CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2019, n. 9612
Tributi – TIA – Superfici sulle quali si svolgano lavorazioni industriali – Produzione di rifuiti speciali – Esenzione dalla Tia – Esclusione – Quota variabile – Riduzione in proporzione allo smaltimento in proprio – Onere di prova a carico del contribuente
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. L’ente impositore propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza con cui la CTR per la Toscana ha respinto l’appello che, confermando la pronuncia di primo grado, ha parzialmente accolto il ricorso della contribuente. In particolare, si trattava di due cartelle di pagamento, notificate tramite Equitalia Cerit s.p.a., aventi ad oggetto fatture non pagate relative alla tariffa di igiene ambientale (TIA) con riferimento ad uno stabilimento industriale per gli anni di imposta 2008, 2009. I giudici di merito avevano ritenuto non dovuta la quota variabile della suddetta tassa per l’anno 2009 sui locali “ove si producono rifiuti speciali assimilati” ed aveva dichiarato non assoggettati ad IVA i tributi richiesti.
2. La parte contribuente resta intimata, mentre l’ente impositore deposita memoria.
3. Con il primo motivo l’ente impositore lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 184, 238, 198 e 195 del d.lgs. n. 152 del 2006, degli artt. 21 e 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, dell’art. 22 del regolamento comune, con le sue successive modificazioni, nonché dell’art. 2697 c.c.. In particolare, ci si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto non soggette a tassazione le superfici sulle quali si svolgano lavorazioni industriali; si contesta che possa essere sufficiente, ai fini dell’esenzione dal tributo, la circostanza che la contribuente smaltisca in proprio i rifiuti. A tale proposito richiama il regolamento comunale che, all’art. 22, prevede solo la riduzione della quota variabile in misura proporzionale alla quantità di cui il contribuente dimostri l’avvenuto avvio al recupero e fissa anche un termine per la produzione di un’autocertificazione con allegato modello unico di denuncia, cd. MUD.
4. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la radicale assenza di motivazione. La doglianza è riferita principalmente alla parte della motivazione ove si afferma che le superfici in oggetto sarebbero “intassabili” e laddove è dichiarato che “a nessuna dichiarazione o istanza deve essere obbligata la società”.
4.1. I motivi sono fondati per le ragioni di seguito esposte e meritano una trattazione congiunta, stante la loro stretta connessione.
4.2. Originariamente sussisteva un’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, ai sensi dell’art. 39 della l. n. 146 del 1994.
L’art. 17, comma 3, della l. n. 128 del 1998, ha abrogato il predetto art. 39 e, a questo proposito, la S.C. ha chiarito che, venendo meno tale assimilazione ope legis, “risulta pienamente operativo l’art. 21, comma 2, lett. g), del d.lgs. n. 22 del 1997, attributivo ai Comuni della facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche, sicché, a partire dall’annualità d’imposta 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari” (Cass. n. 22223 del 2016).
Per quanto rileva nel presente giudizio, dunque, trova applicazione l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, che ha attribuito ai comuni il potere di disciplinare la gestione dei rifiuti urbani attraverso appositi regolamenti.
Tale norma contiene un’analitica e dettagliata previsione circa il contenuto di tali regolamenti, tra cui la disciplina delle modalità di raccolta dei rifiuti urbani, di quelli urbani pericolosi, la promozione di forme di recupero, e alla lettera g) la possibilità dell’ “assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera d”. Tale ultima disposizione attribuisce, poi, allo Stato “la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.”
I rifiuti speciali non assimilabili sono assoggettati ad una disciplina normativa differente da quella prevista per quelli assimilabili. In particolare, i rifiuti speciali non assimilabili sono regolati dall’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, ai sensi del quale i locali ove si producono tali rifiuti sono esenti dal pagamento dell’imposta. Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto, infatti, di quella parte di essa nella quale, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano di regola rifiuti speciali, tossici o nocivi, per il cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. In tali casi il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi a cui applicare una percentuale di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta. Ciò sul presupposto che in un locale in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di regola, rifiuti ordinari.
Diversamente la produzione ed il recupero dei rifiuti speciali assimilati e assimilabili è disciplinata dall’art. 49, comma 14, del d.lgs. n. 22 del 1997, nonché dall’art. 7, comma 2, del d.p.r. n. 158 del 1999.
Ai sensi dell’art. 49, commi 2, 3, e 4, del d.Ig. n. 22 del 1997: “2. I costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, sono coperti dai Comuni mediante l’istituzione di una tariffa. 3. La tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza de/locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale. 4. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”
Diretta applicazione del comma 3 dell’articolo sopra riportato è che il presupposto del tributo è costituito dalla semplice occupazione o detenzione di aree scoperte o locali a qualunque uso adibiti, fatta eccezione per le aree pertinenziali o accessorie ad abitazione.
Sotto il profilo degli oneri probatori, condivide, poi, il collegio l’orientamento di legittimità, per il quale, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle deroghe o delle riduzioni delle tariffe (in questo senso Cass. n. 18054 del 2016).
5. Nel caso in esame la sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti. In particolare, non ha chiarito le ragioni per le quali per l’anno 2009 ha ritenuto “soggetti solo alla quota variabile della TIA i locali dove non si producevano rifiuti speciali assimilati”. Non risultano dalla motivazione le ragioni per le quali si tratti di rifiuti assimilati, non è indicata con chiarezza la fonte normativa su cui si fonda la decisione, né sono indicate le prove fornite dalla contribuente, per usufruire dell’esenzione.
6. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la sentenza impugnata riconosciuto l’intassabilità delle superfici in difetto di una specifica domanda. Nel ricorso introduttivo la ricorrente aveva, infatti, chiesto la disapplicazione del regolamento TIA del comune e nel caso, la rideterminazione dell’importo dovuto.
6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto sarà oggetto di esame da parte del giudice del rinvio.
7. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 del d.p.r. n. 633 del 1972 n. 633, 6, comma 13 della l. n. 133 del 1999 e del d.m. n. 370 del 2000, con riferimento al mancato assoggettamento ad IVA della TIA.
7.1. Il motivo è infondato. Non ritiene il collegio di discostarsi dal principio affermato dal giudice di legittimità, secondo cui: “La tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente“. (Cass. s.u. n. 5078 del 2016). La sentenza impugnata su tale profilo ha, dunque, fatto buon governo dei principi affermati dalla S.C.
7.2. Ne consegue l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, l’inammissibilità del terzo ed il rigetto del quarto, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, in diversa composizione, per il riesame della controversia. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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