CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2019, n. 9619
Tributi – IRPEF – Atti illegittimi di espropriazione (cd. “occupazione usurpativa”) – Risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del fondo – Applicazione ritenuta a titolo d’imposta – Legittimità
Fatti di causa
1. La sig. G. G. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 5403/14/14 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sezione n. 38, emessa in data 8/7/2014, depositata il 2/9/2014 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del silenzio rifiuto dell’istanza di rimborso della ritenuta operata dal Comune di Gravina di Puglia nel giugno 2006 a titolo di imposta Irpef del 20% dell’importo corrisposto a titolo di risarcimento per l’occupazione usurpativa di un terreno, ha accolto l’appello dell’Ufficio, riformando la sentenza della C.T.P. di Roma, favorevole alla contribuente.
2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. del Lazio, richiamando la sentenza n. 12533/2013 della Corte di Cassazione, riteneva che “le ritenute a titolo di imposta, effettuate dall’Amministrazione espropriante sulle somme versate a titolo di indennità di espropriazione, non possono ritenersi illegittime, anche in presenza di atti illegittimi e conseguente condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno per l’irreversibile trasformazione del fondo”.
3. La ricorrente censura la sentenza della C.T.R. lamentando l’omesso esame di un fatto storico decisivo, costituito dalla sentenza n.761/05, con cui il Tribunale di Bari ha condannato il Comune al risarcimento del danno (primo motivo), la violazione e falsa applicazione degli artt.2043 c.c., 1 e 6 del d.P.R. n.917/86 e 11, co.5, 6 e 7 L. n.413/1991 (secondo motivo), nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.1 Protocollo Addizionale 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quale norma interposta per il tramite dell’art. 117, comma 1, Cost. nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 18/10/2001.
4. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all’udienza.
5. La ricorrente ha depositato memoria contenente istanza di riunione con altro procedimento tra le stesse parti avente ad oggetto la medesima questione (successive rate di pagamento).
Ragioni della decisione
1.1. Preliminarmente deve disattendersi l’istanza di riunione, che, per altro, non è stata reiterata dal difensore pubblica udienza, poiché il giudizio appare definibile autonomamente, avendo ad oggetto l’impugnazione di una sentenza diversa rispetto a quella oggetto del ricorso recante R.G. n. 6413/2019 e non essendovi un rapporto di pregiudizialità tra le questioni trattate.
Con il primo motivo, la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5), c.p.c., l’omesso esame di un fatto storico decisivo, costituito dalla sentenza n.761/05, con cui il Tribunale di Bari ha condannato il Comune al risarcimento del danno in favore della stessa ricorrente per l’occupazione usurpativa di un terreno, destinato alla viabilità cittadina.
Secondo la ricorrente, la C.T.R. non avrebbe tenuto conto della sentenza del Tribunale di Bari, che aveva condannato il Comune al risarcimento del danno in favore della sig. G., in conseguenza di un comportamento illecito (occupazione usurpativa “pura”) in alcun modo riconducibile ad un procedimento espropriativo, sia pure illegittimo.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt.2043 c.c., 1 e 6 del d.P.R. n.917/86 e 11, co.5, 6 e 7 L. n. 413/1991, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La ricorrente sostiene che, vertendosi in un’ipotesi di occupazione usurpativa “pura”, cioè di un comportamento illecito della P.A., sanzionabile
ai sensi dell’art.2043 c.c. (come appunto ritenuto dalla sentenza del Tribunale di Bari), non era dovuta alcuna ritenuta sulle somme versate dall’Amministrazione comunale a titolo di risarcimento del danno.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Protocollo Addizionale 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quale norma interposta per il tramite dell’art. 117, comma 1, Cost. nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 18/10/2001.
1.2. Il secondo ed il terzo motivo sono infondati, con conseguente inammissibilità del primo per carenza di interesse.
1.3. Invero, l’art. 11 della legge 413/1991 dispone al comma 5 che “per le plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazione di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche … si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, comma 1, lettera b), ultima parte del d.p.r. 917/1986“.
Al comma 7 dell’art. 11 si aggiunge che “gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per l’occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del venti per cento“.
Come già chiarito dalla sentenza n. 12533 del 22/05/2013, citata nella pronuncia impugnata, “in tema di imposte sui redditi, è legittima la ritenuta del 20%, a titolo di IRPEF, effettuata dall’Amministrazione sulle somme da essa versate quale risarcimento del danno derivante da occupazione usurpativa, potendo rientrare anch’essa nell’ambito di operatività dell’art. 11, commi quinto, sesto e settimo della legge 30 dicembre 1991, n. 413, alla cui stregua sono assoggettabili a tassazione le plusvalenze corrispondenti, tra l’altro, a somme comunque dovute per effetto di acquisizioni coattive conseguenti ad occupazioni prive di titolo, perché carente ab origine o dichiarato illegittimo successivamente“.
