendente beneficiato della attribuzione dell’opzione. Tuttavia, quanto alla successiva cessione delle azioni a terzi, peraltro contestuale all’esercizio dell’opzione, ha ritenuto che trattavasi di operazioni finanziarie assoggettabili all’aliquota del 12,50% sulle plusvalenze, riconducendole nell’alveo dei capital gain.
Tale interpretazione è del tutto errata.
Con riguardo alla vecchia norma del TUIR che disciplinava la materia pur dopo l’introduzione del regime agevolato nel ’99, questa Corte ha evidenziato che in tema di IRPEF, l’art. 48, co. 2, lett. g-bis), del d.P.R. n. 917 del 1986 (nella numerazione anteriore a quella introdotta dal d.lgs. n. 344 del 2003), relativa ai criteri di tassazione delle cd. stock option, prevede la regola generale dell’assoggettamento del valore conseguito dal lavoratore mediante l’esercizio del diritto di opzione al regime ordinario previsto per i redditi da lavoro dipendente, salva l’esclusione dal reddito imponibile, nel caso in cui al lavoratore medesimo l’opzione sia stata riconosciuta al valore corrente delle azioni al momento dell’offerta, perseguendo il legislatore l’obiettivo di evitare che, con l’attribuzione del diritto di opzione a prezzi inferiori al valore di mercato delle azioni, siano corrisposti al dipendente compensi non soggetti a tassazione (da ultimo cfr. Cass., ord. n. 19393/2018). La disciplina lascia infatti impregiudicata la riconduzione del reddito così conseguito nel regime di tassazione ordinaria, salva la evenienza di specifiche e circoscritte condizioni, che sono state ritenute, sino al 2008, meritevoli di un regime agevolato per il dipendente cui, concessa la partecipazione al piano societario di stock option, eserciti l’opzione d’acquisto di azioni al prezzo corrispondente al valore che quei titoli avevano al momento dell’offerta (delle stock option), mentre tale valore è superiore al momento dell’acquisto. Perché il dipendente possa fruire del regime agevolato è tuttavia necessario che le condizioni indicate nell’art. 51, sia quelle già previste dal co. 2 lett. G bis), sia quelle ulteriori introdotte con il comma 2 bis, siano tutte rispettate.
Diversamente la differenza tra il minor prezzo delle azioni al momento della offerta e concessione delle stock option ed il maggior prezzo al momento in cui il diritto di opzione viene esercitato con l’acquisto dei titoli, è ricondotto nel regime di tassazione ordinario. Pertanto nel caso di specie la commissione regionale, ritenuta applicabile la novella introdotta con il d.l. n. 262 del 2006, e ritenuto che talune delle condizioni non si fossero verificate, doveva riconoscere solo l’applicazione del regime ordinario, con l’aliquota marginale applicata al contribuente (evidentemente il 43% oltre le percentuali derivanti dalle addizionali regionali e comunali), in ordine alla differenza del minor prezzo pagato rispetto al valore delle azioni acquistate. Era questa l’operazione che l’Agenzia chiedeva di tassare, evidentemente perché non osservate le prescrizioni dettate dall’art. 51 cit. Il giudice regionale ha invece ritenuto di scindere le due operazioni, riconducendo nell’alveo delle plusvalenze i maggiori guadagni conseguiti dal contribuente con la cessione delle medesime azioni opzionate a terzi e applicando a questi l’aliquota del 12,50%. Sennonché le operazioni di esercizio del diritto di opzione, di acquisto delle azioni e di cessione delle stesse a terzi erano state contestuali. Le azioni, acquistate al prezzo di valore al momento dell’offerta della stock option – € 148.750,00, valevano al momento della assegnazione € 864.568,78 ed a tale prezzo sono state poi cedute contestualmente a terzi. Dunque non vi era plusvalenza da tassare con riguardo alla cessione a terzi. Quello che invece andava tassato era proprio la differenza di valore ottenuta dal contribuente nel versamento di un prezzo inferiore – fissato al momento della offerta del diritto di opzione – al valore che le azioni avevano – al momento dell’esercizio della opzione-. Ed andava tassato perché il contribuente non aveva rispettato le condizioni previste nell’art. 51 cit., quanto meno quelle previste nelle lett. a) e c) del co. 2 bis. È ciò che ha fatto l’Agenzia, tassando la differenza tra il valore delle azioni al momento della assegnazione (cioè con l’esercizio del diritto di opzione) e l’ammontare corrisposto dal dipendente (pari al valore che le azioni avevano al momento della offerta di partecipazione al piano di stock option).
Il primo motivo del ricorso dell’Ufficio va dunque accolto.
Con il ricorso incidentale il contribuente ha invece sostenuto che non dovessero trovare applicazione le modifiche introdotte dal d.l. n. 262 del 2006, che hanno previsto un regime più rigoroso. Fonda le proprie ragioni sul principio contenuto nell’art. 3 della I. n. 212 del 2000, secondo il quale <<relativamente ai tributi periodici le modificazioni introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono>>.
Nel caso di specie, entrato in vigore il d.l. 262 del 2006 il 3 ottobre 2006, secondo la prospettazione difensiva del F. la disciplina poteva applicarsi a partire dall’anno d’imposta 2007, mentre i diritti di opzione sono stati esercitati e l’assegnazione delle azioni è avvenuta entro il 15 dicembre 2006. Lamenta a tal fine il ricorrente incidentale che l’inosservanza del citato art. 3 viola il principio di affidamento del diritto, presidiato proprio dalla norma dello statuto del contribuente, né la disciplina del d.l. 262 conteneva alcuna deroga espressa al principio, come invece contenuta sia nel d.l. 223 del 2006, sia nel d.l. 112 del 2008.
Ebbene, a parte che la difesa si rivela insufficiente perché non dimostra, né indica gli atti difensivi, relativi anche ai pregressi gradi di merito, dai quali desumere la ricorrenza in capo al F. degli altri requisiti già richiesti nel testo originario della disciplina e necessari per l’applicazione del regime agevolato, in ogni caso va qui evidenziato che, quand’anche il principio possa riguardare modifiche normative introdotte in materia di esenzione da imposta, resta fermo che il presupposto applicativo sia la periodicità. Ebbene, nel caso che ci occupa all’oggetto della disciplina – la regolamentazione fiscale delle stock options nell’ambito dei redditi delle persone fisiche – è del tutto estraneo il carattere della periodicità, né all’agevolazione regolamentata dall’art. 51 cit. può attribuirsi il carattere della pluriennali.
Quanto al primo aspetto, la natura periodica di un tributo non può certo ricondursi alla mera astratta circostanza che il contribuente sia obbligato alla dichiarazione annuale e al pagamento dell’imposta sull’imponibile dichiarato. La struttura periodica di una prestazione derivante da obblighi fiscali richiede infatti connotati di autonomia nell’ambito di una “causa debendi” di tipo continuativo, per essere tenuto l’utente al pagamento in relazione al prolungarsi, sul piano temporale, della prestazione erogata dall’ente impositore o del beneficio da esso concesso, senza che sia necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame dell’esistenza dei presupposti impositivi (cfr. sent. n. 4283/2010). Non è questo il caso dell’imposta sulla persona fisica, posto che per l’insorgenza dell’obbligo tributario occorre il venire ad esistenza del presupposto d’imposta, ossia la percezione di un reddito, che costituisce un fatto incerto e non periodico.
Quanto al secondo aspetto, è indiscutibile che una fattispecie impositiva, quale la percezione di un reddito derivante dalla cessione delle azioni assegnate mediante il meccanismo delle stock option, non assume alcun carattere di periodicità, né tanto meno di pluriennalità, avendo anzi carattere eminentemente episodico. Deve dunque escludersi che la fattispecie per cui è causa sia collocabile nel perimetro dell’art. 3 co. 1, seconda parte, della I. n. 212/2000.
In ogni caso e in conclusione possono aggiungersi talune osservazioni. Non trova infatti condivisione l’affermazione secondo cui con l’applicazione della disciplina introdotta dal d.l. n. 262 del 2006 sarebbe stato violato il principio di affidamento.