La motivazione della sentenza citata viene ripresa dalla successiva ordinanza di questa Corte n. 30400/2018, secondo cui “proprio in considerazione del tenore della norma e, soprattutto, del comma 7, che si riferisce espressamente al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, l’operatività della tassazione si collega alle plusvalenze consequenziali a tutte le vicende rientranti nel perimetro del corrispondente concetto, in coerenza con la ricostruita ratio dell’istituto, che presuppone l’equivalenza degli indici di ricchezza comunque correlati al dato oggettivo del valore dei suoli non derivante da attività produttiva del proprietario” (Cass. ord. n. 30400/2018, in motivazione; nel senso dell’applicabilità della ritenuta di acconto anche alle occupazioni usurpative, vedi anche Cass.Civ., 24689/2011, ove si afferma che “non rileva che tale perdita sia avvenuta per occupazione appropriativa o usurpativa…attesa la rilevanza, invece, dell’unico profilo costituito dalla perdita della proprietà per avvenuta irreversibile trasformazione del fondo, alla base del riconoscimento di un danno risarcibile“; in tal senso anche Cass. Civ., sez. V, 22 maggio 2013, n. 12533; Cass.Civ., 26 maggio 2017, n. 13420;).
Del resto, l’art. 35 del d.p.r. 327/2001, entrato in vigore il 30 giugno 2003, prevede espressamente la tassazione anche per le occupazioni senza titolo, ossia per quelle usurpative. Infatti, detta norma prevede che si applichi l’art. 81, comma 1, lettera b, ultima parte, del d.p.r. 917/1986, qualora sia corrisposta a chi non eserciti un’impresa commerciale una somma a titolo di indennità di esproprio, ovvero di corrispettivo di cessione volontaria o di risarcimento del danno per acquisizione coattiva, di un terreno ove sia stata realizzata un’opera pubblica…”.
Passando al terzo motivo, questa Corte ha già avuto modo di affermare che “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della I. n. 413 del 1991, in relazione all’art 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nella parte in cui prevede la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio, in quanto, per un verso, non attiene al contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, bensì al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, e, per un altro, la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario, in quanto la somma da corrispondere non è tale da rendere il pagamento equiparabile ad una confisca” (Sez. 5 , Sentenza n. 26417 del 19/10/2018).
La sentenza citata ha evidenziato come la Corte (Sez. 5, Sentenza n. 14362 del 30/06/2011) avesse, già, condivisibilmente statuito che, in tema di imposte sui redditi, non contrasta con l’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, l’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio, ai sensi dell’art. 11, comma quinto, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (ed in particolare alla ritenuta fiscale del venti per cento, di cui al comma 7 della norma indicata), atteso che il “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia del diritto fondamentale di proprietà, enunciato dall’art. 1 cit., riguarda la disciplina delle ipotesi di ingerenza dell’ente pubblico sulla proprietà privata e del quantum da corrispondere in tali casi al privato spogliato del suo diritto di proprietà, mentre l’art. 11 cit. attiene al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, cioè ad un ambito, quello fiscale, del tutto distinto dagli aspetti sostanziali – indennitari della vicenda espropriativa (vedi anche Cass.n.24908 del 25/11/2011 e Cass.n. 12275 del 17/05/2017 le quali hanno avuto modo di affermare che “in tema di imposte sui redditi e con riguardo al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla percezione di somme a seguito di procedimenti espropriativi, dettato dall’art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., del comma settimo di detto art. 11, nella parte in cui prevede che la ritenuta del 20 per cento si applichi sull’intera somma percepita e non sulla sola plusvalenza, atteso che la norma stessa attribuisce al contribuente la facoltà di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione ordinaria, in base alla quale l’ammontare dell’imposta dovuta è determinato tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali -cfr. Corte cost., ord. n. 395 del 2002-“).
“Ma, soprattutto, va rilevato che, di recente, la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito, con due decisioni del 16 gennaio 2018, (ricorsi n. 60633/16 Cacciato v. Italy e n. 50821/06, Guiso and Consiglio v.Italy) che l’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte europea dei diritti dell’uomo, pur riconoscendo che l’indennità corrisposta dalle amministrazioni dopo un’espropriazione rientra nel diritto di proprietà tutelato dal Protocollo n. 1, ha ribadito il principio secondo cui gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento perché devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali ed, in particolare, ha affermato che l’imposta fissata non può essere classificata come un onere irragionevole e sproporzionato a carico del proprietario, anche perché la cifra da versare, non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando l’entità in relazione al valore di mercato dei terreni. Inoltre, sempre secondo le decisioni sopra citate, le autorità nazionali hanno offerto ai ricorrenti la possibilità di scegliere tra il pagamento della ritenuta del 20% a titolo di imposta o procedere al pagamento della tassazione in base alle entrate dichiarate nella dichiarazione dei redditi. Di qui la conclusione dell’assenza di violazione da parte dell’Italia che ha raggiunto un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali” (Cass. sent. n. 26417/18, in motivazione).
Atteso il rigetto del secondo e del terzo motivo, deve dichiararsi inammissibile il primo, per assoluta carenza di interesse della ricorrente all’impugnazione per l’omesso esame della sentenza del Tribunale di Bari, che non appare un elemento decisivo ai fini della soluzione della controversia.
La ricorrente va condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012.
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