Già con riferimento al diritto di opzione -a cui di certo non può ricondursi il fatto rilevante ai fini della vicenda impositiva (cfr. Cass., cfr. sent. n. 18917/2018), che nello spazio temporale della attesa che maturino le condizioni di vantaggio per il suo esercizio può assicurare una speranza di conseguimento di una ricchezza ma alcuna certezza in tal senso, deve escludersi che il contribuente possa aver fatto affidamento sulla cristallizzazione di una disciplina agevolativa. Se non vi era certezza nell’incremento di valore delle azioni al momento della offerta del diritto di opzione risulterebbe incomprensibile anche quale danno sarebbe ascrivibile al mutamento di disciplina rispetto ad una situazione che, tanto in punto di diritto quanto in termini economici, costituiva una speranza di incremento di valore e null’altro.
Se poi si attribuisse importanza alla disciplina fiscale favorevole vigente all’epoca in cui il contribuente aderì al piano di attribuzione di azioni con l’offerta gratuita del diritto di opzione, questo attiene alla sfera dei motivi della scelta assunta, irrilevante anche nei confronti della controparte e ancor più rispetto alla disciplina erariale.
A margine, è appena il caso di rammentare come la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale sia sempre più attenta a vagliare la costituzionalità di una disciplina, quand’anche sia denunciato che con essa possa essere stato violato il valore del legittimo affidamento, riposto dal cittadino in una normativa poi abrogata, e che trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., in un quadro complessivo che tenga conto dei principi di equilibrio del bilancio, di cui all’art. 81 Cost., affermando che <<il valore del legittimo affidamento non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, purché ciò avvenga alla condizione “che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica>>. (cfr. C. Costituzionale, sent. n. 149 del 2017). Nel caso che ci occupa né ci sono diritti soggettivi perfetti riconoscibili, né le successive modifiche alla disciplina dettata in materia di agevolazioni nel trattamento fiscale delle stock options appare irrazionale e irragionevole. Con il che va escluso anche qualunque dubbio sulla legittimità costituzionale della disciplina.
Il motivo va dunque rigettato.
È fondato infine anche il secondo motivo del ricorso, con il quale l’Agenzia si duole della falsa applicazione dell’art. 81 (ora 67) co. 1, lett. c) e c) bis del TUIR e degli artt. 5 I. n. 448 del 2001, 11 quaterdecies co. 4 del d.l. n. 203 del 2005, conv. in I. n. 248 del 2005, per aver erroneamente riconosciuto la rivalutabilità delle stock option previo pagamento di imposta sostitutiva.
Ai fini della applicazione della disciplina prevista dall’art. 51 cit. è proprio la fattispecie presa in esame ad escludere l’accesso alla procedura di rivalutazione della partecipazione all’offerta di stock option. Se infatti oggetto della disciplina era la regolamentazione impositiva di una voce di reddito, esonerato dalla tassazione quale reddito da lavoro dipendente qualora ricorrenti le specifiche condizioni previste dai commi 2, lett. g bis), e 2 bis dell’art. 51, deve escludersi che quella voce fosse associabile al concetto stesso di plusvalenza, regolata dall’art. 67 del TUIR. Ne consegue che la partecipazione al piano di stock option concessa gratuitamente al dipendente non poteva né doveva essere rivalutata ai sensi dell’art. 5 della I. n. 448 del 2001, come integrata dall’art. 11 quaterdecies co. 4 del d.l. n. 203 del 2005, conv. in I. n. 248 del 2005. D’altronde ciò è coerente con la peculiarità del diritto d’opzione concesso, incedibile e relativo ai peculiari rapporti correnti tra il dipendente e la società sua datrice di lavoro. Anche in questo caso vi è stata da parte del giudice regionale una confusione dei piani tra oggetto della disciplina contenuta nell’art. 51, co. 2 lett. g bis del TUIR, e la cessione a terzi delle azioni assegnate – dalla quale poteva anche conseguire una plusvalenza, che qui rilevava non già come operazione disciplinata dalla norma, ma come condizione al cui verificarsi veniva meno l’esonero dalla tassazione del reddito ricavato dal dipendente e corrispondente alla differenza tra il valore delle azioni al momento della assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente quale prezzo versato per l’assegnazione medesima.
Anche il secondo motivo va dunque accolto.
In conclusione il ricorso della Agenzia va accolto e quello incidentale del contribuente va rigettato.
La sentenza va pertanto cassata e il giudizio rinviato alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che in altra composizione dovrà decidere tenendo conto dei principi affermati, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che in altra composizione deciderà anche sulle spese.
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